Il Re dei Topi: la recensione del western atipico di Luca Barbieri

Il Re dei Topi ha prigioniera sua figlia, e nulla lo salverà dalla determinazione di Hermo Haymonod. Luca Barbieri racconto un meraviglioso, spietato mondo

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a cura di Manuel Enrico

Il Re dei Topi è il classico libro che non ti aspetti, quella lettura capace di sorprenderti ad ogni pagina con una nuova rivelazione così potente da lasciarti a bocca aperta. Il merito è della sfrenata fantasia di Luca Barbieri, autore de Il Re dei Topi, che è riuscito a creare una particolare alchimia in cui elementi narrativi apparentemente lontani da loro trovano una felice sinergia in un’ambientazione variegata e coesa.

La creazione di un mondo come quello in cui si muovono gli attori de Il Re dei Topi è un delicato gioco di incastri. Barbieri, già curatore della serie fantasy Dragonero,  ha dalla sua una profonda conoscenza degli elementi che compongono questo universo, essendo anche un apprezzato saggista, grazie ad una puntuale produzione di volumi in cui presenta licantropi, vampiri e pistoleri. Già autore di Five Fingers, Barbieri aveva dimostrato di padroneggiare ottimamente il racconto avventuroso, specialmente se impreziosito da vene ciniche e spietate tipiche di una frontiera selvaggia e impietosa.

Di polvere, violenza e redenzione

Hermo Haymonod è il capo di un piccolo villaggio minatori, una realtà minacciata da una letale malattia che sembra inarrestabile. Figlio del precedente capovillaggio, Hermo ha ereditato questa carica, anche se il suo ruolo principale è quello di medico, un compito che al momento sembra venire costantemente sbeffeggiato dall’epidemia che sta decimando la sua gente. Per Hermo questo si traduce in una sfiducia nelle proprie capacità, acuita dal modo in cui i suoi concittadini non riescono a considerarlo un capo, preferendo seguire la guida del capo dei minatori.

Quando quest’ultimo rimane ucciso durante la difesa del villaggio da parte di una banda di predoni, Hermo decide di sfidare le proprie paure e scendere nel Pozzo. Il Pozzo è un luogo antico, in cui sono conservate conoscenze antiche, accessibili solo al capovillaggio. Nella speranza di trovare una cura alla malattia, Hermo trova invece una verità che lo sconvolge: aveva una figlia, Morgana, ma la ha venduta ad uno schiavista, il Re dei Topi. Il problema è che Hermo non ha alcun ricordo di questo evento, né della madre della ragazza.

Per l’uomo, questa rivelazione è il punto di rottura, una verità straziante che lo spinge ad abbandonare le responsabilità di capovillaggio e partire subito alla ricerca della figlia sconosciuta, imbarcandosi in un viaggio attraverso il mondo in cerca di redenzione. Parte integrante di questa missione è il confrontarsi con realtà diverse, incontrando compagni di viaggio che condivideranno con lui parte del cammino o lo accompagneranno sino alla conclusione della sua ricerca.

Una disperata marcia attraverso deserti sabbiosi e città soffocate dal carbone, in cui l’unica costante è l’aspetto ferino dell’animo umano. Una caratteristica che arriva inalterate sino alle ultime pagine, in cui una serie di colpi di scena ribalta la nostra percezione di protagonista ed ambientazione, con un plot twist geniale e che lascia la speranza per un seguito.

Un mondo vivo e spietato per una storia violenta e disperata

La parte più interessante de Il Re dei Topi è il world building, ossia la creazione dell’ambientazione in cui si muovono i personaggi. Barbieri, da esperto ed appassionato di western, utilizza il telaio della selvaggia frontiera americana come fondamenta per il suo mondo, salvo poi arricchirlo di suggestioni mutuate dalla fantascienza o dal sovrannaturale. Si tratta di un lavoro non semplice, in cui si deve cercare un equilibrio in cui le diverse componenti trovino la giusta identità senza venire soffocate dalle altre ispirazioni. L’ideale di terra selvaggia e inospitale tipica del Vecchio West è onnipresente, la forza motrice del mondo in cui si muovono Hermo e i suoi compagni, componente essenziale per trasmettere un senso di acida sopravvivenza e cinico egoismo, che porta spesso a concepire l’isolazionismo come un metodo di difesa.

Nel suo viaggio, Hermo ha modo di ampliare la propria conoscenza del mondo. Leggende e posti lontani conosciuti solo come luoghi esotici e spesso idealizzati diventano elementi palpabili della sua realtà, spesso rivelando un’anima nera e soffocante che rende la ricerca della figlia ancora più perigliosa. È affascinante assistere anche al mutare dei paesaggi, che Barbieri descrive con una scelta di similitudini e immagini che richiamano ad un immaginario lontano dalla quotidianità del lettore, ma in linea con il vissuto del protagonista.

Si tratta di un’ottima impostazione narrativa, perché aiuta il lettore ad allontanarsi dai suoi punti di riferimento, avvicinandolo al mondo in cui viene catapultato. Leggere degli spietati predoni che assaltano i viaggiatori o delle misteriose Genti delle Stelle assume un altro sapore quando questi elementi vengono spiegati con il linguaggio nei personaggi, non solo negli ottimi dialoghi, ma anche nelle descrizioni, lunghe e mai asfissianti, proprio per questa loro peculiare identità.

Il Re dei Topi è una lettura ammaliante proprio per lo stile di Barbieri. Una scrittura secca, non nei modi ma nei toni, in cui l’asprezza del mondo si manifesta nei modi di dire e negli atteggiamenti dei personaggi, descritti dall’autore con una precisione tale da portarne la struggente umanità su pagina con tutto il loro carico di amarezza e speranze. Personaggi come Nikolay o le Bambole compaiono verso il finale della storia, eppure sembrano esser presenti dall’inizio del viaggio, grazie alla cura con cui Barbieri ne costruisce l’umanità attraverso piccoli gesti e caratteristiche, inserite quasi noncuranza nella narrazione, ma rendendoli quei dettagli che impreziosiscono un’epica tagliente e permeata da una disperata ricerca di redenzione.

Si parlava prima dell’abilità di Barbieri di realizzare un’ambientazione credibile. Sarebbe facile paragonare Barbieri al King della Torre Nera, esempio storico di commistione di fantascienza, western e magico. In realtà, lo scrittore ligure, pur omaggiando in alcuni passaggi il romanziere americano, riesce a imprimere alla propria creatura una personalità indiscutibile, suggestionando il lettore non solo con la costruzione di un mondo palpabile, ma trasmettendo anche una sorta di folklore e mitologia unica, nata da elementi sovrannaturali o non comprensibili dai personaggi. La presenza di demoni e magie, affiancata alla naturale superstizione legata alle perdute conoscenze degli Antichi Padri diventano punti forti di consolidamento di questo universo.

Conclusioni

Dopo aver letto il finale rivelatore, diventa ancora più forte la sensazione che Il Re dei Topi non merita di rimanere un romanzo fine a se stesso. La presenza di una storia non del tutto conclusa, fomentata dalla curiosità di scoprire le vere motivazioni di alcuni dei personaggi secondari visti in azione è forte, specialmente considerando come il mondo creato da Barbieri si presti ad essere un contenitore di infinite storie.

L’unica pecca, per quanto comprensibile, è la cura redazionale. Viziato da numerosi refusi e con una grafica dell’impaginazione che avrebbe meritato una maggior cura e personalità, Il Re dei Topi deve comunque molto ad una casa editrice ‘minore’ che ha dato fiducia a questa interessante idea di Barbieri. È la realtà editoriale attuale, in cui prodotto validi sono spesso piagati da difetti inevitabilmente legati alle dure leggi del mercato, in cui gli investimenti sono risicati e penalizzano autori promettenti e case editrici lodevoli, come . Un buon modo per invertire queste tendenze è premiare inventiva ed impegno di autori ed editori, consigliando e, magari approfittando delle prossime festività, regalare volumi come Il Re dei Topi. Perché in un mondo come quello creato da Barbieri stanno vivendo incredibili avventure che aspettano solo di venire raccontante, magari intorno ad un falò sorseggiando un buon borboun nel silenzio notturno del deserto.