Il kernel Linux 6.15 si prepara ad abbandonare definitivamente il supporto per i processori Intel 486 e i primi Pentium. Questi chip, che hanno segnato tappe cruciali dell'informatica nei primi anni '90, stanno per concludere un incredibile viaggio durato oltre trent'anni. Mentre Microsoft aveva già voltato loro le spalle nel 2001 con l'uscita di Windows XP, Linux ha continuato a supportare questi veterani fino ad oggi, dimostrando ancora una volta la sua incredibile versatilità e longevità.
La decisione non è stata presa alla leggera, ma riflette una realtà tecnologica ormai innegabile: dedicare risorse allo sviluppo per hardware così datato non è più giustificabile in un ecosistema in continua evoluzione. Linus Torvalds, il creatore di Linux, ha espresso chiaramente la sua posizione sulla Linux Kernel Mailing List, affermando che "non esiste alcun motivo valido per cui qualcuno dovrebbe sprecare anche solo un secondo di sforzo di sviluppo su questo tipo di problematica".
Si tratta del secondo grande "pensionamento" di una famiglia di processori nella storia di Linux, dopo l'abbandono dei 386 avvenuto nel 2012. D'ora in avanti, il requisito minimo per far girare le nuove versioni del kernel sarà un processore Pentium originale (P5) o più recente, dotato di funzionalità come il Time Stamp Counter (TSC) e l'istruzione CMPXCHG8B, assenti nei vecchi 486.
Il cambiamento comporterà l'eliminazione di circa 14.000 righe di codice legacy distribuite in circa 80 file. Questo include la rimozione dell'emulazione software dell'unità di calcolo in virgola mobile (FPU), necessaria per CPU prive di FPU integrate, come il famigerato 486SX, o per compensare i difetti del primo Pentium, noto per il bug FDIV nel calcolo delle divisioni.
La pulizia del codice non è solo una questione di eleganza tecnica. Come ha sottolineato Ingo Molnár, sviluppatore senior del kernel Linux, "nell'architettura x86 abbiamo varie complicate funzionalità di emulazione hardware su x86-32 per supportare antiche CPU a 32 bit che pochissime persone utilizzano con kernel moderni. Questo codice di compatibilità a volte causa problemi che le persone impiegano tempo a risolvere, tempo che potrebbe essere speso su altre questioni".
Non è la prima volta che Torvalds esprime il desiderio di lasciarsi alle spalle i 486. Già nel 2022 aveva suggerito: "Forse dovremmo semplicemente mordere il proiettile e dire che supportiamo solo x86-32 con 'cmpxchg8b' (cioè Pentium e successivi)". All'epoca, però, la comunità non era ancora pronta a dire addio a questi processori storici.
Per gli appassionati e i collezionisti che ancora utilizzano hardware basato su 486, non tutto è perduto. Come ha ricordato lo stesso Torvalds, sarà sempre possibile "eseguire kernel da museo". Distribuzioni Linux più datate come Debian 3.0 o Ubuntu 10.04 continueranno a funzionare su questi processori, e persino sui più antichi 386. Esistono inoltre distribuzioni specializzate come MuLinux, progettate specificamente per hardware degli anni '80.
Utilizzare questi sistemi significa però rinunciare a tutti gli aggiornamenti di sicurezza rilasciati negli ultimi anni, esponendosi potenzialmente a vulnerabilità note. Una scelta che può avere senso solo per sistemi completamente isolati da reti o per puro interesse storico.
L'impatto pratico di questa decisione sarà minimo. Gli ultimi chip i486 commerciali sono usciti di produzione nel 2007, e oggi è difficile trovare qualcuno che utilizzi ancora un PC dei primi anni 2000 per scopi diversi dal collezionismo o in specifici sistemi embedded. La semplificazione del kernel porterà a una manutenzione più agevole e a prestazioni migliori sui sistemi supportati.
C'è comunque un senso di nostalgia nel salutare questi pionieri dell'informatica personale. Chi ha vissuto l'era in cui un 486DX a 33MHz rappresentava il non plus ultra della potenza di calcolo, con i suoi 16 megabyte di RAM e un prezzo di listino di 25.000 dollari, non può fare a meno di riflettere su quanto rapidamente la tecnologia sia progredita.
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