Dogmadrome, la recensione: l'arte che scaturisce da disordine e follia

Dogmadrome è la prima graphic novel ad opera di Lorenzo Mò, autore giovane ma visivamente straordinario, al suo esordio con Eris Edizioni.

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a cura di Raffaele Giasi

Senior Editor

Forte di influenze che ripescano a piene mani dallo stile cartoonesco tipico degli anni '30 e '40, Lorenzo Mò si è prepotentemente imposto alla nostra attenzione già da qualche anno. Stiamo parlando di un autore giovane, con alle spalle esperienze di illustrazione e storie brevi, ma che con il suo gusto calamitante è riuscito subito a catturare il nostro immaginario, riportando la memoria ai grandi dell'animazione e del fumetto degli anni che furono, e che finalmente arriva con il suo attesissimo Dogmadrome, pubblicato da Eris Edizioni proprio di recente.

Guardare le tavole di Lorenzo è come fare un tuffo in un passato glorioso. Un tempo in cui i lavori di Iwerks, di Grim Natwick e soprattutto di Gottfredson, a cui Mò sembra tributare gran parte della sua ispirazione così deliziosamente “old school”, erano un punto di riferimento per i disegnatori di gran parte del mondo. Quelle linee sottili, quei personaggi dal tratto morbido, privo di spigoli, e con quelle pose così deliziosamente goffe, hanno segnato l'immaginario collettivo non solo delle generazioni immediatamente successive, ma anche artisti più recenti o, se vogliamo, moderni, che hanno declinato quel tratto classico in qualcosa di nuovo, colorato, esplosivo, tremendamente pop.

Pensiamo ad esempio ad artisti come KAWS, che proprio in tal senso hanno ricostruito l'immagine animata classica al servizio della cultura pop e street, e come questi anche, ovviamente, il giovane e talentuoso Lorenzo Mò, che con Dogmadrome fonde quell'immaginario visivo ad uno stile più moderno, e per certi versi più ricercato.

Scuserete il lungo preambolo, ma se avrete già dato un occhio alle immagini inserite in questo articolo, avrete capito che le parole non sono dettate da un discorso pretenzioso (o pretestuoso) ma da qualcosa di molto più concreto.

Dogmadrome, è un'occasione eccezionale per (ri)scoprire il talento di Mò, già arrivato all'attenzione di molti grazie alla sua partecipazione alla nuova gestione di Linus (Lorenzo, per altro, aveva già partecipato alla rivista nella sua precedente gestione, chiamato da Hurricane Ivan a realizzare alcune illustrazioni nell'agosto 2016) che, grazie ad Igort, ha permesso al giovane artista di pubblicare uno splendido racconto dedicato al cane “Merendino”, una piccola e deliziosa space opera pregna di tutti i canoni visivi di riferimento, ma arricchita da quella freschezza e quella modernità che paiono imprescindibili per l'artista. L'eco potente dell'animazione d'epoca, già con Merendino, era impressionante, e Dogmadrome non ha fatto che espandere a dismisura l'idea di un tratto che sa coniugare stili e nuovi in un connubio perfetto, che non sacrifica nella sua sintesi né la componente più “classica” dello stile di Mò, nella la sua controparte moderna che, specie nelle scelte dei colori, cita ma non copia pedissequamente gli schemi cromatici del fumetto dell'epoca (in quei rari casi in cui questo era a colori).

La storia è quella di quattro amici: Edo, Gianni, Fede e Paro. I primi tre sono rappresentati in modo bizzarro, come creature dai tratti magici o giù di lì, mentre Paro si manifesta nel racconto solo come una voce fuori campo, un narratore costantemente in contatto con i giocatori, più che con il lettore, in quella che è a tutti gli effetti una sessione di un gioco di ruolo.

Dogmadrome, dunque, è una storia in una storia, che diventerà ben presto una storia, in una storia, in un'altra storia, costruita come un grande e meraviglioso tributo al gioco di ruolo, probabilmente figlio di una sessione di gioco reale di Mò di qualche suo amico che, ci scommetteremmo, ha mantenuto intatto ruolo e nome nella trasposizione di quelle serate di gruppo su carta, al servizio di questo mondo nuovo e fantastico.

A dispetto di un momentaneo spiazzamento, dato ovviamente dal bisogno del lettore di rispondere alle domande fondamentali sul chi, come, dove e perché, capiamo ben presto che i ragazzi sono in qualche modo rimasti intrappolati in un gioco chiamato Struggler Runner, in cui il mondo è soggetto alla fantasia di Paro, che da bravo “Master” può modificare la realtà come preferisce, grazie ad un potere quasi divino. Tra l'incapacità di Paro di fare il suo dovere, e la frustrazione dei tre amici nel sentirsi in trappola in un mondo che (forse?) può ucciderli, il gruppo di giocatori si imbatte ben presto in una minaccia nascosta ai margini del gioco, in cui un male persistente e antico pare mettere a repentaglio non solo la salvezza del gruppo giocante, ma persino quella dello stesso Master, spettatore cosciente ma non onnisciente di quello che si trasformerà ben presto in un imprevisto disastro. 

Dogmadrome è un gioco continuo di rimandi e citazioni ad un immaginario della cultura nerd che è, oggi più che mai, particolarmente foriero di ispirazione. La sottocultura pen & paper, animata da riferimenti e citazioni al mondo del fumetto e dell'animazione, dal mondo Disney ai Master of the Universe, passando ovviamente per i videogame, si raccolgono nel lavoro di Mò con stile e vivacità, offrendo al lettore un'avventura che partendo apparentemente conclusionata, acquista ben presto una sua precisa identità, ed una buona sostanza.

Divertente scoprire gli artifici di Mò, tra città in cui si parla solo per avverbi, all'assimilazione di regole dettate dal gioco ed i suoi “abitanti” che per quanto stralunate si fanno accettare senza riserve dal lettore, conducendolo in un viaggio che non teme di nascondere dentro sé stesso non solo riflessioni interessanti, come quella legata al potere dell'immaginazione ed ai suoi limiti, ma anche risvolti molto amari, che ricordano al lettore, o meglio “al giocatore”, quanto la vita possa essere abile nel riportarci brutalmente alla realtà.

Mò, in questo senso confeziona un'avventura dal ritmo inizialmente un po' sincopato, ma che poi rapidamente ascende verso un furioso succedersi di pagine, figlie di una situazione che ben presto finirà per mettersi molto male per i suoi protagonisti. Curioso, che questa frenesia venga poi bruscamente arrestata sulle pagine finali, la cui conclusioni ha un sapore quasi anticlimatico per il lettore, lasciandosi però furbescamente la porta aperta per un futuro sequel che, considerato il materiale del primo numero, a questo punto ci auguriamo diventi ben presto realtà.

Chiunque abbia giocato ad un gioco di ruolo con matite e dadi, sa che una sessione con gli amici, per quanto possa essere soggette a tonnellate di regole scritte su carta, sarà sempre e comunque regolata da una sola cosa: il caos. Il caos dato dalla goliardia del momento, dall'incapacità di certi giocatori di conformarsi al regolamento, il caos che rende sempre e comunque una sessione di ruolo più frizzante. Mò sembra saperlo bene, ed il suo racconto si sviluppa esattamente così: l'immaginazione è un luogo che è soggetto a regole a cui, tutto sommato, se ne frega di sottostare. Quelle regole sono dettate dalla logica, ma nello scontro contro l'immaginazione, la prima ne esce irrimediabilmente sconfitta. E così Dogmadrome chiede al lettore ed ai suoi protagonisti di mettere da parte la logica, e di perdersi in un mondo immaginifico ed affascinante in cui il caos, il caso regnano incontrastati.

Il risultato è un racconto delizioso, ambientato in un mondo che cambia continuamente volto, e che si diverte a mascherarsi a seconda dell'estro del suo autore. Talvolta rievocando il mito immaginifico dello sword & sorcery, altre volte rimescolandosi a favore dell'immaginario dei più tipici dungeon crowler, altre volte ancora virando drasticamente verso le immagini più tipiche dello stile delle silly simphonies. Eppure se fosse tutto qui, se questo fosse un semplice gioco a “chi può citare meglio”, allora diremmo che il lavoro di Mò è più un esercizio di stile che altro. Per fortuna così non è. Dogmadrome è una commistione di profondità e spensieratezza, di situazioni paradossali condite da dialoghi che riescono ad essere sorprendenti, di griglie dall'impostazione quasi scolastica, che spesso dirompono in soluzioni diverse, inattese, al servizio di una dinamica dei corpi che vuole trasporre l'animazione su carta. Un lavoro fluido, funzionale e divertente, che non cade nel facile gioco della citazione, a cui tutti vorrebbero aggrapparsi per soddisfare la fetta più pigra dell'utenza odierna. Il pretesto è, per l'appunto, solo pretesto. Sotto Dogmadrome, nelle pieghe dell'immaginazione che lo sorregge, e soprattutto nello spirito creativo di Mò, c'è più che una moda: c'è della sostanza.