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Niente di nuovo sul fronte occidentale, recensione: un inno alla vita nell’orrore della guerra

Niente di Nuovo sul Fronte occidentale riflette sulla storia umana attraverso una narrazione impietosa e una regia studiata: da non perdere.

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Avatar di Nicholas Massa

a cura di Nicholas Massa

Pubblicato il 31/10/2022 alle 19:00

È disponibile da oggi su Netflix Niente di nuovo sul fronte occidentale, terzo adattamento cinematografico dell’omonimo libro di Erich Maria Remarque (in originale Westen nichts Neues - acquistatelo su Amazon.). Il titolo stesso anticipa il materiale al centro del film, cominciando ad introdurre le “persone che se ne ricordano o sanno” in un contesto preciso, durante il Primo Conflitto Mondiale. Per chi non lo ricordasse il cosiddetto “fronte occidentale” è stato al centro di alcuni fra gli scontri più brutali fra le due parti, nel corso della Prima Guerra Mondiale, vedendo sul campo nello specifico l’esercito tedesco e quello francese, in un momento disumano fino al midollo.

Dalla regia di Edward Berger, Niente di nuovo sul fronte occidentale parte proprio da questo conteso, presentandoci una situazione che non si risparmia mai nella sua crudezza generale, lanciandosi nello sporco e nella sofferenza priva di ogni filtro, o censura, o abbellimento. La mano del regista si muove di pari passo con quella di una guerra che non risparmia nessuno, che macella ogni cosa senza pietà, come lo fa anche la stessa macchina da presa, pronta a testimoniare delle atrocità che l’essere umano ha compiuto nel corso della storia ai suoi simili.

Niente di nuovo sul fronte occidentale: immagini innanzitutto

Prima Guerra Mondiale. Germania. Un gruppo di giovani ragazzi, spinti dalla propaganda dell’epoca decide di arruolarsi. Per loro andare in guerra significa dare un senso alla propria vita, combattere per qualcosa in cui credono, per il proprio paese e i suoi obiettivi, realizzarsi sul campo di battaglia ed esprimere il potenziale di una generazione che ha l’occasione di cambiare la storia stessa del mondo. Fra questi c’è Paul Bäumer (Felix Kammerer), quello che a tutti gli effetti è il protagonista del film dato che lo seguiremo per quasi l’intera duratura della vicenda. Così questi ragazzi si arruolano, prendono tutto il necessario per partire e lasciano le proprie famiglie, per poi finire a combattere sul Fronte Occidentale. La situazione che trovano, però, è lontanissima da qualsiasi loro aspettativa.

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Il Fronte Occidentale fu uno dei campi di battaglia più duri in assoluto nel corso della Prima Guerra Mondiale. Le battaglie si svilupparono lungo una pianura francese in cui gli eserciti si scontrarono a morte portando cancellando le vite di milioni di soldati (si conta che soltanto qui ne morirono circa 3 milioni). Questa nomea di estrema violenza e disumanità ritorna perfettamente in una pellicola che non idealizza mai, neanche per mezzo secondo, il contesto in cui si muove, muovendosi nell'esatta e opposta direzione. Il gruppo di giovani suddetti si ritrova in un posto ricolmo di morte e sofferenza senza fine, cercando di sopravvivere giorno per giorno nelle trincee piene di fango e sangue, senza cibo o acqua, e con la certezza che al minimo errore l’esercito avversario potrebbe sopraffarli prendendo le loro vite. Tutto il contrario di quello che la propaganda aveva prospettato loro, aprendo ovviamente alla prima critica del film nei confronti della manipolazione delle masse e dello sfruttamento delle nuove generazioni, mandate letteralmente al macello, in funzione del potere.

La Prima Guerra Mondiale è stata una guerra centralizzata sul logoramento reciproco. Caratterizzata, quindi, non da battaglie rapide o in rapida successione, ma al contrario da lunghe attese dove la resistenza dei singoli soldati ha giocato un ruolo decisivo nella disfatta degli avversari. Uno scontro del genere manifesta tutte le sue problematiche, oltre che con la violenza di una morte che livella tutti i personaggi in scena, rendendoli uguali, anche con il contesto stesso in cui questi soldati continuano a muoversi, scavando nel fango, muovendosi nelle trincee allagate dalla pioggia e sperando in qualcosa che sembra non giungere mai.

Niente di nuovo sul fronte occidentale risulta piuttosto imparziale dall’inizio alla fine, anche se è impossibile non empatizzare con la sofferenza soggettiva di coloro con cui ci muoviamo sul campo di battaglia. Anche se il punto di vista prevalente è quello dell’esercito tedesco non è difficile comprendere la situazione in atto, evitando di riassumere tutto con etichette inutili o definizioni del caso. Anche perché sul campo di battaglia non ci sono vittime ma soltanto carnefici (ognuno con le sue ragioni di fondo, traumi, problemi e soprattutto scelte). Le circostanze del film, comunque, sono abbastanza chiare, anche se prive di troppe specificazioni temporali, almeno fino a che non ci si imbatte in moneti importanti per la storia umana, come la resa della Germania con la Francia, per fare un esempio. Il focus di Niente di nuovo sul fronte occidentale, però, non è quello, sviluppando il suo intero potenziale altrove, fra le grida indistinte e le esplosioni di una condizione difficile da digerire.

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Un'estetica dirompente

Dal punto di vista formale Niente di nuovo sul fronte occidentale dà il meglio di sé. Berger dirige e costruisce una narrazione che parla soprattutto per immagini, senza mai risparmiarsi. Queste sono sì violente e sporche, bagnate dal sangue, dalla pioggia e da un fango che non si scrosta mai, neanche con il sapone più tenace, risultando però, allo stesso tempo, sontuose ed estremamente eleganti. L’eleganza della sua regia è avvolgente, con uno sguardo che per certi versi, con alcune inquadrature specifiche potrebbe quasi ricordare L’infanzia di Ivan, di Andrej Tarkovskij. Le scenografie, la fotografia e la messa in scena sono studiate al dettaglio, restituendo un’insieme d’inquadrature definite da una composizione in perfetto contrasto con il materiale trattato.

Anche se in scena l’obiettivo inquadra la violenza disumana nella guerra, lo fa allargando continuamente il proprio sguardo così da catturare tutto quello che circonda i protagonisti. In questo modo la mano stessa del regista non esclude mai nulla dallo sguardo degli spettatori, imponendo uno rapido esame diretto e impietoso sulla guerra stessa e su coloro che l’hanno praticata. Il tutto incorniciato da una colonna sonora che funziona, basata su un ritmo freddo e metallico, quasi un gigantesco ticchettio, un ritmo di morte che rompe il velo di maya, mostrando la freddezza smorta e amorale di un momento della nostra storia che oggi, soprattutto, dovrebbe farci nuovamente riflettere.

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Lo sguardo doppio

Una delle tematiche centrali di Niente di nuovo sul fronte occidentale è proprio il contrasto fra quello che sembra e quello che è realmente. Un contrasto che entra in scena violentemente fin dall’inizio, con l’alternanza delle immagini della guerra a quelle della propaganda nelle scuole, per poi tornare alternativamente nel corso di tutta la narrazione, mostrando le differenze fra i comandi con i Generali (in cui troviamo, ad esempio, persone in contesti lussuosi ed eleganti pronte a ingozzarsi di cibo mentre sul fronte i soldati fanno la fame e rischiano la vita ogni secondo) e le trincee stesse, e tante altre situazioni. La narrazione, quindi, riflette non solamente sull’inutilità di una guerra che si trascina di giorno in giorno, ma sulle piccole cose che avvengono in battaglia, sulla sofferenza dei soldati, sui loro sguardi sporcati dal sangue, sulla perdita delle persone care, sugli attacchi di panico, gli agguati nella notte, gli assalti impietosi di un avversario che avanza senza alcuna pietà verso la vita umana, sulla morte che continuamente si porta via tutti quanti e su una generazione che definire “carne da macello al fronte” è un eufemismo.

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