Piuttosto che tornare in ufficio mi licenzio, succede veramente

Per alcuni tornare in ufficio è una prospettiva insopportabile; meglio dare le dimissioni e cercare qualcosa di meglio.

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a cura di Valerio Porcu

Senior Editor

Durante il periodo più intenso della pandemia da COVID-19 milioni di lavoratori in tutto il mondo si sono trovati a lavorare da casa. In molti si sono così resi conto che la produttività resta alta e i costi diminuiscono. 

Diverse aziende nel mondo tuttavia non hanno voluto sfruttare i vantaggi della nuova situazione e hanno cominciato a richiamare i lavoratori. Per alcuni c’è però stata una doccia fredda: molti collaboratori preferiscono licenziarsi piuttosto che tornare alla vecchia vita. 

A confermare la situazione, almeno per gli USA, è l'economista di Stanford Nick Bloom, che si è spinto a dichiarare la morte della politica "ritorno in ufficio". Una strategia che ha coinvolto molte aziende, per una varietà di motivi: molti vogliono sfruttare gli investimenti immobiliari che altrimenti andrebbero persi, ma non mancano dirigenti che insistono sul fatto che il lavoro remoto non sia vero lavoro. 

IBM, Apple, Google, Meta e altre hanno tutte adottato un approccio ibrido, dove si chiede di venire in ufficio 2-3 giorni alla settimana o anche meno. Altre aziende hanno chiesto un ritorno al 100%, e queste in particolare hanno scoperto che molti lavoratori scelgono le dimissioni piuttosto che tornare in ufficio

Conviene alle aziende, ma lo stipendio potrebbe calare

Alcuni faticano ad abbracciare questa nuova visione del lavoro, e riescono solo a immaginare persone che invece di lavorare se ne stanno in panciolle sul divano, oppure si dedicano ad attività personali. 

In verità non è così, ed è ormai evidente che chi vuole lavorare lo fa ancora più volentieri da casa e con migliori risultati, magari organizzandosi uno spazio di lavoro con i migliori accessori per lo smart working. Mentre il classico fannullone continuerà a non battere chiodo anche se si trova in ufficio sono l’occhio “vigile” del capo. Una situazione che, casomai, ci dice qualcosa sulla competenza di certi dirigenti nel valutare le prestazioni e la produttività dei collaboratori. 

I vantaggi per il lavoratore esistono ovviamente, a cominciare dal tempo risparmiato per la commutazione casa-lavoro, che in alcuni casi significa diverse ore al giorno - e i relativi costi naturalmente. Anche se, secondo le ricerche, forse per i lavoratori il diffondersi del lavoro remoto potrebbe implicare qualche problema, perché rende più facile assumere persone lontane che costano meno.

"L'aumento del lavoro a distanza rende più facile per le aziende situate in aree ad alto salario assumere e impiegare personale in aree con salari più bassi", osservano gli economisti nel documento Evolution of Work from Home.

"È inoltre dimostrato che i tassi di abbandono e i costi di turnover diminuiscono quando un'azienda permette ai propri dipendenti di adottare modalità di lavoro ibride. E i modelli economici standard implicano che l'aumento del lavoro a distanza esercita una pressione al ribasso sui salari reali attraverso gli effetti dell'offerta di lavoro".

Insomma, sembra proprio che fare pressioni sui lavoratori affinché tornino in ufficio sia una cosa poco sensata dal punto di vista aziendale. A meno appunto l’obiettivo non sia proprio spingerli alle dimissioni, così da risparmiare i costi del licenziamento.