I quotidiani italiani spingono per la tassa su Google

La Federazione Italiana Editori Giornali, Association de la Presse e Bundesverband Deutscher Zeitungsverleger vorrebbero una tassa su Google e gli aggregatori online per tutelare i rispettivi contenuti editoriali. La richiesta è stata rivolta a Parlamenti e Governi.

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a cura di Dario D'Elia

Gli editori italiani, francesi e tedeschi vorrebbero essere ricompensati dai motori di ricerca e dagli aggregatori online per i contenuti editoriali delle loro testate. La fila di chi batte casa agli over the top si allunga: non bastavano gli ex monopolisti come Telecom Italia e Deutsche Telekom, adesso bussano anche i grandi quotidiani europei. Ovviamente l'obiettivo è nobile poiché parlano di intenti volti a garantire lo sviluppo concorrenziale dell’attività di produzione di contenuti, la libertà di informazione e sopratutto la qualità.

"Gli editori italiani e francesi hanno deciso di agire di concerto, coordinando la propria azione di sensibilizzazione con quella dei colleghi tedeschi", si legge nella nota della FIEG (Federazione Italiana Editori Giornali). "Il tema della tutela dei contenuti editoriali e del riconoscimento agli editori di uno specifico diritto d'autore connesso alle attività di indicizzazione effettuate dai motori di ricerca diviene ora un problema urgente, comune a tre dei più grandi Paesi europei".

Le edicole piangono

Le tre associazioni degli editori dei rispettivi paesi concordano sull'importanza del Web. D'altronde i dati parlano chiaro: in Italia i lettori di giornali online (regolarmente registrati) sono circa 6 milioni, quindi circa il 46,8% di tutti i naviganti. In Francia raggiungono le 25 milioni mentre in Germania ben 27,7 milioni.

Il problema, sempre secondo FIEG, è che nonostante questo successo si rileva un "indebito sfruttamento del valore dei rispettivi contenuti editoriali da parte degli operatori dell’industria digitale". Il risultato è in un "disequilibrio tale da compromettere il funzionamento efficiente del sistema Internet nel suo complesso". Ecco quindi la decisione di appellarsi a Governi e Parlamenti europei per attuare misure per la creazione di una vera Società dell'Informazione. Uno spazio virtuale dove possa essere riconosciuta "un'adeguata remunerazione per lo sfruttamento delle opere editoriali e di una equa condivisione del valore nel mercato digitale".

L'intento è legittimo, ma da operatori del settore non condividiamo affatto. Il primo dettaglio è che la registrazione o meno delle testate online non può essere considerata una discriminante. Ogni giorno in Italia sono ben più di 6 milioni i lettori di siti che fanno informazione. E continueranno a crescere a prescindere che gli editori riescano a spillare denaro a Google. Non si può battere cassa senza rimettere in discussione l'attuale modello di business del cartaceo, per altro sconfitto dal mercato. Senza entrare nel dettaglio delle motivazione che hanno portato a questo, sarebbe bene risolvere i problemi a monte invece che cercare di spremere l'unico fronte potenziale di sviluppo.

La carta contro il Web

Google guadagna sui contenuti altrui, ma è anche vero che gli editori ne hanno un ritorno di visibilità che consente di vendere le campagne pubblicitarie. E se un giorno gli over the top decidessero di chiudere la porta a chi vuole tassarli? Sarebbe la fine dei quotidiani ma non certo dell'informazione. Oggi esistono già numerosi esempi di testate editoriali blasonate che hanno abbandonato la carta per sposare il modello di business di Internet basato sulla sola redditività pubblicitaria.

Cambiare le regole è giusto. Ma sarebbe meglio intervenire prima su quelle che hanno portato al tracollo dell'industria dell'informazione. In Italia ad esempio si potrebbe partire dai tetti sulla raccolta pubblicitaria che favoriscono solo la TV e lasciano le briciole a radio e stampa. In secondo luogo non sarebbe male fornire al settore contratti giornalistici compatibili con le attività online. La lista è lunga. Google News è davvero l'ultimo dei problemi. Ancor di più in un paese dove i finanziamenti di Stato rappresentano una voce fondamentale di entrata per tutti i più importanti quotidiani. I sussidi non sono sbagliati in senso assoluto - la libera informazione può trarne giovamento - ma è la misura di questi che conta.