Le tecnologie anti AdBlock raccolgono consensi e denaro

PageFair, una startup anti AdBlock, ha appena ottenuto un finanziamento di 400.000 dollari.

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a cura di Valerio Porcu

Senior Editor

Si chiama PageFair, ha appena ottenuto 400.000 dollari in finanziamenti ed è una start-up che promette di arginare il "problema Adblock" per i siti web di tutto il mondo. La società fondata nel 2012 propone ai gestori di siti strumenti analitici per capire quanti utenti bloccano gli annunci, per tentare poi di convincerli a cambiare abitudini.

Usando PageFair sarà poi possibile visualizzare un pop-up, proprio una delle cose che gli utenti Adblock vogliono evitare, con l'invito a inserire il sito in whitelist e le istruzioni su come fare. La società si propone come principio un giusto trattamento "per gli utenti e per i gestori dei siti web".

Al momento la società ha circa un migliaio di clienti, per i quali il problema riguarda circa il 20% del pubblico. Una cifra enorme che si traduce nel 20% in meno di fatturato, almeno per quei siti più grandi che vendono pubblicità con il modello CPM; si vende cioè l'esposizione del banner, non il click sullo stesso.

Un grande sito con circa 10 milioni di visualizzazioni al giorno e tre banner per pagina, in altre parole, potrebbe perdere fino a 20.000 euro al giorno secondo Blanchard. Una cifra impressionante ma realistica. 

Parliamo di un danno potenzialmente molto rilevante, e considerato il ritmo con cui cresce la diffusione di questi strumenti la questione diventa ogni giorno più pressante. PageFair riporta infatti che il blocco della pubblicità online cresce del 43% ogni anno. La speranza per ora viene da tablet e smartphone, perché pare che questa brutta abitudine sia molto meno diffusa da parte di chi usa i dispositivi mobili.

A proposito di abitudini, è interessante notare che, sempre secondo PageFair, la percentuale di click sugli annunci è esattamente la stessa da parte di utenti che usano AdBlock e chi invece non usa questi strumenti. In altre parole l'affermazione "ma tanto non ci cliccherei lo stesso" è discutibile.

Del tutto falso è invece il presupposto secondo cui il sito web non perde denaro perché, come con la TV, la campagna è ormai venduta. La pubblicità online non funziona così: nel modello CPM citato sopra - quello che usiamo ad esempio su Tom's Hardware - sono pagati esclusivamente i banner effettivamente visti dai lettori a prescindere da eventuali click.

Le brutte abitudini comunque ci sono anche da parte di alcuni siti web (di cui speriamo di non fare parte), che effettivamente esagerano con la pubblicità e rendono impossibile la fruizione delle pagine: qui si va su un territorio di soggettività, e ognuno ha la propria opinione su cosa sia "troppa" pubblicità o troppo invasiva. A ogni amministratore sta il difficile compito di trovare l'equilibrio tra l'usabilità del sito stesso e la visibilità degli annunci.