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The Witcher: la recensione della prima stagione della serie TV

Mostri, complotti e incantesimi nella prima stagione di The Witcher serie TV, la nuova serie fantasy di Netflix. Ecco le nostre impressioni

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Avatar di Manuel Enrico

a cura di Manuel Enrico

Pubblicato il 23/12/2019 alle 13:17 - Aggiornato il 09/08/2022 alle 12:48

The Witcher era una delle serie più attese di questo fine 2019. Arrivata finalmente questo venerdì su Netflix per tutti i fedeli del servizio streaming, la serie con protagonista Geralt di Rivia è diventata subito la prima selezione di gran parte del pubblico, diviso tra la curiosità e il timore che il personaggio dello strigo non fosse stato trasposto con la dovuta cura.

Negli scorsi giorni vi abbiamo dato le nostre prime impressioni, grazie ad un’anteprima basata sui primi cinque episodi. Le premesse, come detto, erano buone, nonostante alcune piccole pecche che avrebbero potuto rendere indigesta la visione a parte del pubblico. The Witcher, sin dalla sua presentazione, era stato annunciato come basato principalmente sul canone letterario del personaggio, ossia le avventure raccolte nei romanzi di Andrzej Sapkowksi, piuttosto che sulla figura resa celebre dai videogiochi di CD Projekt. Questo dettaglio è essenziale per chi si appresta a vedere The Witcher, dato che la produzione della serie ha cercato di mantenere quanto più possibile inalterato l’impostazione narrativa di Sapkowski.

Dal racconto alla serie Netflix

Può sembrare un’osservazione banale, ma questa scelta obbliga ad una considerazione. I racconti originali di The Witcher non erano strutturati per essere una saga letteraria, dato che comparivano sporadicamente sulla rivista fantascientifica polacca Fantaztika. Solo in un secondo momento, quando il successo del personaggio portò alla raccolta in volumi, Sapkowski decise di dare una certa cronologia agli eventi della vita della sua creatura. Nel farlo, però, decise di non raccontare gli eventi in ordine cronologico, ma si affidò ad una narrazione ricca di flashback e che vedesse il tempo non in modo lineare, ma come un intreccio di diverse situazioni che trovano la propria concretezza solo nel momento in cui sono narrate.

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La struttura della serie di Netflix rimane fedelissima a questa imposizione. Una scelta coraggiosa, va concesso, ma che crea una difficoltà a chi non ha dimistichezza con l’originale cartaceo. Gli otto episodi che compongono questa prima stagione sono quindi un mosaico di linee temporali diverse, in cui trovano spazio le peripezie dei tre protagonisti principali: Geralt, Yennefer e Cirilla. Le loro vite sono indissolubilmente legate, ma il come viene spiegato in modo complesso, con un continuo salto tra presente, passato e futuro che rischia di confondere lo spettatore meno attento.

Si tratta di una fedeltà alla produzione di Sapkowki lodevole, che sicuramente raccoglie l’approvazione dei lettori. Chi ha letto i racconti, infatti, non avrà problemi a seguire la arzigogolata sequela degli eventi, forte di una conoscenza del mondo di The Witcher che offre una visione d’insieme che lo aiuta a destreggiarsi nei diversi episodi. Una possibilità che manca ai neofiti del personaggio, che specialmente nella prima metà della serie si trovano ad essere subissati di personaggi, eventi e nozioni apparentemente privi di continuità.

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Come abbiamo visto in altre situazioni, il passaggio da un medium ad un altro richiese, inevitabilmente, una diversa impostazione narrativa, che sia più accogliente e meno rigida, in modo da consentire a chi si approccia per la prima volta ai personaggi di non sentirsi confuso e spaesato. In questo aspetto, The Witcher manca di apertura, è un ambiente chiuso in cui ci si orizzonta solamente conoscendo il lavoro di Sapkowski, diventando una sorta di cerchia ristretta che risulta ostica per chi cerca di entrare a farne parte.

Il mondo di The Witcher

Questa difficoltà non deve però spaventare chi si avvicina per la prima volta a The Witcher, ma solo ricordare che sarà una conoscenza lievemente complicata, anche se porta alla scoperta di un mondo appassionante. The Witcher non è solo mostri, ma è una storia di emozioni e sentimenti, di obblighi morali e fatica nel rispettarli, in cui le ansie e le sofferte aspettative personali si scontrano costantemente con un mondo cinico che vuole imporre ai personaggi un percorso diverso e inderogabile. I personaggi e la società in cui si muovono si sviluppano in parallelo, aspetto non banale considerata anche la divisione dei diversi orizzonti temporali della trama. Certo, una maggior cura nell’entrata in scena di alcuni personaggi e una più attenta valorizzazione della loro influenza sul corso degli eventi sarebbe stata preferibile, ma la prima stagione di The Witcher andrebbe considerata come il primo capitolo di una saga televisiva in divenire. Netflix ha quindi ora in mano la possibilità di fare tesoro delle reazioni degli spettatori a quanto visto ora e andare ad ottimizzare gli aspetti meno riusciti.

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Soprattutto in termini di impianto visivo, che si è dimostrato traballante e non sempre pienamente riuscito. Se è innegabile la cura nella costruzione degli ambienti e negli scorci paesaggistici, meno convincente è la realizzazione delle creature che Geralt affronta. Tolta la strige, che risulta bene caratterizzata, mostri come la kikimora affrontata all’inizio del primo episodio o il silvano risultano visibilmente posticci e poco realistici, complice anche una fotografia che cercando di trasmettere il senso di magico con certe luci riesce, al contrario, ad esaltarne il difetti.

Ed è un vero peccato, perché specialmente nelle scene di combattimento Henry Cavill risulta convincente. Pur non raggiungendo l’acrobatica bellezza degli scontri visti nei videogiochi, Cavill riesce ad interpretare al meglio la fisicità e la mortale bravura di Geralt, oltre a fornire una prova convincente nel trasmette il complesso vissuto interiore del personaggio, tra risposte sarcastiche ed espressioni rigide alternate ai giusti rilasci emotivi.

Conclusioni

The Witcher, quindi, è una serie da promuovere, ma con riserva. Se da un lato vanno lodate la colonna sonora, ispirata al mondo videoludico di Geralt, e la caratterizzazione dei personaggi princiapli, dall’altro non si possono ignorare alcune debolezze che rischiano di essere la fine della serie, senza un tempestivo intervento. La narrazione, in primis, pur mantenendo lo spirito originario di Sapkowki dovrebbe adeguarsi al pubblico seriale, che potrebbe non conoscere Geralt e intende cercare una nuova serie fantasy per supplire alla fine di Game of Thrones. Dove intervenire maggiormente è il comparto tecnico, che ha mostrato delle fragilità nella caratterizzazione delle creature, dettaglio non indifferente parlando di The Witcher.

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Le alte aspettative per The Witcher sono state in parte rispettate, ma gli aspetti meno riusciti sono ora il banco di prova su cui si giocherà il successo della seconda stagione delle imprese dello strigo.

Se dopo aver visto la serie Netflix volete approfondire il mondo di Geralt di Riva, il punto di partenza ideale è il primo libro della serie di The Witcher, Il Guardiano degli innocenti
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