HP, l'azienda di computer e stampanti con sede in California, ha annunciato un piano di ristrutturazione che comporterà il licenziamento di una quota compresa tra il 7% e il 10% della sua forza lavoro globale, ovvero tra 4.000 e 6.000 dipendenti, entro ottobre 2028. L'obiettivo primario è integrare l'intelligenza artificiale per ottimizzare le operazioni, accelerare lo sviluppo di nuovi prodotti e raggiungere un risparmio strutturale di 1 miliardo di dollari all'anno.
Non si tratta dunque di una riduzione di personale dettata da un calo improvviso della domanda, ma di una riorganizzazione strategica che anticipa il potenziale dell'automazione. O, per dirla in un altro modo, ci si libera della manodopera umana che al momento non sembra più utile, realizzando così un risparmio immediato. E, allo stesso tempo, si lavora per alzare il livello dell’automazione - e questa è almeno in parte una scommessa che potrebbe rivelarsi mal concepita.
È un cambio di paradigma, perché l'investimento in tecnologia è direttamente proporzionale alla razionalizzazione del costo del lavoro, specialmente in aree come lo sviluppo prodotti e il servizio clienti. Vale a dire che si investe solo se allo stesso tempo di è tagliato altrove, in questo caso eliminando migliaia di posti di lavoro.
L'equazione economica dell'automazione
Il piano è costruito su una chiara equazione finanziaria: un costo di ristrutturazione stimato in 650 milioni di dollari per generare un ritorno annuale di 1 miliardo di dollari entro la fine del 2028. La scommessa di HP riflette le proiezioni diffuse: secondo un report del McKinsey Global Institute, circa il 40% dei lavori negli Stati Uniti potrebbe essere automatizzato dall'AI, interessando settori chiave come sanità, servizi legali e amministrazione. Sono proprio i ruoli che gestiscono compiti ripetitivi e di back office, come l'inserimento dati o la stesura di documenti legali, a essere maggiormente esposti.
Questo approccio aziendale, che vede l'AI come leva per la riduzione dei costi operativi, è un fenomeno che avevamo già analizzato, sottolineando come la vera finalità dell'adozione dell'AI, per molte corporation, sia l'eliminazione di posizioni lavorative anziché la sola ottimizzazione delle spese. La società, in continuità con quanto dichiarato da altre realtà come la aziende legale Clifford Chance, sta dimostrando che l'adozione dell'AI rappresenta la giustificazione strutturale per tagliare le risorse umane.
Pressioni sul mercato dei chip e sull'occupazione globale
Il contesto in cui la società HP opera è reso complesso anche dalle dinamiche della catena di fornitura. Nonostante l'AI sia il motore dell'efficienza, è anche la causa indiretta di un aumento dei costi hardware - che poi impatta direttamente sul core business di HP.
La corsa delle grandi aziende tecnologiche a costruire infrastrutture per l'AI ha innescato una forte domanda di memorie, spingendo al rialzo i prezzi dei semiconduttori DRAM e NAND. Gli analisti di Morgan Stanley hanno già avvertito che il costo elevato dei chip di memoria, che incidono tra il 15% e il 18% sul costo di un PC, potrebbe erodere i margini anche di HP e dei suoi diretti concorrenti, come Dell e Acer.
Parallelamente, il National Foundation for Educational Research del Regno Unito ha lanciato l'allarme sulla potenziale scomparsa di 3 milioni di posti a bassa specializzazione entro il 2035, come mestieri amministrativi e operativi.
Similmente, a strategia di HP e di molte aziende è chiara: integrare l'AI per fare di più con meno personale.
Qualcosa che in effetti potrebbe essere possibile con l’AI, sempre che lo strumento sia usato con consapevolezza e messo in mano a persone competenti e dotate di una bussola etica (anche una malfunzionante andrebbe bene).
Ciò impone una riflessione sulla necessità di un intervento sistemico: l'adozione dell'AI, che da un lato promette di sbloccare $2.9$ trilioni di valore economico (secondo l'analisi di McKinsey), dall'altro richiede una ridefinizione urgente delle politiche formative per i lavoratori. Perché ormai sono troppo i segnali che suggeriscono l’arrivo di una crisi occupazionale senza precedenti: in parte potremo rispondere con upskilling e reskilling, ma se vogliamo davvero disinnescare una bomba potenzialmente devastante, servono misure più incisive e più in fretta.
A un certo punto non è più questione di quanto sia valido lo strumento, o se sia un pappagallo stocastico o una nuova forma di consapevolezza. Sono tutti discorsi che lasciano il tempo che trovano se riprendiamo le redini della governance sociale: un miliardo di dollari di risparmio giustifica il costo umano di 6.000 licenziamenti se non si pianifica un percorso di reinserimento e riqualificazione per chi viene espulso dal ciclo produttivo?