Diffamare su Facebook è un grave reato, flamer avvertiti

La Corte di Cassazione equipara il social network alla stampa per quanto riguarda la diffamazione, e ribadisce che la bacheca non è strumento strettamente personale perché permette di raggiungere, potenzialmente, un pubblico molto vasto. L'opinione dell'avvocato Flavio Azzariti.

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a cura di Valerio Porcu

Senior Editor

Diffamare qualcuno su Facebook è un reato grave, equivalente alla diffamazione a mezzo stampa. Ad affermarlo è stata la V sezione penale della Cassazione, nell'ambito di un processo nato da una denuncia di Francesco Rocca, presidente della Croce Rossa Italiana, e all'epoca dei fatti anche Commissario Straordinario della Cri.

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Nel 2010 un componente in congedo della CRI aveva insultato Rocca tramite la propria pagina Facebook. Ora la Corte di Cassazione ha stabilito che tale comportamento costituisce diffamazione aggravata ai sensi dell'articolo 595, comma terzo del codice penale. Vale a dire che è, secondo i giudici, come pubblicare le parole sulle pagine di un giornale, quindi con la potenzialità di "raggiungere un numero indeterminato di persone".

La nota che accompagna la decisione dei giudici specifica inoltre che la natura di Facebook, strumento che promuove la comunicazione tra persone, crea "il profilo del rapporto interpersonale allargato ad un gruppo indeterminato di aderenti al fine di una costante socializzazione".

Commento dell'Avv. Flavio Azzariti

(Studio Legale Associato Fioriglio-Croari)

Spesso gli utenti del web utilizzano la Rete con estrema leggerezza, senza considerare che, attraverso gli strumenti a loro disposizione possono commettere degli illeciti, esattamente come avviene nella vita "reale".

Ancora una volta la Corte di Cassazione è tornata sul tema della diffamazione effettuata mediante social network (Facebook, in questo caso), confermando un orientamento già ampiamente diffuso ed in parte condiviso dagli operatori del diritto (e non solo).

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Ebbene, con la sentenza in commento, è stato ritenuto che una condotta diffamatoria posta in essere via Facebook non soltanto risulta essere potenzialmente idonea ad integrare il reato previsto dall'art. 595 del Codice Penale, ma può anche essere soggetta all'aggravante prevista dal terzo comma del medesimo articolo.

Pertanto, sulla scorta di quanto stabilito dai Giudici del Palazzaccio, l'utente Facebook sarà soggetto alla medesima pena prevista per colui che diffama a mezzo della stampa, essendo il social network in questione pacificamente identificato quale "qualsiasi altro mezzo di pubblicità".

In ogni caso, quanto statuito non esclude il "sacrosanto" diritto di critica previsto dalla nostra Costituzione, diritto che resta salvo purché la manifestazione del pensiero avvenga nel rispetto ai principi di verità, della pertinenza della notizia, e continenza della forma, ossia nel rispetto dell'onore e dell'altrui reputazione.

È pertanto opportuno, (anche) su internet, assumere la consapevolezza che una "critica", espressa con un linguaggio non rientrante nell'ambito dei limiti appena indicati, può determinare rilevanti conseguenze in capo a chi utilizza impropriamente i mezzi di comunicazione a disposizione, ritenendo - erroneamente - di restare nell'anonimato.