Dylan Dog 406, L’ultima risata, la recensione

Dylan Dog chiude il sipario sul ciclo 666, aprendo un mondo che tutti gli i fan conoscevano da tempo. Scoprite cosa accade al nostro Dylan nella nostra recensione de L’ultima risata.

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a cura di Massimo Costante

Senior Editor

Dopo aver conosciuto la nuova esistenza di Dylan Dog nel ciclo 666, pensavamo di aver visto tutto e tutti…ma qualcosa, o meglio qualcuno mancava all’appello. In questo finale, avremo modo di capire dove si trova Groucho in questa nuova realtà messa in opera da Roberto Recchioni, se si tratta davvero del pazzo assassino che ha lasciato la sua scia di sangue nei numeri precedenti, ma soprattutto di conoscere fino in fondo quel caro “vecchio” Dylan che non ci ha mai lasciati.

Il Dylan che abbiamo visto nei numeri precedenti, si fa carico di ristabilire quella genesi che spesso nel canone immaginato da Tiziano Sclavi presentava diverse lacune. Grazie alla rimodulazione di alcuni personaggi, ma soprattutto di alcuni eventi, dall’Alba Nera fino a quest’ultimo numero, abbiamo assistito ad alcune rivelazioni sul conto dell’inquilino di Craven Road, che completano un quadro sul passato del personaggio piuttosto interessante.

Dylan Dog, L’ultima risata

Dylan Dog 406 – L’ultima risata è praticamente l’unico numero di questo ciclo che non ha rimandi ai primi numeri pubblicati tra il 1986 e il 1987, poiché, in modo molto più incisivo rispetto a quanto visto in La lama, la Luna e l’orco, proietta il lettore verso lo storytelling principale immaginato dall’autore, ovvero l’indagine sul serial killer che sta seminando morti a Londra con una macabra vena comica, che culmina e sorprende raccontando ancora una volta il protagonista. E Dylan ormai è sulle sue tracce…

Si apre il sipario.

Nebbia fitta, Dylan e Gnaghi sono a bordo dello scassatissimo Maggiolone, mentre sono diretti al manicomio di Harlech. Secondo gli indizi raccolti da Dylan, il killer dalla firma comica dovrebbe trovarsi in buona compagnia, proprio in mezzo ai pazzi del manicomio londinese, ma numerosi altri pericoli attendono i nostri, già dall’ingresso della struttura.

L’ultima risata vede il nostro Dylan affrontare una serie di difficoltà disseminate per tutto il manicomio, tutte proposte come una sorta di corsa agli ostacoli, o di nemici da battere prima di arrivare al boss di fine livello, per vederla con occhi da videogiocatore. Tutti questi nemici, però, offrono una serie di spunti che mostrano, un po’ per volta, il carattere dell’indagatore, alcune sue caratteristiche immutabili (l’essere animalista, il rifiuto dell’uso della forza, la difesa per i più deboli).

Dopo un’autentica spirale di follia e commistioni tra questa realtà e quella più ispirata dai grandi classici del fantasy e dell’incubo, spaziando da Herman Melville a H.P. Lovecraft, con personaggi davvero meravigliosi, giganti violenti, assassini armati di sega a nastro, madri dimenticate, donne abusate… ad Harlech c’è la sicurezza di trovare diversi stadi di follia, ma che necessitano di ascolto, di una guida. E tutti gli ospiti di Harlech, prima di trovare Dylan, hanno trovato la guida di un nuovo direttore.

Si tratta proprio del serial killer al quale il nostro improbabile duo sta dando la caccia.

Apprezzabile il ritorno nelle scene di alcuni personaggi storici (senza spoilerare troppo, siamo ad Harlech, quindi poter ritrovare un certo Lord era abbastanza plausibile), ma anche il prosieguo nell’intreccio narrativo relativo a Anna Never/Mater Morbi.

Gnà.

Certo, non potevamo dimenticare il contributo del preziosissimo assistente di Dylan, un personaggio che, pur avendo ancora molti tratti inediti, in questo albo riesce davvero a dire molto di sé. Gnà. No, che non si può risolvere tutto a colpi di pala, e i nostri due eroi lo capiranno ancora meglio su queste pagine.

La resa dei conti è davvero uno dei più grandi colpi di scena orchestrati dall’autore dopo tanta sperimentazione, un culmine di questa narrazione durata sei mesi, dove si riesce ad unire tutti i punti, e a dare il giusto equilibrio alla genesi di Dylan.

Dylan Dog, l’equilibrio generato dal caos

Chi pensava che tutti i cambiamenti apportati al canone dylandoghiano fossero fuori posto, leggendo il ciclo 666, e in particolare quest’ultimo albo, si sbagliava e troverà il giusto equilibrio in tutto.

Il punto zero immaginato da Recchioni, riesce a colmare anni di inesattezze, lacune narrative, eventi inspiegabili, a volte perfino corretti nelle ristampe, con una certa maestria resa più visibile in questo finale di stagione – passateci l’espressione da serie televisiva -, dando una perfetta sensazione di equilibrio a tutto il vecchio e nuovo canone dylandoghiano.

L’evoluzione portata da Recchioni, quindi, si rende utile solo per rendere ancora più digeribile il passato ambiguo di Dylan, “un personaggio nato e sviluppato in corsa” come spiega lo stesso autore nel corso di una nostra intervista, non certamente per stravolgerlo o cambiarlo.

La storia ha un ritmo serrato coniugato a momenti alternati di tensione e forte dinamismo, con un Corrado Roi ancora ai massimi livelli, in grado di traghettare con immagini forti ed evocative quello che, con ogni probabilità, è l’albo più riuscito dell’intero ciclo 666. A proposito di immagini, da questo numero viene definitivamente rotta quella tradizione che vede “Groucho” essere soggetto di copertina solo nei numeri celebrativi o albi speciali (se escludiamo anche il 399, ma a margine di tutto, possiamo definirlo anch’esso un numero celebrativo), con un Gigi Cavenago in copertina, che mette in opera chine e colori ancora una volta insuperabili.

Nonostante tutto, siamo convinti che se prima sentivamo la mancanza di qualcuno, questa sensazione di malinconia continuerà ad esserci anche nei prossimi numeri…

In aggiunta al suggerimento dell’autore che propone l’ascolto del classico psichedelico In-A-Gadda-Da-Vida degli Iron Butterfly, vi consigliamo All Within My Hands dei Metallica. Se uscirete vivi da Harlech ci vedremo ancora su queste pagine il prossimo mese. Gnà.

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