Trovare lavoro, in Italia meglio la "raccomandazione" che l'uso dei social network

Viking Italia ha promosso un’indagine sul mercato del lavoro nel nostro Paese, coinvolgendo un campione rappresentativo di 1000 italiani lavoratori, per verificare se per trovare alvoro sia meglio la "raccomandazione" o l'utilizzo dei social network dedicati.

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a cura di Alessandro Crea

Cosa conta di più in Italia per trovare lavoro, la classica "raccomandazione" o l'utilizzo dei social network dedicati, come ad esempio LinkedIn? Se lo sono chiesto quelli di Viking Italia, in uno studio condotto da OnePoll, che ha visto coinvolto un campione rappresentativo di 1000 lavoratori italiani. Dallo studio emerge che il 53% degli intervistati sostiene che il networking abbia avuto importanza per la loro carriera. Tuttavia il 50% aggiorna il curriculum meno di una volta l’anno, 3 su 5 non si reca quasi mai ad eventi di networking, per mancanza di tempo o carenza di eventi nelle vicinanze e infine il 48% ha perso i contatti con gli ex-colleghi.

E LinkedIn? Il social media proprio finalizzato allo sviluppo lavorativo piace poco: Il 41% non aggiorna quasi mai il profilo, il 45% non pubblica quasi mai niente in bacheca e il 48% non parla mai con i recruiter online o con le altre conoscenze.

E allora se il networking online non è il mezzo preferito degli italiani per trovare lavoro, qual è? Le raccomandazioni. Con un partecipante su due che è stato raccomandato per un lavoro o un colloquio da un amico, mentre il 25% ha sfruttato delle vecchie conoscenze professionali.

Ma quali sono le capacità più ben viste per trovare lavoro?

  • Avere le skills necessarie per il ruolo (41%)
  • Avere esperienza pregressa (36%)
  • Parlare lingue straniere (38%)

Quindi il mercato italiano è basato sulla meritocrazia?

  • Il 61% dichiara che trovare lavoro in Italia è difficile
  • Il 65% ammette che è difficile progredire e fare carriera
  • Il 38% dice che fare carriera è di gran lunga più facile se si è attraenti
  • Il 41% dichiara che è facile trovare lavoro se si conosce qualcuno che può dare una “spintarella”
  • Il 45% pensa che sia più facile per i laureati di prestigiose università

Su una cosa però sono quasi tutti d’accordo (70%), ovvero che in Italia i favoritismi la fanno da padrone sulla meritocrazia. Dei 1000 intervistati, uno su due pensa che raccomandare sia giusto. Le ragioni per essere a favore però sono dubbie. Tra le più citate il fatto che sia pratica comune, che davanti a una raccomandazione non si tirerebbero indietro e che velocizzi il processo di recruiting.

Forse più valide le motivazioni del 33% che vede le raccomandazioni come ingiuste. Tra le principali ragioni il fatto che la persona raccomandata potrebbe non avere le skills necessarie, potrebbe non meritarsi il lavoro e ricevere favoritismi da parte del capo anche dopo in quanto conoscenza.

Su quali fossero i fattori più importanti per trovare lavoro il 27% dei giovani (18-24 anni) cita una laurea da un’illustre università. Fattore che però viene considerato importante solo al 9% dai baby boomers. Per quanto riguarda il parlare lingue straniere sono invece i più adulti a vederle come la carta vincente per una carriera soddisfacente (38% vs 23%) Nel gruppo 18-24, 1 su 2 infine pensa che avere capacità relazionali e social skills sia fondamentale per trovare e tenere un lavoro (contro il 41% dei baby boomers).

Il gruppo dei giovanissimi si mette su un piedistallo quando c’è da giudicare un raccomandato. Il 44% infatti pensa che sia sbagliato raccomandare qualcuno per una posizione. Ciò però non li trattiene da essere uno dei gruppi più raccomandato d’Italia. Ben il 53% ha ricevuto un’offerta di un posto di lavoro o di un colloquio da un genitore, il 53% da un ex collega e il 42% dal partner.

Gruppo più propenso all’uso di LinkedIn però, come ci si aspetterebbe dalla generazione social, con il 45% che dichiara di aver avuto offerte tramite la piattaforma. Ci si aspetterebbe piccoli entrepreneurs pronti a fare conoscenze a un evento per la carriera. E invece no. I giovanissimi sono social ma timidi. Una volta chiesto perché non si buttino alla carica quando si tratta di networking events, un 30% ha detto che non pensa farebbe una buona prima impressione.