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Revolut vale 75 miliardi, mette in crisi il mondo bancario tradizionale

La fintech Revolut raggiunge la valutazione stratosferica di 75 miliardi di dollari grazie a un nuovo round di finanziamento da 3 miliardi, sollevando interrogativi sulla sostenibilità nel settore digital banking.

Avatar di Valerio Porcu

a cura di Valerio Porcu

Senior Editor @Tom's Hardware Italia

Pubblicato il 20/10/2025 alle 18:53
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La recente iniezione di 3 miliardi di dollari di nuovi finanziamenti ha spinto la valutazione della società fintech Revolut a 75 miliardi di dollari, un dato che consolida la sua posizione di gigante nel panorama del digital banking. Già nel 2018 Revolut aveva raggiunto un valore di 1,7 miliardi di dollari.

La cifra  è un sintomo della fiducia incondizionata che il mercato continua a riporre nella crescita accelerata del modello neobancario, spinto dalla promessa di rivoluzionare i servizi finanziari tradizionali, un mantra ormai noto a chi si occupa di tecnologia e business. Sicuramente la novità c'è e si fa sentire, come dimostrano i milioni di utenti registrati in tutto il mondo 

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Restano però aperti gli interrogativi su quanto queste valutazioni siano ancorate a metriche tradizionali come la redditività e quanto invece siano guidate da un premio di mercato per l'innovazione e la capacità di disintermediazione. Non che ci sia nulla di male a premiare una startup promettente, ma prima o poi bisogna tornare con i piedi per terra e dimostrare che dietro all'hype c'è del vero valore.

Revolut sicuramente non è rimasta con le mani in mano, e ha fatto molto per creare valore: nel tempo, ha saputo trasformarsi da semplice app di cambio valuta a piattaforma finanziaria a tutto tondo, offrendo servizi che spaziano dai conti business alla gestione delle criptovalute e agli investimenti in azioni e materie prime, cercando di costruire un vero e proprio ecosistema digitale.

La cifra, infatti, è un sintomo della fiducia incondizionata che il mercato continua a riporre nella crescita accelerata del modello neobancario, spinto dalla promessa di rivoluzionare i servizi finanziari tradizionali.

Un elemento chiave della strategia di Revolut è stata la sua espansione aggressiva e l'introduzione continua di nuovi servizi, compresi quelli rivolti al mondo B2B, come i conti aziendali e i terminali POS che mirano a semplificare la gestione delle finanze delle PMI.

Se da un lato l'orientamento al business è un tentativo di trovare flussi di ricavi più stabili, dall'altro la storia della crescita della società non è stata esente da sfide sul piano della compliance e della trasparenza.

Il successo di un operatore digitale in questo spazio non si misura solo in termini di utenti attivi o volumi di transazione, ma nella capacità di governare l'etica del proprio algoritmo e di bilanciare la velocità di innovazione con la responsabilità finanziaria.

I nuovi capitali saranno presumibilmente investiti per spingere l'espansione geografica e lo sviluppo della tecnologia, in particolare le funzionalità basate sull'intelligenza artificiale (IA) per l'automazione dei servizi e la personalizzazione dell'offerta.

Il nodo della redditività e dell'impatto sul mercato

Il modello neobancario di Revolut si basa sulla creazione di un'esperienza utente superiore e sulla riduzione dei costi operativi tramite la tecnologia. La strategia sembra funzionare in termini di acquisizione clienti, ma il passaggio cruciale è trasformare la fedeltà e il volume in una redditività sostenibile.

Il dibattito sui margini ristretti nel digital banking è infatti una costante e l'ultima ondata di finanziamenti spinge l'azienda a dimostrare rapidamente che la sua valutazione non è una bolla speculativa, ma riflette un valore economico reale e a lungo termine.

Tutto considerato, comunque, queste nuove banche stanno destabilizzando tutto il settore, spingendo a un ritmo di innovazione che diversamente sarebbe stato impossibile; e a certificarlo è stata la stessa Banca Centrale Europea solo pochi mesi fa.  

L'impatto sul mercato tradizionale è infatti innegabile: la pressione competitiva di un attore valutato 75 miliardi costringe gli operatori storici a investimenti massivi nella digitalizzazione, mutando radicalmente l'offerta.

Tuttavia, la domanda che rimane aperta è di natura sistemica: in che misura questa corsa alle valutazioni, alimentata da funding round sempre più grandi, sta contribuendo a una cultura digitale finanziaria consapevole, che vada oltre il semplice consumo di servizi, o sta solo solo creando nuovi oligopoli tecnologici, spostando il potere da un posto all'altro? 

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