I falsi miti più comuni nelle migrazioni al cloud

Dimension Data analizza punti critici nella migrazione al cloud e suggerisce come affrontare il cambio di paradigma nei sistemi informativi

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a cura di Giuseppe Saccardi

La parola d'ordine del momento sembra essere "Migriamo al cloud". Il perché è presto detto, si spende meno, non ci si deve approvvigionare di hardware, la manutenzione non preoccuperà più, e così via. E in effetti è più o meno tutto vero. Ma ci sono anche altri aspetti da considerare e in particolar modo il fine ultimo di un sistema informativo: le applicazioni. E qui certe volte interviene il timore che sia una cosa complessa e di fronte al timore non c'è ma che tenga, e si finisce con il perdere un'opportunità. 

Per cercare di capire se i problemi sono reali abbiamo chiesto a Dimension Data di spiegarci in cosa realmente si può incorrere e se i timori sono giustificati. Ebbene, Dimension Data ritiene che la migrazione di un’applicazione tradizionale sul cloud non sia così complessa come può sembrare inizialmente. Dalla stretta collaborazione con i propri clienti e sulla base della propria esperienza ha avuto modo di constatare e individuare tre tra i più comuni malintesi relativi alla migrazione da un’implementazione di server dedicati a un ambiente cloud. Vediamoli in dettaglio.

Migrare al cloud con un click

Mito 1: Il cloud non supporterà il networking per applicazioni multi-tier 

Se il software-defined networking (SDN) è indubbiamente una tematica molto sentita nel nostro mercato, in realtà è una tecnologia ancora in via di sviluppo e inaffidabile. A prescindere dall’avvento dell’SDN, negli ultimi anni nuovi concetti come "security groups" hanno cercato di soppiantare i tradizionali progetti di sicurezza aziendale e di firewall. Il problema è che i clienti delle aziende che forniscono SaaS o altre applicazioni enterprise potrebbero essere a disagio (per ottime ragioni, osserva Dimension Data) con la sicurezza erogata da questi progetti che, in base al mercato di riferimento, potrebbero avere un impatto negativo sulle vendite. 

Ma non sarebbe tutto. Qualsiasi applicazione realizzata più di 2 - 3 anni fa è stata scritta per operare in un’architettura tradizionale a 3 livelli con sezioni di networking distinti per il web, le applicazioni e i server database. Generalmente, a ciascuno di questi livelli vengono associate regole di firewall e profili di load balancing specifici. Progettare nuovamente tutto questo per operare in un ambiente di rete flessibile comporta uno sforzo prolungato e inutile in termini di costo dal momento che oggi esistono ambienti cloud, (come quello di Dimension Data, ha evidenziato la società), in grado di supportare un’architettura di rete tradizionale. 

In ultimo, molti vendor di cloud hanno scelto di implementare una topologia di rete che porta a prestazioni di rete significativamente più basse rispetto a una rete tradizionale hardware-based Layer 2 con prestazioni riservate per ogni segmento di rete. Le applicazioni aziendali vengono utilizzate a velocità e latenza wireline? Cosa succede se l’azienda migra questa applicazione su cloud che offre da 1/4 a 1/3 della velocità Gigabit wireline ?

Se un’azienda sta considerando tale passaggio ha due possibilità: 1) riscrivere l’applicazione per far fronte ai variabili livelli di latenza e throughput di rete o 2) scegliere un fornitore, come Dimension Data, in grado di offrire questa prestazione come parte della propria piattaforme standard. Tertium , direbbero i latini (e Dimension Data), non datur.

Nella scelta del cloud  ha molta importanza la rete e le sue caratteristiche

Mito 2: Il database non girerà su cloud

Fino a uno o due anni fa, la convinzione che un database non potesse operare bene in un ambiente di public cloud era ancora valida, ma molti hanno cambiato pensiero in breve tempo. A oggi, alcuni fornitori cloud forniscono opzioni database ad elevate prestazioni in ambiente cloud.

Dimension Data, ha spiegato, dispone di diverse metodologie per fornire database in cloud. Le offerte di Tiered Storage per cloud di Dimension Data, attualmente, offrono 3 opzioni di velocità dei dischi, con il più alto livello creato specificatamente per i database transazionali.

Inoltre, grazie a partnership come quella con Zadara Storage, è possibile anche il clustering di Microsoft SQL in cloud che, oltre al clustering failover, offre opzioni di RAID storage completamente personalizzabili (da SATA a SSD, da RAID 1 a 10, e la maggior parte delle altre opzioni intermedie). Infine, offre una integrazione semplice dei server fisici dedicati negli ambienti cloud dei propri clienti quando nessuna delle precedenti due soluzioni risulta funzionale. 

Mito 3: il cloud non è abbastanza affidabile per le applicazioni enterprise

A differenza di quanto il mercato vuol far credere, spiega Dimension Data, non tutte le piattaforme di public cloud sono intrinsecamente inaffidabili e quindi utilizzabili solo per applicazioni aziendali non critiche che non richiedono SLA stringenti o comunque per cui l’azienda può sopportare cali di prestazione o indisponibilità del servizio senza impatti significativi sul business. Esistono oggi piattaforme di public cloud in grado di garantire elevata affidabilità, configurabilità e prestazioni che abilitano il deployment di applicazioni enterprise critiche per il business.

Confrontandosi con i propri clienti Dimension Data ha riscontrato il timore di questi ultimi di non essere pronti per il cloud perché non hanno ancora re-ingegnerizzato le proprie applicazioni per tenere conto di queste e di altre “carenze percepite” nel public cloud. Anche se questi problemi esistono su alcune piattaforme, non sono diffusi ovunque. 

A causa dei costi notevoli legati alla riscrittura di un’applicazione, la selezione del vendor e della piattaforma cloud diventa quindi secondo Dimension Data un elemento critico per garantire che la scelta fatta dall’azienda supporti lo stato attuale delle proprie applicazioni senza impiegare mesi o anni per realizzare la migrazione.