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Le onde gravitazionali faranno luce sul Big Bang?

Dalle onde gravitazionali al Big Bang: alcuni ricercatori hanno trovato una possibile connessione che aprirebbe le porte a una nuova Astronomia.

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Avatar di Antonio D'Isanto

a cura di Antonio D'Isanto

Pubblicato il 12/07/2017 alle 12:21 - Aggiornato il 13/07/2017 alle 16:20

Ultimamente si fa un gran parlare di onde gravitazionali. Le scoperte ottenute con LIGO hanno di fatto aperto una nuova porta sul Cosmo, paragonabile per impatto e importanza alle prime osservazioni in bande dello spettro elettromagnetico diverse da quella visibile. Quello che ci si attende è una vera e propria esplosione di una nuova Astronomia, che permetterà di "vedere" cose fino a poco tempo fa impensabili.

In quest'ottica si inquadra un lavoro in via di pubblicazione sul Monthly Notices of the Royal Astronomical Society - Letters, in cui gli autori hanno ipotizzato che le onde gravitazionali potrebbero rappresentare la soluzione a uno dei più grandi misteri dell'Astrofisica moderna.

lisa

LISA

Per capire di cosa si tratta dobbiamo fare un passo indietro, fino all'epoca del Big Bang. L'Universo neonato era un posto in effetti molto noioso, in cui le sole specie chimiche presenti erano idrogeno, elio e poche tracce di litio, ovvero gli elementi più semplici e leggeri della tavola periodica.

Tutto il resto, che gli astronomi per comodità chiamano metalli (e qui un chimico o un fisico darebbero di matto, me ne rendo conto, ma dovete capire che noi astronomi apparteniamo a una razza strana), si è formato successivamente nelle fornaci stellari, ed è stato sparso per l'Universo dalle esplosioni di supernove. E qui sta il mistero!

Depositphotos 12626337 l 2015 © Juric P

Esplosione di supernova. Foto: © Juric P / Depositphotos

Se tanto mi dà tanto, vuol dire che le prime stelle dovevano essere formate solo da idrogeno ed elio, per il semplice fatto che in giro altro non c'era. In realtà tutte le stelle sono formate "prevalentemente" da idrogeno ed elio. Nel caso del Sole ad esempio, oltre il 98%. Il problema sta nel fatto che quella piccola frazione di metalli ha un effetto molto importante, perché mette un limite alla massa che la stella può raggiungere al momento della sua formazione. Limite che, per la metallicità presente nelle nubi stellari oggi, è intorno alle 100 masse solari. Stelle più grandi non possono praticamente formarsi, perché sarebbero altamente instabili e tenderebbero a esplodere a causa della violenza delle loro stesse reazioni nucleari.

Nel caso delle stelle primordiali invece, l'assenza dei metalli faceva sì che questo limite fosse ben più elevato, consentendo, in linea teorica, la formazione di veri e propri mostri di centinaia di masse solari. Queste stelle, in quanto estremamente massicce, dovrebbero aver bruciato molto molto rapidamente il combustibile nucleare per poi esplodere in supernove, spargendo i loro sottoprodotti in giro per l'Universo e contribuendo ad arricchire il mezzo interstellare di nuovi elementi. Per tale motivo oggi non dovrebbero più esisterne.

Stelle di questo tipo sono chiamate di popolazione III, dove per popolazione II si intendono quelle di seconda generazione, con un basso contenuto di metalli, e per popolazione I le più recenti con un alto contenuto metallico. La ragione del perché questa numerazione sia al contrario è dovuta alla stessa razza strana di cui sopra.

Fin qui tutto bene, se non che di questi oggetti finora non ne è stato identificato neppure uno. Ovviamente capirete che per poterli trovare occorre guardare molto in là nel Cosmo (non dimenticate mai che più si guarda lontano nell'Universo, più si guarda indietro nel tempo), e questo complica le cose. L'alternativa sarebbe quella di cercare i loro resti, ovvero dei buchi neri molto massicci, che potrebbero essersi generati dal loro collasso.

Depositphotos 99015256 l 2015 © the lightwriter

Foto: © the lightwriter / Depositphotos

Proprio qui interviene lo studio dell'articolo in questione. I ricercatori hanno ipotizzato che le onde gravitazionali osservate da LIGO potrebbero essersi generate da buchi neri binari, resti di stelle di popolazione III. Non solo. Utilizzando accurate simulazioni, si sono resi conto che la probabilità di trovare questo tipo di stelle è molto più elevata nei nuclei delle galassie, superando il 90% entro 500 parsec dal centro. Questo in effetti ha senso se si pensa che i nuclei contengono normalmente le stelle più vecchie e dovrebbero rappresentare il punto di partenza per la formazione delle stesse strutture galattiche a partire dal collasso di una nube.

I risultati dello studio in effetti parlano chiaro. Se le stelle di popolazione III sono esistite, i loro resti devono trovarsi all'interno dei nuclei galattici. Inoltre è anche elevata la probabilità che questi oggetti si siano formati in sistemi binari, il che vorrebbe dire avere ora buchi neri doppi in orbita l'uno attorno all'altro. L'ambiente ideale per la rilevazione di onde gravitazionali.

Ecco perché trovare nuove onde potrebbe significare mettersi sulle tracce delle sfuggenti stelle di popolazione III. Tuttavia al momento non è ancora possibile identificare con precisione la provenienza di un segnale gravitazionale, per cui non ci è dato verificare se effettivamente esse provengano da nuclei galattici, il che costituirebbe un indizio importante. Non una prova definitiva certo, ancora indiretta, ma importante e confermativa della teoria.

Depositphotos 29802063 l 2015 © CoreyFord

Gamma Ray Burst - Foto: © CoreyFord / Depositphotos

Gli autori spiegano inoltre che nel momento in cui riuscissimo a individuare la provenienza di un'onda gravitazionale potremmo verificare se ne esistesse anche una controparte elettromagnetica, come ad esempio un Gamma Ray Burst. Da questo punto di vista le cose dovrebbero migliorare con l'inizio delle operazioni combinate di LIGO e VIRGO, o quando avremo finalmente LISA.

Dovessimo riuscire in questa impresa, dando infine una risposta al mistero delle stelle di popolazione III, compiremmo un ulteriore, enorme passo avanti verso quel viaggio indietro nel tempo che è la teoria del Big Bang, la nucleosintesi e la formazione dell'Universo per come lo conosciamo oggi. Sarebbe, in effetti, come ascoltarne i primi vagiti e capire da dove vengono quei metalli di cui, alla fin fine, siamo fatti noi tutti.

Antonio D'Isanto è dottorando in astronomia presso l'Heidelberg Institute for Theoretical Studies in Germania. La sua attività di ricerca si basa sulla cosiddetta astroinformatica, ovvero l'applicazione di tecnologie e metodologie informatiche per la risoluzione di problemi complessi nel campo della ricerca astrofisica. Si occupa inoltre di reti neurali, deep learning e tecnologie di intelligenza artificiale ed ha un forte interesse per la divulgazione scientifica. Da sempre appassionato di sport, è cintura nera 2°dan di Taekwondo, oltre che di lettura, cinema e tecnologia. Siamo felici di annunciarvi che collabora con Tom's Hardware per la produzione di contenuti scientifici.


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