La Commissione Europea ha inflitto a Google una multa record di 2,95 miliardi di euro per violazione delle regole antitrust nell'ecosistema della pubblicità digitale, ma la vera sorpresa non è l'entità della sanzione.
Il dato più significativo è che Bruxelles ha fatto marcia indietro rispetto alla minaccia iniziale di smembrare il colosso tecnologico, accontentandosi di misure correttive che molti osservatori giudicano insufficienti.
Una decisione del tutto simile a quella presa dalle autorità statunitensi; tra l'altro l'UE aveva "messo in pausa" la sanzione qualche giorno fa, pare proprio nel tentativo di gestire le crescenti tensioni con gli USA.
L'indagine formale era stata avviata nel giugno 2021 e si concentrava su una pratica che nel gergo tecnico viene chiamata "self-preferencing": Google avrebbe sistematicamente favorito i propri servizi di pubblicità digitale a scapito della concorrenza. I banner e gli annunci testuali personalizzati che appaiono sui siti web rappresentano un mercato multimiliardario, dove Mountain View detiene una posizione dominante che secondo Bruxelles è stata sfruttata in modo abusivo.
La reazione di Google non si è fatta attendere. Lee-Anne Mulholland, responsabile globale degli affari normativi dell'azienda, ha bollato la decisione come "sbagliata" e ha annunciato ricorso.
"Impone una multa ingiustificata e richiede cambiamenti che danneggeranno migliaia di aziende europee, rendendo più difficile per loro guadagnare", ha dichiarato in una nota ufficiale.
Il dietrofront che cambia tutto
Quello che rende questa vicenda particolarmente interessante è il cambio di strategia della Commissione Europea. Inizialmente, i funzionari di Bruxelles avevano parlato chiaramente di smantellamento forzato dell'impero pubblicitario di Google, sostenendo che le precedenti sanzioni pecuniarie si erano rivelate inefficaci. L'azienda californiana aveva infatti continuato a mantenere le stesse pratiche anticoncorrenziali, semplicemente modificandone la forma esteriore.
Ora invece l'approccio appare più morbido: oltre alla sanzione da quasi 3 miliardi di dollari, Google dovrà eliminare le pratiche di auto-preferenza e adottare misure per evitare conflitti di interesse nella catena di fornitura della tecnologia pubblicitaria. Una soluzione che molti critici considerano un compromesso al ribasso, soprattutto considerando che questa è già la quarta sanzione antitrust che il gigante tecnologico riceve dall'Unione Europea.
Un ecosistema pubblicitario sotto la lente
L'inchiesta della Commissione ha messo in luce come Google abbia costruito un ecosistema integrato che controlla ogni aspetto del mercato pubblicitario digitale: dagli strumenti per gli inserzionisti alle piattaforme per gli editori, passando per i sistemi di asta automatica che decidono quali annunci mostrare agli utenti. Questa integrazione verticale, secondo i regolatori europei, ha creato vantaggi sleali a discapito della concorrenza.
La risposta di Mulholland punta invece a normalizzare questa situazione: "Non c'è nulla di anticoncorrenziale nel fornire servizi per acquirenti e venditori di pubblicità, e ci sono più alternative ai nostri servizi che mai". Un'argomentazione che tuttavia non ha convinto i funzionari europei, che vedono in questa posizione dominante un ostacolo alla libera concorrenza nel mercato digitale