Indigo.ai, così l’intelligenza artificiale conversazionale salverà il pensiero

In un mondo pieno di informazioni, l’AI conversazionale può (e deve) aiutare a ridurre il segnale secondo Andrea Tangredi, Co-Founder & Chief Designer Officer di Indigo.ai

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a cura di Antonino Caffo

Il mondo odierno è carico di informazioni, notifiche push, sovrapposizioni di messaggi, tanto che si parla di “signal to noise ratio”, ovvero del rapporto tra segnale e rumore. Ma cos’è il segnale? Cos’è il rumore? E come può l’intelligenza artificiale aiutarci a non venire sommersi di informazioni? Ce lo spiega Adrea Tangredi, Co-Founder & Chief Designer Officer di Indigo.ai. Ma serve un antefatto: IDC ha rilevato che nel 2018 c’erano 33 Zettabyte di dati in tutto il mondo (dove uno Zettabyte corrisponde a un miliardo di Terabyte), ma prevede che entro il 2025 si arriverà ai 175 Zettabyte. Non è tutto, IDC dice anche che le persone mediamente passeranno dalle 601 interazioni giornaliere con i propri device a 4.800 nel 2025.

«Anche se è difficile dare un senso a questi numeri, è chiaro che fanno impressione. E infatti sono un problema, teorizzato già dallo psicologo David Lewis nel 1996, chiamato information fatigue syndrome: troppi dati affaticano le nostre capacità analitiche e quando esse sono ridotte anche la nostra capacità di capire cosa è necessario e cosa non lo è viene alterata. Il pensiero è infatti un processo di esclusione, e a più informazioni corrispondono meno capacità analitiche. Meno capacità analitiche abbiamo, meno capacità di scelta possediamo. E a meno capacità di scelta corrispondono più informazioni in entrata. Un cane che si morde la coda» spiega Tangredi.

Questo processo, ripetuto, porta infatti all’information overload che non è nient’altro che l’incapacità cognitiva di restare al passo con tutte le informazioni che si hanno a disposizione. «Esistono però due tipi di information overload, e uno dei due è molto più insidioso. C’è un overload condizionale – che sorge quando dobbiamo trovare una risposta “giusta” in un oceano di informazioni, non tutte rilevanti: ma a gestire questo siamo diventati bravi grazie ai filtri tecnologici come i motori di ricerca. C’è poi quello ambientale, ed è questo il vero problema, che si crea quando siamo circondati da quantità di informazioni tutte rilevanti: le abbiamo scelte, sono cose che ci piacciono, ma sono talmente tante che facciamo fatica a elaborarle tutte».

Continuiamo a cliccare link, a scrollare, a ricaricare pagine, ad aprire nuove tab nei browser, ad aggiungere ai preferiti, alla lista di cose da leggere o guardare dopo, a controllare le email e le raccomandazioni di Netflix o di Amazon. Migliorando le tecnologie di ricerca, migliorando i filtri tecnologici, risolviamo il primo overload, quello condizionale causato dal troppo rumore, ma stiamo allo stesso tempo peggiorando il secondo, aumentando il flusso di informazioni rilevanti, creiamo troppo segnale. «I filtri fanno quello per cui li abbiamo costruiti: trovare l’informazione più rilevante e proporcela. Ma è impossibile pensare di risolvere il problema dell’overload di informazioni semplicemente migliorando la tecnologia che lo ha creato. Abbiamo bisogno di un cambio di prospettiva».

Per fortuna, ci stiamo affacciando su una rivoluzione tecnologica che potrebbe cambiare le regole del gioco nella battaglia tra segnale e rumore. L’intelligenza artificiale ha tutte le caratteristiche per diventare il più potente filtro tecnologico mai inventato prima e inondare le nostre vite di segnale e di informazioni rilevanti. Già oggi qualsiasi sistema di raccomandazione esistente sfrutta l’AI: da Spotify a Netflix, tutti stanno facendo a gara per diventare i nostri migliori amici, conoscere i nostri gusti meglio di chiunque altro, ma l’intelligenza artificiale può spingersi anche molto oltre, creando filtri tecnologici che non solo conoscono i nostri gusti, ma che sono in grado di creare dal nulla contenuti unici per quel momento e quella persona.

«Immaginate una pubblicità che è stata creata al momento, pensata apposta per i voi e per i vostri gusti, che probabilmente sarete le uniche persone nella storia a vedere. L’AI può farlo, basti pensare al fenomeno dei deep-fake per capire le potenzialità che questa tecnologia ha nel creare contenuti e media. Quindi, prima di arrivare al momento in cui qualsiasi cosa sia segnale, dobbiamo trovare il modo di sfruttare la potenza dell’intelligenza artificiale per prediligere calma, qualità e benessere».

«Il cambiamento dovrebbe arrivare direttamente dalle persone che concepiscono gli strumenti e le tecnologie che usiamo ogni giorno. Noi del mestiere dobbiamo iniziare a sentire il carico della responsabilità di quello che creiamo, per cercare di costruire strumenti che aiutino le persone a non entrare nel loop della information fatigue syndrome. Noi che in Indigo.ai ci occupiamo di queste tematiche per lavoro, ci siamo chiesti: “Cosa possiamo fare? Se migliorare i filtri peggiora le cose, come ci dobbiamo comportare? Come ci ribelliamo?”»

La soluzione è costruire tecnologie che ci permettano di rimanere in contatto con la natura. Dobbiamo scegliere di rallentare in una società che non fa altro che accelerare e per farlo possiamo prendere spunto da soluzioni inventate migliaia di anni fa, come il linguaggio e la conversazione, che garantiscono il tempo necessario per elaborare le informazioni e aggiungono pause tra un’informazione e l’altra. Esiste già oggi un tipo di tecnologia basata sulla conversazione: si chiama “intelligenza artificiale conversazionale” e può essere la base di un nuovo modo, più sano, di approcciarci alle informazioni. Se fino ad ora abbiamo cercato di ridurre il rumore nei nostri tool e nelle nostre tecnologie, oggi dobbiamo iniziare a capovolgere il paradigma riducendo anche il segnale, e la conversational AI può aiutarci.

«Una tecnologia basata sulla conversazione è, insomma, una tecnologia a misura d’uomo e che rispetta i tempi e i processi del modo di pensare umano. Una tecnologia che previene l’overload di informazioni perché è adatta a noi e non richiede che noi ci adattiamo a lei».