L'Energia Oscura, storia di una costante inspiegabile

Analizziamo l'Energia Oscura da vicino, partendo dall'equazione di campo di Einstein per arrivare là dove la Scienza non ha ancora trovato tutte le risposte.

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a cura di Lorenzo Pizzuti

Questo contenuto è il quarto della serie che ci guida alla scoperta di Materia ed Energia Oscura, il "dark universe". Oggi parleremo nel dettaglio dell'Energia Oscura. 

Dopo esserci cimentati in un lungo e tortuoso percorso che ci ha portato a sfidare i segreti della misteriosa e sfuggente Materia Oscura, siamo ora giunti all'inizio di una nuova strada, una montagna sconosciuta la cui vetta è ancora avvolta da una nebbia imperscrutabile e terribilmente lontana anche per i più esperti addetti ai lavori.

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Foto: ©Photocreo / Depositphotos

Se il mondo della materia aggiuntiva, delle sue implicazioni nel nostro Universo, delle affascinanti e intricate teorie per comprenderne la struttura vi ha in qualche modo incuriosito, ma anche lasciato con un senso di confusione, preparatevi, perché stiamo per addentrarci in qualcosa di ancora più oscuro e assai molto meno compreso.

Le puntate precedenti

Universo Oscuro, prove astrofisiche della materia mancante

Materia Oscura, prove nella Cosmologia e nelle simulazioni

Materia Oscura, di cosa è fatta?

Nella prima parte dell'articolo conclusivo di questa serie vi racconterò una storia, una vicenda che si sviluppa a partire dai primi anni del Novecento, più precisamente nel 1915 quando Albert Einstein pubblicò la celebre Teoria della Relatività Generale.

Il meraviglioso edificio teorico costruito dal brillante scienziato ruota intorno a un'equazione fondamentale, chiamata "equazione di campo di Einstein", che descrive come la struttura dello Spazio e del tempo viene modificata dalla presenza di materia o energia presente al suo interno. Questa variazione della geometria dell'Universo è quello che noi percepiamo come interazione gravitazionale. Un concetto fisico estremamente semplice che rivoluziona il modo di interpretare la gravità e porta a conseguenze davvero curiose, quasi fantascientifiche in alcuni casi.

L'idea nasce come figlia naturale di un "principio di equivalenza", un'intuizione che possiamo definire il cuore pulsante della teoria della Relatività: le leggi fisiche hanno la stessa forma in ogni luogo, tempo e condizione in cui vengono applicate o, per meglio dire, in ogni sistema di riferimento in cui si effettua la misura. Questa richiesta può sembrare banale, ma se ci pensiamo un attimo è tutt'altro che immediata.

Si pensi a un esperimento molto semplice, tipo calcolare l'accelerazione che subisce una persona impegnata nella guida che si trova improvvisamente a frenare fino a fermarsi. Guardando la scena dall'esterno, si vedrebbe l'automobilista rallentare sempre di più, come se una forza lo spingesse indietro rispetto alla direzione in cui si muove. Si avvertirebbe cioè una decelerazione. Se invece fossimo all'interno dell'abitacolo, non appena il nostro guidatore appoggerà il piede sul freno, ci sentiremo spingere in avanti come se la forza ora agisse nella direzione opposta, ovvero come se stessimo accelerando. Questo dimostra che i valori delle grandezze fisiche dipendono fortemente dal punto di vista, ma rimane sempre valido il fatto che il valore dell'accelerazione sia legata alla forza che la genera dalla massa dell'oggetto su cui agisce, in questo caso automobile e persone in essa comprese.

Per meglio dire, la legge fisica F=ma rimane valida in entrambi i sistemi.

Per generalizzare questo discorso a situazioni nelle quali sono anche lo Spazio e il tempo a cambiare a seconda del punto di osservazione, bisogna usare strumenti matematici molto più complessi ed impegnativi da maneggiare: i tensori.

Possiamo immaginare un tensore come un insieme di numeri che rappresentano una certa grandezza fisica; i valori di questi numeri si modificano quando si cambia sistema di riferimento, ma l'oggetto totale in sé continua ad esprimere lo stesso concetto; non solo, esso è legato nello stesso modo ad altri tensori indipendentemente da dove io stia guardando.

Ecco cosa c'è nelle equazioni di campo della Relatività Generale: a sinistra abbiamo il tensore di Einstein (Gμν = Rμν - (1/2) RGμν, in verde nella figura), costituito da 16 componenti, che ci dice come lo Spazio e il tempo, uniti in un unico gigantesco "lenzuolo" a quattro dimensioni (lo Spaziotempo), si strutturano in una certa regione dell'universo (in altre parole come questo lenzuolo è piegato). A destra abbiamo il celebre Tensore Energia-Impulso (Tμν, in rosso nella figura), un altro simpatico blocco di 16 pezzi che contiene tutte le informazioni sulla distribuzione di materia ed energia nella zona che stiamo studiando: che tipo di particelle sono? Sono lente o veloci? Sentono pressione? Come interagiscono? E via discorrendo, chi più ne ha più ne metta...

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Non una singola equazione dunque, ma ben sedici diverse uguaglianze, ciascuna per ogni componente, davvero complicate da risolvere anche nei casi più banali. Ecco perché bisogna aspettare quasi un anno dalla pubblicazione dell'articolo di Einstein per avere la prima soluzione di questa in apparenza innocua formuletta. Fu infatti solo nel 1916 (più precisamente il 16 gennaio) che Karl Schwarzschild inviò ad Einstein la soluzione esatta delle sue equazioni in cui descriveva lo Spaziotempo all'esterno di una distribuzione sferica di massa. Ma questa è un'altra storia.

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Il motivo per cui vi sto raccontando queste cose non è casuale, immagino infatti che sarà già stato individuato dai lettori più attenti. Il punto di svolta è il simbolo cerchiato in nero nelle equazioni, Λ; qualcosa che non appartiene né alla geometria dell'universo né al suo contenuto, o che forse può appartenere ad entrambi... la costante Cosmologica.

Da dove salta fuori? Ma soprattutto, cosa rappresenta?

Partiamo da un fatto puramente matematico. La vera incognita nelle equazioni di Einstein è l'oggetto indicato dalla "g" minuscola, il Tensore Metrico o più semplicemente metrica. Come dice il termine stesso, la metrica scandisce l'unità fondamentale dello Spaziotempo, il tassello di base che definisce la struttura dell'Universo nella regione che stiamo studiando. Il tensore di Einstein altro non è che una complicata combinazione delle nostre piccole "g" e delle loro funzioni derivate (altro strumento matematico che in molti avranno sentito nominare).

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L'equazione di campo di Einstein

Un'equazione la cui incognita è una funzione e che contiene anche le derivate di quest'ultima è chiamata equazione differenziale. La cosa divertente è che, per definizione, la derivata di una quantità costante che non cambia nello Spazio e nel tempo fa zero. Questo vuol dire che l'equazione in questione rimane valida se io inizio ad aggiungere pezzi costanti a volontà, come il simbolo Λ, qualsiasi sia il loro valore. Fu Einstein stesso a piazzare il termine addizionale nelle sue equazioni per un motivo ben preciso.

Abbiamo visto, nel secondo capitolo di questo tortuoso percorso, che l'evoluzione dell'Universo è descritta attraverso le equazioni di Friedmann, ottenibili proprio risolvendo le equazioni di Einstein in condizioni particolari. Riprendendo l'analogia con la ricetta di cucina, i vari contributi che compaiono nella formula di Friedmann determinano il destino del Cosmo: mi dicono se si espande e in che modo, se è statico, se ha avuto un inizio e se avrà una fine. Aggiungere Λ alle equazioni di Einstein si traduce nell'aggiungere un ingrediente alle equazioni di evoluzione dell'Universo. Essendo in principio completamente libero, non ci sono limiti al valore che può avere e a come può stravolgere la nostra ricetta.

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Einstein era fermamente convinto che il Cosmo non si modificasse nel tempo; la ragione per cui introdusse la costante Cosmologica fu proprio per farsi tornare il suo universo statico che tanto lo aggradava. Peccato che qualche annetto più tardi Hubble fece la scoperta che rivoluzionò completamente la Cosmologia moderna: altro che statico... l'Universo si espande!

Quando la notizia fu divulgata, Einstein cancellò la costante Cosmologica dalle sue equazioni definendola il più grande errore della sua vita. Non poteva certo immaginare cosa in realtà quell'insignificante oggetto avrebbe scatenato in futuro.

Veniamo a tempi decisamente più recenti. Nel 1998 sono due gruppi di ricerca, uno guidato da Saul Perlmutter dell'Università di Berkeley in California e l'altro da Brian Schmidt dell'Università nazionale australiana e Adam Riess dell'Università di Baltimore, gli artefici di una seconda scoperta scientifica, stupefacente al pari - se non oltre - quella di Hubble. Non solo l'Universo si sta espandendo, ma lo sta facendo in maniera accelerata; la velocità con cui la trama del Cosmo si allarga aumenta istante dopo istante, come se un motore al suo interno, invisibile e sconosciuto, continuasse a fornire energia. Ma prima del perché cerchiamo di capire il come.

In che modo sono riusciti a determinare con tale certezza che l'Universo è in fase di accelerazione?

I leader dei due team, insigniti del premio Nobel per la fisica nel 2011, si sono focalizzati nell'analisi di una particolare classe di eventi nel cielo: le Supernove di tipo 1a.

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Con il termine Supernova si indica l'esplosione violenta di una stella, in particolari condizioni, durante la quale viene rilasciata una quantità spropositata di energia che trasforma il corpo celeste in un oggetto brillante quasi quanto la galassia che lo ospita. In generale si fa passare il messaggio che le Supernovae sono prodotte da stelle molto grandi (8, 10 volte il nostro Sole) le quali, giunte alla fine della loro vita, espellono gli strati più esterni in questo colossale e devastante spettacolo. Corretto, ma non esauriente; infatti una Supernova può generarsi anche in un sistema binario, composto da una nana bianca e una stella compagna, generalmente una gigante rossa.

La nana bianca, piccola ma molto compatta, "ruba" materiale alla sorella maggiore e accresce le sue dimensioni; tuttavia esiste una massa limite, circa 1.44 volte la massa del Sole, oltre la quale stelle come le nane bianche diventano instabili. Superata la soglia (il così detto limite di Chandrasekhar) l'astro esplode in un tipo di Supernova catalogato come "1 a".

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Sono proprio questi gli strumenti indispensabili attraverso i quali si è potuta osservare l'accelerazione dell'Universo; innanzitutto, grazie alla loro stupefacente luminosità, sono individuabili anche se estremamente distanti. In secondo luogo, sono (perdonatemi la generalizzazione forse un po' naïve) "tutte uguali", nel senso che l'energia totale emessa in questo processo alla fine dei conti è sempre la stessa. Infatti, poiché l'esplosione avviene sempre quando si supera la medesima massa limite, la "bomba" scatta nello stesso modo e con la stessa potenza. Questo vuol dire che le differenza di luminosità tra due Supernovae 1a sono dovute solo alla diversa distanza alla quale si trovano rispetto a noi.

La misura della magnitudine apparente (ovvero di quanto un oggetto ci appare brillante) delle Supernovae assieme all'analisi del redshift che abbiamo discusso nel primo e secondo episodio sono la chiave per capire come si comporta il nostro Universo. La risposta, purtroppo, accende una serie di problematiche e di misteri estremamente profondi. Al primo posto la domanda che ora siamo pronti ad affrontare: cosa genera questa accelerazione.

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Talvolta il destino si diverte ad aggiungere un tocco di ironia a una situazione già fortemente ingarbugliata. Riesumando "l'orribile errore" di Einstein nelle nostre equazioni ci accorgiamo facilmente di un dettaglio: un valore anche piccolissimo, ma positivo, della costante Cosmologica tanto odiata dal celebre scienziato è in grado di produrre un Universo accelerato. Come sia possibile è presto detto: tutti gli altri ingredienti della nostra ricetta diminuiscono il loro contributo man mano che l'Universo si espande. Questo perché il contenuto del Cosmo si "sparpaglia" nel suo volume al crescere di quest'ultimo diventando sempre meno rilevante... ma una costante è una costante! Come tale non ha riguardo per quello che accade intorno, rimane lì, fermamente piazzata al suo eterno valore. Aggiungere anche un numerello appena superiore a zero ma costante nell'impasto renderà, con il passare del tempo, il contributo di quella piccolezza apparentemente ininfluente l'unico artefice del destino dell'Universo.

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Per conoscere quanta costante serve al nostro scopo, basta sapere di quanto stiamo accelerando e combinare le osservazioni con ciò che è già noto riguardo alle altre componenti. Detto fatto; con un valore di Λ pari a 10-52 unità per metro quadro (cioè una parte su 10 seguito da 51 zeri), siamo in grado di riprodurre il comportamento del Cosmo così come appare ai nostri telescopi. Un numero davvero irrisorio, parliamo di un decimilionesimo di miliardesimo di miliardesimo di miliardesimo di miliardesimo di miliardesimo! Eppure questo oggetto così piccolo è da solo in grado di dominare il destino dell'intero Universo. Per quanto strana possa apparire, la cosa funziona piuttosto bene, così bene che fino ad ora non si è trovata nessuna soluzione migliore... tutto molto bello, peccato che tentare di spiegare cosa sia fisicamente la costante Cosmologica sia tutta un'altra storia!

Da dove salta fuori?

Quale processo in natura genera questa entità e perché proprio con quel valore?

Per cercare una risposta torniamo per un momento all'immagine dell'equazione di Einstein e proviamo a dare una collocazione alla costante Cosmologica in mezzo a tutti quei simboli; ad esempio cosa accade se volessimo spostarla dalla parte dei "rossi" o, per meglio dire, interpretarla come qualcosa di legato al contenuto del Cosmo? Con qualche piccolo passaggio algebrico si più introdurre Λ nel del Tensore Energia-Impulso che, come spiegato prima, ci informa sulle proprietà della "roba" con cui abbiamo riempito il nostro Universo. Ed eccoci a fronteggiare una prima questione abbastanza conturbante.

La costante Cosmologica si comporta come un'energia. Un'energia molto particolare, caratterizzata dall'avere sempre la stessa densità, circa 10-29 g/cm3, in ogni punto dello Spazio e ad ogni tempo; come spiegato nel primo capitolo della serie, questo si traduce in un oggetto a dir poco impressionante che crea delle copie di sé stesso man mano che il Cosmo si espande, in maniera da riempire in egual misura ogni sua parte.

Non solo, la misteriosa componente appare come un fluido che esercita pressione, e questa pressione risulta avere un valore uguale alla sua densità di energia ma con il segno cambiato: in altre parole è negativa.

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Immaginare cosa possa voler dire una pressione negativa fisicamente non è proprio banale, ma per farci un'idea supponiamo di comprimere un gas in un contenitore tramite un pistone. Schiacciandolo, esso si opporrà sempre di più alla nostra forza generando una pressione verso l'esterno. Ecco, il fluido della costante Cosmologica si comporta in modo diametralmente opposto: come se liberando il gas, tanto più questo si espande, tanto più la pressione che esercita nell'ambiente cresce! Quale particella o struttura nell'Universo è in grado di produrre effetti simili? Nulla di conosciuto, ovviamente, qualcosa di completamente diverso da tutto ciò che è stato studiato e scoperto fino ad ora.

Se cerchiamo di quantificare il misterioso fluido e di paragonarlo alle altre componenti del Cosmo ci imbattiamo nella seconda sconcertante verità: la sua presenza, seppur dovuta a quel valore piccolissimo di Λ, è tale da rappresentare il buon 70% del contenuto totale dell'Universo. Contro ogni aspettativa, la costante Cosmologica è già sovrana incontrastata del nostro destino!

In realtà questo non dovrebbe sorprenderci più di tanto, visto che la densità media totale nel Cosmo, che può essere ricavata in modo abbastanza preciso da diverse osservazioni, è dello stesso ordine della densità di energia della fantomatica costante, cioè circa 10 atomi per metro cubo. Gli agglomerati di materia ad alta densità come quello in cui siamo immersi non sono altro che delle perturbazioni nel budino cosmico globale, grumi evolutisi nel tempo e tenuti insieme dalla forza di gravità, dove l'effetto dell'espansione ancora non è riuscito a penetrare e a manifestarsi.

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Foto: © sakkmesterke / Depositphotos

Tuttavia, prendendo in esame l'Universo nel suo insieme, i suoi costituenti sono mediamente ben amalgamati e spalmati in tutta la sua estensione. Sicuramente il fluido ribelle non è ancora abbastanza "potente" per insinuarsi nelle strutture più piccole, ma ha da tempo preso il comando a larga scala, determinando l'accelerazione del Cosmo; sta acquistando forza, lentamente, approfittando del fatto che sia la nostra materia ordinaria sia la sua collega oscura si diluiscono nell'espansione e il loro contributo cala istante dopo istante. Ben presto sarà lui l'unico ingrediente a sopravvivere nella ricetta, allontanerà le galassie le une dalle altre, poi le stelle, i sistemi planetari e perfino gli atomi stessi, fino a trasformare, tra miliardi di anni, l'Universo in uno sconfinato e desolato cimitero buio. Non è certo una piacevole visione, soprattutto in clima natalizio...

Ecco dove ci ha portato il nostro viaggio nel complesso e articolato mondo della Cosmologia. Siamo al cospetto del vero grande mistero, la sfida più ardua della fisica moderna: l'Energia Oscura. Il tassello mancante che ci serviva per completare il puzzle del modello ΛCDM, l'anello di congiunzione tra le nostre conoscenze e un nuovo sentiero oltre la frontiera della Scienza. Un'entità la cui natura resta ancora ignota descrive l'ignoranza e l'umiltà con le quali guardiamo ad un Universo pieno di segreti.

Abbiamo fatto scoperte grandiose negli ultimi anni, eppure esse hanno sollevato altre domande e dubbi ancora più profondi: da dove ha origine questo fluido? Come possiamo spiegare le sue bizzarre proprietà? Qualcosa di fondamentale ci sfugge. Forse stiamo mancando il punto di vista, stiamo guardando dalla parte sbagliata... letteralmente direi. Infatti, potremmo chiederci cosa succederebbe collocando la costante Cosmologica tra i "verdi" nell'equazione di Einstein anziché tra i rossi, ovvero introducendola come una modifica ulteriore alla geometria dello Spazio-tempo; una variazione alla forza più comune dell'Universo: una modifica della gravità.

Nella seconda e ultima parte del nostro capitolo finale, appena digeriti pandori, torroni e panettoni dalle feste, faremo un'abbuffata conclusiva della Fisica più d'avanguardia nel tentativo di spiegare cosa sia l'Energia Oscura.

Tanti auguri di buon Natale a tutti i lettori!

Lorenzo Pizzuti è laureato in Fisica presso l'Università degli Studi di Perugia e diplomato in pianoforte presso il conservatorio Briccialdi di Terni, è attualmente iscritto al primo anno del dottorato di ricerca in Fisica presso l'Università di Trieste. Lavora in cosmologia all'Osservatorio Astronomico diTrieste (OATS-INAF) principalmente su modifiche della gravità. La sua ricerca prende in esame gli ammassi di galassie, per "leggere" attraverso l'analisi del moto delle galassie e della luce se la gravità si comporta come Einstein ha teorizzato oppure se qualcosa di diverso accade. Ha una prima pubblicazione sulla rivista scientifica JCAP. Oltre all'ambito accademico, è attivo nella divulgazione scientifica,  ha partecipato e vinto la selezione nazionale del concorso "FameLab" nel 2016 e si è classificato tra i primi 12 alla finale mondiale. Siamo felici di annunciarvi che collabora con Tom's Hardware per la produzione di contenuti scientifici.