Google, in Francia multa da 50 milioni di euro per infrazioni al GDPR. A rischio altri colossi digitali

A quasi otto mesi dall'entrata in vigore del GDPR arrivano i primi risultati: la Francia ha infatti appena comminato una multa da 50 milioni di euro a Google, mentre un'organizzazione non profit europea ha rilevato che anche altri colossi come Amazon, Netflix, Apple e Spotify sono a rischio.

Avatar di Alessandro Crea

a cura di Alessandro Crea

La Francia ha appena comminato una multa da 50 milioni di euro a Google per non aver rispettato alcune direttive del GDPR in materia di privacy e gestione dei dati degli utenti. Nel frattempo NYOB, un'organizzazione non profit europea, ha evidenziato come Amazon, Spotify, Netflix, DAZN, YouTube e altri servizi di streaming siano anch'essi a rischio, avendo acconsentito, o avendo acconsentito solo parzialmente, alla richiesta di poter ottenere copia di tutti i dati posseduti sul richiedente stesso, come invece prevede l'articolo 15 del GDPR.

Per quanto riguarda Google, secondo l'agenzia governativa CNIL che si è occupata del caso, non solo Google avrebbe violato le direttive del GDPR, ma le starebbe ancora violando. I problemi principali sarebbero due: ‎non rendere sufficientemente accessibili le proprie direttive in materia di raccolta dati e non aver ottenuto da parte degli utenti il consenso specifico per la personalizzazione degli annunci pubblicitari per ciascuno dei suoi tanti servizi, tra cui YouTube, Google Maps e molti altri.

Proprio YouTube, assieme ad Amazon Prime, Apple Music, DAZN, Flimmit, Netflix, SoundCloud e Spotify è stato poi segnalato come a rischio multe da un'associazione non profit europea chiamata NYOB (None of Your Business). Tutti questi servizi di streaming infatti non avrebbero rispettato in tutto o in parte le direttive stabilite dall'articolo 15 del GDPR, che prevede per un utente la possibilità di chiedere copia di tutti i dati in possesso delle aziende, che lo riguardino direttamente. In molti casi infatti i dati non sono stati forniti e in quei pochi casi in cui è stato possibile ottenerli essi erano incompleti o in formati proprietari che non ne hanno consentito la comprensione o quantomeno ostacolata.

Insomma a quasi un anno di distanza dall'entrata in vigore del GDPR c'è ancora molto da fare in materia di privacy e gestione dei dati. I colossi non hanno intenzione di mollare facilmente una delle maggiori risorse economiche in loro possesso e anzi ciò che sta succedendo è che, per non essere costretti a seguire le direttive comunitarie, molti siti extraeuropei hanno iniziato ad applicare filtri IP su base geografica, onde evitare l'accesso agli utenti europei, risolvendo così drasticamente qualsiasi problema, ovviamente a proprio vantaggio.