I film debuttano online, la Cina si arrabbia

La Cina muove guerra ai film che debuttano direttamente online, pianificando un severo giro di vite ai servizi di streaming nazionali.

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a cura di Walter Ferri

In questo tempo di quarantena forzata, i film stanno sempre più rinunciando ai cinema per debuttare direttamente online, ma la Cina è tutt'altro che favorevole alla cosa. Stando alle fonti di Reuters, la Repubblica Popolare starebbe infatti valutando di introdurre rigide regolamentazioni pur di bloccare questa pratica, giudicandola pericolosa per la propria industria cinematografica, ormai resa fragile dalla crisi sanitaria.

I dissapori sono esplosi quando lo Huanxi Media Group ha pubblicato gratuitamente una sua commedia blockbuster, Dispersi in Russia, sulla piattaforma streaming di ByteDance Network, azienda di Beijing che possiede anche TikTok e BuzzVideo. I gestori della sale di proiezione hanno urlato all'unisono il loro malcontento, temendo che dopo tre mesi di chiusura forzata, questo precedente avrebbe dato il via a una un'economia cinematografica parallela e pronta a tagliarli fuori. Un dubbio lecito, visto che a pochi giorni di distanza un secondo film ha emulato la strategia rivelandosi sulla piattaforma online di iQiyi Inc.

L'industria filmica cinese è seconda per dimensioni solamente a quella statunitense, per proteggerla il governo vorrebbe imporre un "periodo minimo di proiezione cinematografica" obbligatorio, ovvero sta pianificando di rendere impossibile alle pellicole di debuttare al di fuori delle sale di proiezione. Una risposta forte alle lamentele dell'Amministrazione Nazionale Cinematografica, la quale ha ricordato ieri che, a causa dell'epidemia di coronavirus, il settore stia rischiando di perdere ¥30 miliardi di introiti, ovvero circa €4 miliardi.

Una risoluzione tanto draconiana e repentina potrebbe essere giustificata anche dalle insidie che derivano dal vigilare sulla distribuzione online. La Cina, paese notoriamente incline alla censura, questo aprile ha già dovuto richiamare ByteDance, imponendogli di chiudere un'app della sua scuderia attraverso la quale era possibile svicolarsi dalle limitazioni di navigazione imposte dallo Stato.

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