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Back to the Outback, recensione dell'avventura australiana di Netflix

In Back to the Outback, gli animali più letali dell’Australia sono incompresi teneroni, in questa avventura australiana per i più piccoli targata Netflix.

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Avatar di Valentino Cinefra

a cura di Valentino Cinefra

Pubblicato il 05/12/2021 alle 17:15

Stanche di stare rinchiuse in un rettilario dove gli esseri umani le scrutano come se fossero mostri, alcune tra le creature più letali d'Australia si riuniscono in un gruppo improbabile e pianificano una fuga coraggiosa dallo zoo per raggiungere l'outback, dove potersi sentire a loro agio senza essere giudicate per le squame o i denti. Un serpente velenoso dal cuore d’oro, un diavolo spinoso strafottente, un disilluso ragno peloso e un emotivo scorpione sono i protagonisti di quest’avventura in giro per l’Australia, pensata ovviamente per i più piccoli. Un’idea semplice, ma per questo funzionale, che rende Back to the Outback – Ritorno alla Natura un film piacevolissimo. Una pellicola ancorata abbastanza alla realtà, perché la tematica della realizzazione di sé, così come l’idea che la diversità è un valore, sono discorsi che frequentemente prendono piede nei dialoghi dell’attualità.

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Gli animali vivono in uno zoo, dove alcuni vengono inseriti all’interno di uno show per dimostrare ai visitatori quanto la fauna dell’Australia sia pericolosa, il quale è gestito da Chaz Hunt, l’archetipo del macho australiano che combatte con gli alligatori e sopravvive nell’outback per settimane. Un personaggio centrale per la trama, che abbindola gli animali dello zoo per il suo tornaconto personale, creando una maschera di finzione che, durante la storia, scopriremo essere legata anche al suo background personale. Suo figlio, che vive nel mito dell’eroismo di suo padre, rappresenta l’avatar del giovane spettatore che, prima della fine del film, imparerà l’idea che non bisogna mai giudicare dalle apparenze.

Back to the Outback, una storia che parla di natura

Nello zoo, gli animali sono scesi a patti con la propria natura. C’è chi si diverte nel fingere di essere una creatura terrificante, chi lo fa con fatica, chi prende la cosa seriamente come un secchione studiando le caratteristiche di tutti, e Maddie, la femmina di serpente che è la figura centrale del gruppo, che scoprirà nel più classico degli incidenti scatenanti come sia stata vittima di una menzogna per tutta la sua vita.

Contemporaneamente c’è Pretty Boy, un viziatissimo e presuntuoso koala, che è diventato una celebrità. Viene messo in una vetrina virtuale dallo zoo per creare uno show in live streaming continuo, in cui gli spettatori possono vedere Pretty Boy dormire, giocare, mangiare, e sostanzialmente vivere ogni momento della sua vita. Il tutto a beneficio dello zoo stesso, che ha creato una linea di merchandise ispirata al morbido e paffuto koala.

Quella della sovraesposizione mediatica è una storia che, ormai, vive ognuno di noi dal momento in cui ha accesso ad un social network per la prima volta. La declinazione che ne fa Back to the Outback è molto buona perché diventa comprensibile, e facilmente digeribile dai più giovani perché ammorbidita dalle sue implicazioni più gravi che, noi adulti, conosciamo bene.

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In generale, l’idea del film di mostrare alcune tra le creature più letali del pianeta come degli incompresi è infatti interessante. Rappresenta il cuore della pellicola, e dà la possibilità alla storia di sostenersi su una banda di eroi dalle personalità ben chiare con i propri punti di forza e debolezza. Il target di riferimento rende ovviamente i rapporti tra di loro molto chiari, non c’è un eccessivo approfondimento psicologico ma un nucleo di relazioni semplici e ben definite fin da subito.

I protagonisti della storia sono molto simpatici, e vederli alle prese con le contraddizioni del mondo reale è altrettanto divertente. Dopo l’incidente scatenante il gruppo di animali capisce che è il momento di tornare nell’outback, la steppa australiana dove la fauna vive allo stato brado, e da quel momento inizia un’avventura molto classica, piena di brio, con giusto un paio di momenti di retorica evitabili (ma comprensibili visto il target molto giovane) sul fatto che “gli uomini sono più pericolosi degli animali”.

Tutto il cast vive in una buona sinergia tra battute e momenti più teneri, dove ognuno imparerà a riconoscere sé stesso, o farlo per la prima volta come nel caso di Pretty Boy, cresciuto nella bambagia fin da piccolo.

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Vietato giudicare dalle apparenze

Niente è come sembra in Back to the Outback, una cosa che i protagonisti impareranno grazie anche ad un gruppo di animali-spie internazionale che protegge tutta la fauna mondiale, una sorta di S.H.I.E.L.D. della Marvel declinato in chiave documentaristica. Un’idea su cui il film si appoggia molto, relegando a questo dettaglio alcune svolte chiave della narrazione tra cui il finale che, però, si incarta per via di una incongruenza rispetto al primo atto.

Nonostante ciò, come detto, il film si segue con un certo piacere. Complici anche le animazioni ed i disegni di buona fattura, che riescono a restituire un’espressività degli animali e degli umani abbastanza soddisfacente. Il debito con Pixar e Dreamworks è evidente in termini di estetica, e pur non raggiungendo l’eccellenza degli studi citati riesce comunque a fare il suo egregio lavoro.

Aiutano tantissimo anche gli scorci dell’Australia, soprattutto nel terzo atto, quando le creature evadono dal mondo civile per tornare nel loro habitat. Back to the Outback costruisce delle cartoline digitali di grande impatto, che faranno sicuramente la gioia dei più piccoli, e riempiranno i loro occhi soprattutto se hanno già sviluppato una passione per l’Australia e le sue bizzarre (e pericolose) creature.

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Conclusioni

Back to the Outback – Ritorno alla Natura è disponibile su Netflix dal 10 dicembre, e arriva in un periodo a dir poco congeniale. Questa divertente e piacevole avventura che parla di diversità e rapporto tra uomo e natura è perfetta da seguire in famiglia, magari proprio durante le festività. Con personaggi semplici ma funzionali, divertenti senza mai esaltare, la pellicola è un buon viaggio di formazione e di scoperta di sé stessi, e delle bellezze dell’Australia. Non un film memorabile, ma sicuramente gradevole.

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