Si chiama "lab-on-chip" ed è un vero laboratorio tascabile. Sviluppato dal politecnico di Torino, si tratta di un nano-laboratorio grande come un chip di memoria (da qui deriva il nome).
A prima vista sembra un francobollo in plastica trasparente, che integra però un reagente e la tecnologia necessaria per rispondere a una variazione chimica o elettrica. Da qui la possibilità d'impiego in più settori, come esami clinici e del Dna, analisi alimentari (ogm, contaminazioni e alterazioni di cibi) e controlli ambientali.
Lab-On-Chip
"Una microgoccia di campione da analizzare va messa all'ingresso del chip-on-lab - spiega Matteo Cocuzza, phd del Politecnico - e interagisce con una sostanza liofilizzata all'interno. A questo punto il chip va inserito in un apparecchio grande come un palmare che dà un risultato".
Gli esempi d'uso sono molti. Si può scoprire, direttamente sul campo, se del grano è ogm, o se l'acqua è inquinata, o ancora se delle pietanze sono contaminate da virus.
Il chip prodotto in scala industriale ha un prezzo che oscilla da 1 centesimo a 1 euro. La parte più onerosa è il prezzo del reagente.
Oltre all'uso in campo prettamente scientifico, l'adozione potrebbe avvenire a un livello più vicino ai consumatori. Sono già allo studio cellulari dotati di sensori ambientali, e un'evoluzione del chip-on-lab potrebbe trovare posto in dispositivi portatili, in grado di rilevare cambiamenti nell'atmosfera e segnalare, per esempio, la presenza di gas nocivi o comunicare a un sistema centralizzato il livello di inquinamento ambientale.