Black Phone, recensione del criptico horror con Ethan Hawke

Black Phone è il nuovo horror di Scott Derrickson in sala dal 23 giugno. Un thriller-horror che pone fin troppe domande senza risposta.

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a cura di Livia Soreca

Dal 23 giugno le sale italiane si sono riempite di horror maniaci grazie a Black Phone nuovo film targato Universal Pictures e Blumhouse Productions, diretto da Scott Derrickson. Ad attirare subito l'attenzione è il cast che annovera la presenza di Ethan Hawke, ultimamente alle prese con Moon Knight, che abbiamo già visto in collaborazione con il regista nei panni di Ellison Oswalt in Sinister (2012).

Il film è tratto dall'omonimo romanzo d'orrore di Joe Hill (padre di Locke & Key), pubblicato nel 2004; un vizio di famiglia, visto che l'autore, sotto pseudonimo, è il figlio di Stephen King. Black Phone può sembrare una semplice storia di un misterioso assassino. Il film, in realtà, cerca di andare oltre, celando però una lunga serie di dubbi e domande a cui, a quanto pare, non esiste un'unica vera risposta.

Black Phone è un film godibile?

Nell'America degli anni 70, Finney e Gwen Shaw (Mason Thames e Madeleine McGraw), orfani di madre e con un padre violento e dipendente dall'alcol, vivono la propria preadolescenza tra l'ambiente domestico opprimente e quello scolastico in cui il bullismo è all'ordine del giorno. Da qualche tempo, una figura misteriosa, detta Rapace, si aggira per le strade della città rapendo ragazzini maschi, di cui non si ha mai più traccia. La polizia non ha nulla per seguire una vera e propria pista, fatta eccezione per i misteriosi sogni della piccola Gwen, a cui tutti gli agenti stentano a credere nonostante le inquietanti coincidenze. Quando anche Finney è rapito dall'uomo misterioso, comincia quella che sembra essere davvero un'impossibile fuga, ma qualcosa di inimmaginabile sta per accadere.

Con un meccanismo di escape room, Black Phone sfrutta la tensione tipica di questo genere cinematografico, puntando molto sull'ansia di scoprire cosa succede l'attimo sempre successivo. Una tensione che, in effetti, incolla gli occhi allo schermo fin quando, dopo una gran manciata di minuti, non si intuisce che in realtà alcuni snodi non ci saranno. Lo spettatore, concentrato sui numerosi tentativi di fuga e sperando nella loro riuscita, quasi non si rende conto del tempo che passa. Un bene, per certi versi. Il film di Derrickson riesce ad intrattenere fino alla fine, puntando sul costante dubbio e sull'impellente voglia di conoscere quanto più possibile.

Il punto di vista di Finney

A dispetto di ciò che sembra dal trailer ufficiale, il vero protagonista non è il misterioso Rapace. Durante la narrazione, i punti di vista cambiano poco, si spostano da Gwen a Finney in maniera quasi alternata. Il personaggio di Ethan Hawke, che sembrava centrale prima della visione, è un antagonista piuttosto inaccessibile, visto quasi sempre con gli occhi del ragazzo. Le due giovani personalità sono ben definite: fratello e sorella premurosi l'un l'altra, si fanno forza a vicenda. Lui, più insicuro e impacciato, è spesso aiutato dai suoi amici, coinvolti nelle risse contro i bulli. Finney non si perde d'animo e si rialza sempre, un colpo alla volta. Gwen, d'altro canto, convive con le sue criptiche visioni, dimostrando di essere pronta a tutto per cercare di ritrovare suo fratello.

Quando Finney si sveglia in uno scantinato insonorizzato, con alla parete solo un telefono dai fili rotti, Black Phone comincia a giocare con lo spettatore. In quella stanza vuota si assistono a scene particolari che seguono una narrazione precisa, con un ordine degli eventi piuttosto schematico. In qualche modo, qualcosa suggerisce a Finney cosa fare, ed egli pian piano esegue questi consigli, risolvendo piccoli enigmi e aguzzando l'ingegno e lo spirito d'osservazione. "Chi o cosa dà i suggerimenti?" non è forse la domanda esatta. È più opportuno chiedersi "C'è davvero qualcosa o qualcuno che sta dando una mano al protagonista?". In questo caso il punto di vista di Finney è l'unico, e questo lungo tentativo di fuga lo coinvolge in prima persona. Tutto ciò che accade in quelle quatto mura è mostrato attraverso i suoi sensi, in particolare vista e udito.

Black Phone: più thriller che horror

Senza scendere ora nei dettagli, è come se Black Phone volesse a tutti costi lasciarsi associare all'horror, e a tutti quegli elementi tipici che ne conseguono. Che sia una strana presenza o un telefono che squilla anche quando non dovrebbe, è palesata una dimensione quasi sovrannaturale che, in un certo senso, è fin troppo ovvia e poco appropriata. Due sono i dettagli che fanno pensare ad una possibile chiave di lettura differente: il percorso di Finney e le parole del Rapace. I misteriosi indizi che il ragazzo riceve per cercare di scappare farebbero pensare che egli, incapace di cavarsela solo, non meriti alcun momento di riscatto personale. Sarebbe più interessante pensare, invece, che tutto ciò che accade nella stanza sia esclusivo frutto di sé.

Alcune fugaci parole del personaggio di Hawke riguardo lo strano telefono senza corrente fanno più pensare ad una suggestione data dall'isolamento e dalla scarsità di cibo e acqua, rispetto ad eventi incomprensibili da parte della semplice mente umana. Ne siamo certi? Non proprio. Elementi surreali sono, in primis, i sogni premonitori di Gwen, intorno ai quali non ruotano molti dubbi. È quindi possibile che ce ne siano altri nel racconto? Non c'è una vera risposta, proprio perché non abbiamo molti punti di vista. È probabile che il film mostri qualcosa sia per spacciarlo come tale, sia per stuzzicare l'immaginazione alla ricerca di un substrato più profondo, più stimolante per chi non vuole accontentarsi della versione più ovvia e meno intricata.

Black Phone è un buon thriller, ma forse non l'horror che sperava di poter apparire. Questo si evince anche dalla scarsa quantità di momenti spaventosi, fatta eccezione per qualche jumpscare che, ancora, fanno di tutto per portare sullo schermo un'opera dell'orrore, ma in maniera quasi decontestualizzata. È evidente che si punti molto più sulla tensione che sulla paura.

Chi è il Rapace?

Non esiste risposta al quesito che nasce intorno all'identità del Rapace, oppure se ne potrebbero trovare mille. Black Phone possiede una pecca irreparabile. Ethan Hawke, personalità strabiliante, in questo film non sboccia come ci si aspettava. Il suo personaggio ha una caratterizzazione fisica davvero particolare: si aggira nelle vesti di un illusionista, ed è con finti numeri di magia che rapisce i ragazzini della città, scaraventandoli nel suo inquietante furgoncino e lasciando sul posto dei palloncini neri.

Questa teatralità del Rapace non finisce qui. Egli, quando si mostra alle sue vittime, indossa una possente maschera con grandi corna, a ricordare un demone o il diavolo in persona. Talvolta ne cambia persino la parte inferiore, dando al suo costume diverse espressioni. Cammina e si muove spesso come un attore sul palco (alla Jack Sparrow, per intendersi) e carica la voce, enfatica e istrionica.

Da una personalità come quella di Hawke e da una figura così ben presentata, si attende un grande passo in più che in Black Phone non arriva mai. Quello che poteva essere davvero il personaggio più interessante non ha quasi mai un ruolo preponderante, se non in rarissimi momenti in cui, finalmente, non assistiamo alla storia solo attraverso gli occhi di Finney. Del Rapace si sa davvero poco o nulla: chi è? Come si chiama? Perché rapisce i giovani maschi della città? La sceneggiatura, firmata da Derrickson e C. Robert Cargill, lascia di tanto in tanto qualche indizio quasi impercettibile.

Si sa, fin da subito, che anche lui riesce a sentire gli squilli del telefono, o meglio ci riusciva. In più, cattura solo ragazzi. Viene da pensare che sia il folle e vendicativo gesto di un'orribile preadolescenza trascorsa nello stesso scantinato. Che la situazione familiare di Finney sia una sorta di parallelismo? L'opera fa sì che sia lo spettatore a preoccuparsene, privando il Rapace di una caratterizzazione psicologica più definita, elemento che dovrebbe essere fondamentale, specie per un antagonista.

Black Phone e la sua libera interpretazione

Se da un lato Black Phone è capace di far parlare di sé e di stimolare una lunga serie di ipotesi nate da indizi criptici e quasi intangibili, dall'altro anche la libera interpretazione ha un limite. È difficile da accettare che il Rapace si riduca, il più delle volte, ad un personaggio quasi marginale, di passaggio, che si vede appena. I piccoli accenni di un background, insieme al mistero che aleggia sul suo volto e la sua identità, non sono certamente sufficienti a connotare tale figura, anzi indispettiscono lo spettatore che vorrebbe saperne molto di più, senza dover necessariamente inventare una storia per poter darsi pace.

L'impronta di Scott Derrickson

Pur non avvicinandosi nemmeno lontanamente al tipo di cinema horror a cui il regista ha abituato il proprio pubblico, il suo stile di regia è ben visibile sin dai primi minuti. Lunghi titoli di testa, in cui brevi scene sono giustapposte in maniera apparentemente poco connessa, sono realizzati in modo che sembrino il frutto di vecchie pellicole con filigrana. La realizzazione tramite riprese veloci e sfocate ricorda molto le scelte stilistiche di Sinister, pilastro del genere horror, così come alcuni intermezzi simili all'interno della consueta narrazione. Un esempio sono proprio i sogni di Gwen, un po' come se queste immagini oniriche venissero macchinosamente proiettate nella sua mente.

La simulazione delle vecchie pellicole ricorda, in fondo, che si è negli anni '70. Un pregio di Black Phone è certamente quello di saper restituire perfettamente quell'epoca, con un sapiente lavoro per i costumi e le scenografie, e un accurato props design, visibile grazie gli inserti, ossia le inquadrature concentrate sui dettagli. La fotografia risulta più ricercata in queste occasioni che nel resto del lungometraggio, con immagini che raccontano la storia in maniera piuttosto lineare. I sogni premonitori sono forse i veri unici momenti in cui è tangibile un maggiore fascino, con una narrazione discontinua, e immagini giustapposte che restituiscono un'atmosfera quasi allucinatoria.

In conclusione

Black Phone è un'opera piuttosto godibile. Il racconto è appetibile, con una struttura che però non accontenta, e che lascia sempre sperare in qualcosa di profondo che lo stesso film tenta di celare. Derrickson chiede allo spettatore una partecipazione attiva nel trovare i nessi e i segreti che si nascondono dietro ciò che è visibile e tangibile, ma forse questo lavoro costa fin troppo. Per certi versi, Black Phone sembra trasformarsi in un'opera pigra, che confonde la libera immaginazione del pubblico con la mancanza di presupposti essenziali, utili ad inquadrare meglio il background ma soprattutto l'identità di un personaggio come quello interpretato Ethan Hawke.