L'acqua di mare diventa potabile con la ricerca italiana

I ricercatori del Politecnico di Torino, insieme a MIT e University of Minnesota hanno trovato un modo efficace e più economico per dissalare l'acqua del mare.

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a cura di Manolo De Agostini

Rendere potabile l'acqua di mare, garantendo l'approvvigionamento di acqua anche in quelle aree dove regna la siccità. È questo l'obiettivo del Dipartimento Energia (DENERG) del Politecnico di Torino, in collaborazione con il MIT e la University of Minnesota. L'acqua salata del mare può infatti essere resa "dolce" (dissalata) con l'impiego di una membrana, ossia grazie a un "setaccio" in grado di separare le molecole di acqua dai sali in essa disciolti.

L'energia necessaria a questo processo di separazione può essere fornita da una sorgente di calore, da un campo elettromagnetico o dalla pressione idraulica esercitata da una pompa. In particolare, la ricerca italo-americana si è concentrata sul processo di osmosi inversa per la dissalazione dell'acqua, basato sulla capacità di alcuni materiali porosi di farsi attraversare dalla sola acqua in pressione, separandola così dal sale.

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Pietro Asinari, Matteo Fasano ed Eliodoro Chiavazzo

"Una membrana per l'osmosi inversa permette il trasporto delle molecole di acqua, bloccando invece i sali disciolti. Una membrana efficiente ha poi la caratteristica di farsi attraversare dalla maggior quantità di acqua a parità di energia richiesta per il processo, ossia di possedere un'elevata permeabilità", spiegano i ricercatori del Politecnico.

I ricercatori sono riusciti a comprendere i meccanismi che regolano il trasporto dell'acqua da una parte (acqua salata) all'altra (acqua dolce) della membrana. I laboratori del MIT, infatti, hanno misurato sperimentalmente la capacità delle membrane di trasportare l'acqua, ossia il coefficiente di diffusione dell'acqua infiltrata. Tali membrane sono composte da zeolite, un materiale composto da una fitta (e regolare) rete di pori con dimensioni inferiori al nanometro (meno di un miliardesimo di metro).

Tuttavia, il coefficiente di diffusione dell'acqua misurato nei laboratori è quasi un milione di volte inferiore rispetto al valore atteso dalle simulazioni e analisi teoriche condotte dai ricercatori del Politecnico di Torino. Un enigma risolto dopo più di due anni di lavoro. "Mentre i precedenti studi si erano principalmente concentrati sul processo di trasporto all'interno della membrana, noi ci siamo soffermati su quello che avveniva sulla sua superficie, trovando lì la soluzione", spiegano i ricercatori.

Il trasporto dell'acqua attraverso la membrana è infatti regolato da una serie di due fenomeni successivi: le molecole di acqua devono prima trovare un poro aperto (resistenza superficiale al trasporto), quindi entrare e diffondere all'interno della membrana (resistenza volumetrica al trasporto), uscendone infine dal lato opposto.

Gli ingegneri del Politecnico di Torino hanno dunque dimostrato che l'enorme differenza tra i valori di permeabilità della membrana attesi e misurati sperimentalmente sono da imputarsi alla resistenza superficiale della membrana al trasporto dell'acqua. Tale resistenza è dovuta agli attuali metodi di fabbricazione delle membrane in zeolite, che causano la chiusura di più del 99,9% dei pori superficiali teoricamente disponibili.

In altri termini, le molecole di acqua hanno a disposizione un ridottissimo numero di pori per infiltrarsi nella membrana (uno ogni mille), e questo causa un effetto collo di bottiglia che rallenta il trasporto complessivo dell'acqua attraverso la membrana, dunque riducendone drasticamente la permeabilità.

Tramite simulazioni al computer e attività di laboratorio i ricercatori sono così riusciti a creare un preciso modello fisico di questo processo.

La scoperta ha un impatto immediato nella fabbricazione di membrane innovative per la dissalazione, in cui si miri principalmente all'aumento del numero di pori superficiali accessibili e dunque alla riduzione della resistenza superficiale al trasporto. I ricercatori stimano che membrane create con criteri simili abbiano la possibilità di raggiungere permeabilità fino a 10 volte superiori a quelle attuali, abbattendo così i costi operativi necessari al processo di dissalazione.

Questa nuova comprensione dei fenomeni di trasporto superficiale e volumetrico apre inoltre nuove strade in altre applicazioni in cui vengono impiegati materiali nanoporosi: dalle tecnologie per l'energia sostenibile (es. batterie termiche ad adsorbimento) alla rimozione di inquinanti nell'acqua (es. mediante filtri nanometrici), fino ad arrivare alla nanomedicina (es. rilascio controllato di farmaci).

Lo studio è stato pubblicato sulla rivista scientifica Nature Communications.

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