Le Montagne della Follia di Lovecraft, illustrato da Baranger - Recensione

Il primo volume (di due) di Le Montagne della Follia, illustrato da François Baranger, è la visionaria interpretazione di un classico della letteratura horror.

Avatar di Domenico Musicò

a cura di Domenico Musicò

Colossale opera facente parte del leggendario Ciclo di Cthulhu, Le Montagne della Follia è uno degli scritti di Lovecraft più importanti e popolari, un classico della letteratura horror americana capace di tratteggiare con deflagrante potenza immaginifica una situazione ai limiti del credibile, facendo sfumare la linea di demarcazione tra l'ambito del fantastico e del possibilismo. Precursore di un sottogenere specifico di storie ambientate nelle regioni polari e immensa fonte d'ispirazione per film (La Cosa di Carpenter ne è uno dei più fulgidi esempi), opere letterarie e videogiochi, Le Montagne Della Follia non poteva non attirare anche artisti e illustratori.

Le Montagne della Follia, un'opera chiave

Nel corso degli anni molti hanno provato a offrire chiavi di lettura, chiare immagini e interpretazioni della cupa e lugubre fantasia di Lovecraft; un lascito prima impresso su carta e poi nelle menti di chi si è fatto travolgere dagli orrori cosmici e insondabili di un indiscusso genio della letteratura. Ed è a conti fatti una sfida che tutt'oggi continua, perché la scrittura di Lovecraft, benché sia ipertrofica e articolata, viaggia spesso per immagini. D'altra parte, per funzionare davvero l'orrore ha bisogno di essere suggerito e mai palesato davanti al lettore o allo spettatore; deve insinuarsi sottopelle e vellicare l'immaginazione con la costanza di un dubbio pulsante, celandosi alla vista o concedendosi sfuggenti e fugaci apparizioni. Ecco perché all'idea di dover parlare di un volume che le immagini le presenta con indubbia forza creativa, qualche interrogativo è sorto spontaneo. Al dubbio si è però appaiata la curiosità, perché se è vero che François Baranger è storicamente un artista a tutto tondo, è vero anche che è in particolar modo un visionario e formidabile concept artist.

I suoi concept sono parte di un importante lavoro di squadra che ha dato vita a blockbuster del calibro di Harry Potter e i Doni della Morte, Percy Jackson e gli dei dell'Olimpo - Il Mare dei Mostri, La Bella e La Bestia, ma anche ai popolari videogiochi di David Cage Heavy Rain e Beyond: Due Anime, giusto per citare alcune tra le opere più significative a cui ha collaborato. Unico comune denominatore: uno stile immediatamente riconoscibile e una capacità ammirevole nel saper rendere la sua arte malleabile, attuale e mai banale. Illustrare Le Montagne della Follia è per Baranger un sogno che diventa realtà, perché a lungo ha avuto il desiderio di offrire al pubblico la sua personale interpretazione degli orrori lovecraftiani: lo ha già fatto con The Call of Cthulhu, e lo fa oggi col primo di due volumi dedicati a quella che per il genere d'appartenenza è un'opera d'importanza capitale.

Il prodotto di Free League Publishing, forse per non essere da meno rispetto alla grandezza dell'autore, si presenta in dimensioni davvero molto generose: 262 x 350 mm di puri deliri allucinati, che danno vita a quella follia tra i ghiacci che ancora oggi è in grado di generare una terrorizzata riverenza verso l'ignoto che si annida nelle grotte dell'Antartide, lì dove qualcosa di antico è rimasto sepolto nel permafrost. L'elegante sovraccoperta del cartonato mette in primo piano, sul fronte, le ignote e mastodontiche architetture che svettano tra le nevi perenni, mentre due uomini s'incamminano sui perigliosi declivi del grande bianco che tutto avvolge; sul retro, invece, si trova una delle illustrazioni clou del volume, ossia l'esatto momento in cui avviene lo sconvolgente ritrovamento di una forma di vita sconosciuta all'interno di un cunicolo roccioso naturale.

La rinascita del terrore con l'arte di Baranger

È quasi ironico pensare al fatto che Le Montagne della Follia rischiò di non vedere mai la luce. Più volte rifiutato e pubblicato solo in forma rimaneggiata dopo un lustro dalla sua stesura, lo scarso successo del romanzo breve gettò nel totale sconforto Lovecraft, giunto a un passo dall'appendere la penna al chiodo. Ancora più assurdo è pensare che uno scritto così brillante, pioniere di un nuovo modo di intendere l'orrore, e addirittura anticipatore di alcune teorie valide e pur nulla campate per aria, potesse perdersi nel nulla per via della cecità degli editori di quel periodo.

Le Montagne della Follia narra di una spedizione al Polo Sud andata in malora, di uomini che s'imbattono in qualcosa di molto più grande di loro, di una scoperta a cui probabilmente nessuno scienziato crederebbe mai, nemmeno di fronte all'evidenza di reperti fotografici.

La prima parte del volume non s'interrompe brutalmente, ma anzi riesce a ingenerare sincera curiosità in chi non ha dimestichezza o sufficiente conoscenza dello scritto di Lovecraft. Concorrono a questo risultato le splendide tavole di Baranger, adagiate a doppia pagina come sfondo, col testo che le incornicia senza mai presentare impertinenti svasature atte a oscurarne parzialmente i dettagli, a dimostrazione della buonissima impaginazione e dell'ottimo lavoro svolto per quanto riguarda l'organizzazione degli spazi. E non si tratta affatto di qualcosa di scontato, perché le tavole in cui il bianco abbacinante prende il sopravvento sono molte, offrendo dunque la possibilità di una maggiore distensione del testo. Invece c'è sempre un ordinato equilibro nella composizione dell'immagine, come se le due forme d'arte entrassero in simbiosi, restituendo un risultato dove avviene la perfetta integrazione tra scrittura e immagini.

Sebbene il lavoro di Baranger non sia mai fuori fuoco, va ammesso che non tutte le illustrazioni riescono ad ammaliare come dovrebbero: alcune sono piuttosto sottotono, e in tal senso va sottolineata anche una certa difficoltà oggettiva nel saper sottolineare delle parti della storia in cui, in effetti, esiste ben poco da mettere in risalto. Nella parte centrale del volume, che coincide coi momenti più descrittivi delle operazioni della squadra coinvolta nella spedizione, non si notano particolari guizzi in grado di colpire nel segno, e si avverte purtroppo la stessa incredibile desolazione che solo l'asettico biancore delle nevi perenni è in grado di emanare. Si tratta però di un paio di casi isolati, di un avvallamento qualitativo davvero breve, che non si ripete mai più e che anzi viene controbilanciato da dei picchi che si presentano in particolar modo quando Baranger è chiamato a dare il meglio per sottolineare i momenti più di rilievo.

Si guardi a tal proposito alle colossali strutture della civiltà antica e al modo in cui i ruderi sono stati riprodotti con dovizia di particolari, a come durante le fasi di ricognizione sull'aereo venga proposta in grandangolo la topografia di quel territorio sconfinato che si perde tra i ghiacci. E ancora, si osservi con quale gusto vengano dipinte le creature scoperte nella grotta, con le loro forme goffe e grottesche, i loro ventri gonfi e apparentemente gravidi; e quelle teste deformi con escrescenze lunghe e molli, come branchie parzialmente sviluppate che si protendono nel vuoto. È qui che Baranger mostra tutta la sua verve creativa, alternandola a tavole in cui si nota un sapiente uso di colori caldi negli interni o nei tramonti morenti, quasi come a voler mitigare il bianco abbacinante che cancella il pensiero, preparandolo a visioni che tormenteranno chiunque abbia l'infausto destino di spingersi troppo in là con le immagini mentali (e quelle reali di Baranger) che solo Lovecraft sa instillare con così tanta maestria.