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Disincanto Parte 4, recensione: la fragilità di Dreamland

Disincanto Parte 4: il ritorno a Dreamland riuscirà a far dimenticare le perplessità delle precedenti parti?

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Avatar di Manuel Enrico

a cura di Manuel Enrico

Pubblicato il 09/02/2022 alle 09:01 - Aggiornato il 09/08/2022 alle 11:27

Viene da chiedersi come mai anche Disincanto, la serie animata di Matt Groening disponibile su Netflix, sia stata spietatamente suddivisa in parti anziché stagioni. Il nuovo concept di suddivisione della serialità, che in passato ha interessato dei titoli di alto richiamo come La Casa di Carta, può esser utile nel tenere alta la suspence per una serie live action, ma può funzionare anche in un prodotto narrativamente differente come una serie animata? Un interrogativo che, godendoci l’anteprima di Disincanto Parte 4, è sorto spontaneo.

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La rivoluzione della serialità degli ultimi anni, infatti, ha imposto una diversa concezione di fruizione, vuoi per l’avvento dello streaming, vuoi per il differente approccio dello spettatore. Gli episodi non hanno più una durata standard, si riscontra una durata maggiore del minutaggio e una conseguente riduzione del numero di puntate a stagione. Un’evoluzione del medium che può esser comprensibile per serie live action, ma addentrandoci in una grammatica narrativa profondamente diversa, come quella dell’animazione, questo discorso può essere ancora valido? Nel caso di Disincanto Parte 4 si riscontrano alcuni piccoli difetti che sono, giocoforza, conseguenza di questo meccanismo.

Disincanto Parte 4: il peso di esser regnanti

Disincanto, al momento della sua uscita, era preceduta da una notevole curiosità, divenuta presto un’aspettativa importante. Matt Groening si porta sulle spalle l’opprimente etichetta di creatore dei Simpsons, il cartone animato per adulti per eccellenza, capace di riscrivere la percezione dell’animazione seriale, rivolgendosi a un diverso pubblico e mettendo alla berlina vizi e difetti dell’american way. Con Disincanto, Groening ha dovuto trovare un taglio differente per ripetere in parte il suo exploit con la famiglia di Springville, adattando la sua verve comica e l’irriverente ritrattistica al mondo del fantasy. Disincanto – Parte 1 era stata viziata da questa spasmodica ricerca di un equilibrio narrativo, assenza che ancora ora, giunti alla quarta parte delle imprese di Tiabeanie e dei suoi compagni, sembra essere latitante, soprattutto quando si tratta di dare a ogni personaggio il giusto spazio.

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Una parziale correzione di rotta era emersa in Disincanto Parte 2, con l’introduzione di una maggior coerenza tra gli eventi che lasciava emergere una parvenza di trama orizzontale strutturata, fondata sul ruolo di Teabeanie come erede del trono di Dreamland e al contempo centro di una complessa macchinazione infernale. Le vicende reali assumevano toni più definiti, comparivano diversi comprimari, alcuni dei quali divenuti figure ricorrenti, ma la sensazione era sempre quella di trovarsi a un diluito preambolo, che ha trovato, fortunatamente, in Disincanto – Parte 3 la sua conclusione. O meglio, quasi trovato, considerato come il vero finale della terza parte della serie coincida con il primo episodio di Disincanto – Parte 4.

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Motivo per cui, possiamo considerare Disincanto Parte 4 come il primo passo di un nuovo arco narrativo della serie di Groening. In particolare, Disincanto Parte 3 è stato centrale nel definire finalmente il cuore dei personaggi, lasciando emergere emozioni e sofferenze intime, con un’incredibile preminenza del rimpianto per le occasioni perdute. Proprio quest’ultima sensazione assume il ruolo di fulcro emotivo di Disincanto Parte 4, divenendo il motore di una serie di eventi che animerà i dieci rapidi, a tratti confusi, episodi. E qui, nuovamente emerge quella percezione di trama poco organica di cui hanno sofferto le precedenti serie di Disincanto, infrangendo la speranza maturata alla fine di Disincanto Parte 3, dove l’apparente consolidarsi di una narrazione ironica ma al contempo matura nella trattazione di temi emotivi e sociali di una certa rilevanza aveva illuso che Disincanto – Parte 4 mostrasse la maturità creativa di Groening.

Una serie in cerca di lucidità

Al contario, Disincanto Parte 4 sembra ricadere nelle precedenti mancanze. Il ritorno dall’inferno di Tiabeanie, in concomitanza con l’internamento del padre in un manicomio, coincide con la sua nomina a regina di Dreamland, un cambiamento nella sua vita che sarebbe stato un ottimo punto di partenza per mostrare una sua crescita interiore. Occasione persa, che viene mal giocata dando un’eccessiva sterzata agli eventi, che prendono un ritmo ipercinetico e spesso forzoso nella loro consecutività, al punto che in più di un’occasione si percepisce una sensazione di urgenza. Personaggi inseriti come deus ex machina fuori luogo fanno la loro comparsa giusto per necessità narrative e non come parte di una più ampia avventura, con battute telefonate e una serie di gag prive di smalto, incolori.

Disincanto – Parte 4 sembra soffrire il ruolo di capitolo di svolta della serie, faticando a gestire il minutaggio degli episodi, incapaci di contenere l’evolversi di linee narrative in atto dai precedenti capitoli e avviare nuovi slanci. Un confusionario ritmo narrativo che porta a clamorosi ritorni e uscite di scena, che nel loro inseguirsi frenetico mancano di creare i presupposti per veri colpi di scena, smorzando anche l’ironia di certi siparietti e appiattendo quello che avrebbe potuto essere un intrigante capitolo di svolta per Disincanto, che risulta invece nuovamente troppo legato alle figure di Tiabeanie e di re Zøg, relegando gli altri personaggi a meri strumenti privi di personalità.

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Se sul lato tecnico quanto mostrato da Disincanto Parte 4 risulta in linea con l’ottima qualità già apprezzata nelle precedenti parti, è la scansione dei tempi narrativi a mostrare nuovamente una certa fragilità. Difficile dire se sia la conseguenza di una farraginosa trama orizzontale, priva di veri punti fermi, o se la frammentazione in parti, anziché in stagioni più ampie e coese, avrebbe maggiormente giovato a questo mondo fantastico. Gli esempi di narrazione animata ben strutturata su Netflix non mancano, dall’irriverente Rick & Morty al sorprendente Arcane, eppure Disincanto Parte 4 non riesce a trovare la propria occasione per fare il passo finale da lungo preambolo a storia finemente strutturata.

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