Cloverfield, quando la copertina ti vende una saga

Partito come un esperimento mediatico e pubblicitario isolato, Cloverfield si è evoluto in una interessante saga di film fantascientifici, apparentemente non correlati tra loro ma tuttavia accomunati da un comune approccio al marketing.

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a cura di Andrea Balena

Chi ricorda Cloverfield, il film del 2008 che fece tanto discutere per quella misteriosa campagna marketing e l'intrigante poster con la Statua della Libertà distrutta e la skyline di Manhattan in fiamme? Sicuramente molti, perché nel suo alone di mistero quella pellicola riuscì a catalizzare l'attenzione degli appassionati di fantascienza che ancora oggi, dopo dieci anni, vorrebbero saperne di più sul misterioso mostro e su tutte le speculazioni e teorie che gli girano attorno.

Ancora prima di essere una buona pellicola, il film diretto da Matt Reeves costituisce un precedente non da poco per Hollywood e l'industria del cinema, per via del suo marketing mirato e alternativo, talmente innovativo che probabilmente ne avrebbe decretato il successo in ogni caso. Il noto sociologo canadese Marshall McLuhan riassunse in un unico titolo (in seguito diventato la sua frase più iconica) questa filosofia dei media che ancora oggi impera: "Il medium è il messaggio".

È interessante ripercorrere il caso Cloverfield analizzando come la sua campagna marketing virale sia riuscita a costruire l'hype verso un film con brevi e confusi trailer, messaggi criptati e suoni misteriosi, rivelatasi cruciali per suscitare l'interesse dello spettatore-consumatore cinematografico. E come se non bastasse, questo piccolo ma efficace esperimento ha confermato ancora una volta il genio di J.J. Abrams come produttore dopo il fenomeno televisivo Lost.

In seguito all'ottimo successo ottenuto dal primo film - si parla di incassi globali di 170 milioni di dollari a fronte di una spesa stimata sui 25 - il marketing ha continuato a fornire dettagli sulla vicenda, allungandone per molto tempo la sua vita nel sottobosco del web. Era prevedibile che un certo punto la fiamma dell'interesse si sarebbe affievolita, e che a quel punto la Paramount Pictures e Bad Robot avrebbero voluto riaccenderla a tutti i costi con nuove pellicole.

Solo dopo anni di tentativi e tante idee scartate, si son resi conto che un Cloverfield 2 sarebbe stato poco credibile, vista la natura autoconclusiva della prima pellicola, ma guardando al grande successo ottenuto dal Marvel Cinematic Universe (di cui la Paramount ha perso il controllo dopo l'acquisto da parte di Disney) e anche la ribalta della serialità televisiva degli ultimi anni, si è deciso di costruire una saga diversa dal solito, seguendo più le dinamiche che hanno fatto il successo di prodotti come True Detective e American Horror Story.

Oggi contiamo due seguiti della pellicola originale, 10 Cloverfield Lane (2016) e The Cloverfield Paradox (2018), che apparentemente non presentano legami diretti con il primo e che, per le storie e i registri utilizzati, vanno a formare una vera antologia della fantascienza cinematografica. Ma il punto più interessante in entrambi i casi è la pubblicità virale costruita, che prima attira l'interesse dei consumatori con annunci a sorpresa a ridosso dell'uscita, e in seguito fornisce materiale audiovisivo aggiuntivo, da consultare sul web per approfondire le vicende narrate.

Si tratta di uno dei casi più eclatanti e approfonditi di ipertesto cinematografico, dove per avere una visione completa del prodotto bisogna consultare più medium. Una pratica ampiamente consolidata nell'ambiente televisivo, ma che trova una neonata forma e interesse virale sul grande schermo. Oltre ad analizzare i tre film, analizzeremo come il marketing sia riuscito a stratificarne le vicende e del perché ancora oggi ci siano molti appassionati che cercano risposte.