Tutto Chiede Salvezza, recensione: le voci rotte di un silenzio ignorato

Tutto Chiede Salvezza è una storia difficile, forte e complessa, ma anche importante e sincera. La serie è disponibile su Netflix.

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a cura di Nicholas Massa

Tutto Chiede Salvezza, è la serie TV disponibile dal 14 ottobre sul catalogo Netflix, tratta dall’omonimo romanzo di Daniele Mencarelli (premio Strega Giovani 2020), che segna il ritorno alla regia di Francesco Bruni. Si tratta di una serie che affronta alcune tematiche cui abbiamo visto questo regista affiancarsi già in passato, anche se, in questo caso specifico, da un punto di vista del tutto inedito traslato dallo sguardo dell’autore originale della storia. In 7 episodi, quindi, si snoda una narrazione che si muove all’interno della dimensione ospedaliera italiana, quella di un TSO (trattamento sanitario obbligatorio), mettendo in scena una realtà della nostra vita, del nostro quotidiano e della nostra società, che tendiamo sempre ad ignorare, a mettere da parte fingendo che non esista, totalmente concentrati su un concetto di “normalità” ben lungi dalle sfaccettature che la mente umana presenta e può presentare ogni giorno.

Ecco che dalla singola esperienza del suo protagonista Tutto Chiede Salvezza amplia a dismisura lo spettro delle sue possibilità, agglomerando al suo interno tutto quello che lo circonda e spostando il suo sguardo anche sugli altri pazienti (oggigiorno chiamati utenti), sull’ambiente ospedaliero che dovrebbe curarli e tutelarli, sul personale di servizio, sui professionisti di settore, sui parenti e le famiglie dei malati e sul modo stesso in cui la nostra società tende ad assorbire e soprattutto giudicare questo genere di situazioni e problematiche, sempre esistite.

Tutto Chiede Salvezza: una storia, tante storie

La trama di Tutto Chiede Salvezza si apre su Daniele (Federico Cesari), e su di lui rimane ancorata per tutto il resto della narrazione. Così nei brevi e caotici istanti iniziali, fatti di giovinezza sregolata e festaiola, cominciamo a fare la conoscenza del nostro protagonista che nel corso di un rientro a casa dopo una serata di bagordi, crolla sfinito e disorientato sul letto nella sua cameretta. Poi il buio, compensato da alcune voci che al suo risveglio ci suggeriscono immediatamente, coadiuvate da alcune inquadrature in soggettiva, che non si trova più a casa sua, circondato da persone che non riconosce e bloccato in un letto sconosciuto, in una stanza che non ha mai visto. Il primo impatto con quanto lo circonda è diretto e senza troppi fronzoli, come lo saranno anche i minuti successivi al suo effettivo risveglio.

Il giovane si è risvegliato in quella che parrebbe essere una camera di ospedale con altri ricoverati che incuriositi si sono avvicinati al lui e al suo letto. Si trova in un TSO, qualcuno lo ha rinchiuso in un posto con altre persone che soffrono di problemi mentali, e non ha la benché minima idea del perché. Da questo momento in poi comincia la vera narrazione di Tutto Chiede Salvezza, con il suo stesso protagonista che si ritrova bloccato in un contesto di cui non comprende le motivazioni. Lui non è come gli altri pazienti, a suo dire, è normale, e allora perché lo hanno rinchiuso? Che cosa ha fatto? E le ferite sulla sua mano? Tutto giace all’ombra della sua stessa memoria. Il problema è che non ricorda nulla. Dovrà restare nella struttura, in osservazione, per sette giorni, sette giorni in un contesto estremamente difficile per lui e per chiunque ci si risveglierebbe, a contatto con persone con problemi anche particolari e un personale ospedaliero che non sembra affatto gentile o accondiscendente.

Così Tutto Chiede Salvezza inizia a giocare con gli spettatori, presentando una narrazione che, almeno inizialmente, tende di più a celare, a nascondere la verità dei fatti dietro al punto di vista di un protagonista che non riesce o non vuole ricordare le motivazioni che hanno spinto i suoi cari a ricoverarlo con forza. Vedendolo non sembra come gli altri effettivamente, eppure c’è qualcosa di strano dietro del suo sguardo sempre nervoso e impulsivo che merita uno studio maggiore. Così inizia il suo viaggio verso una salvezza senza filtri, che non risparmia mai nessuno e che nel corso dei 7 episodi a comporre la serie tende ad essere sempre più irraggiungibile, o comunque difficile da comprendere davvero, e mentre Daniele cerca di fare ordine nella sua attuale esistenza ingloba gradualmente anche tutto il resto, ampliando la narrazione stessa in una storia dalle fattezze corali, anche se sempre strettamente legate al suo stesso protagonista.

Nel corso dei suoi giorni di ricovero, infatti, Daniele comincerà a rapportarsi sia coi suoi compagni di stanza che con le persone che lavorano nella struttura. È inevitabile, anche se nelle sue prime ore di permanenza lo vediamo sulla difensiva e in uno stato di totale repulsione verso tutto e tutti. Tutto Chiede Salvezza apre quindi la strada a un percorso in cui mano a mano tutto comincia a raccontare qualcosa, quasi una raccolta di testimonianze contemporanee, un’insieme di storie da allineare con quella del protagonista, di narrazioni rotte e imperfette fatte di dolore, accettazione o negazione. Un corollario di esperienze anche difficili da digerire che mano a mano costruiranno con il protagonista una sorta di routine non più di circostanza ma di reale interesse umano e vicinanza. Così affiancati a Daniele troviamo la storia di Mario (Andrea Pennacchi. Un ex insegnate dal passato tragico. Un essere umano gentile, frutto di una serie di esperienze personali difficili), quella di Gianluca (Vincenzo Crea) - un omosessuale in eterna lotta con se stesso e con una famiglia che non lo vuole accettare a nessun costo, quella di Giorgio (Lorenzo Renzi) - un omaccione che non si è mai più ripreso da un forte trauma infantile che ha totalmente distrutto il suo equilibrio personale, coadiuvato d una serie di terapie non troppo riuscite, quella di Madonnina (Vincenzo Nemolato) - un uomo di cui non si sa assolutamente nulla, dato che non parla, tranne che del suo amore spassionato per le sigarette e per il fuoco - e quella di Alessandro (Alessandro Pacioni) - un ragazzo in stato vegetativo da quando era bambino.

Tutti loro sono parte integrante e fondamentale di Tutto Chiede Salvezza, rappresentando le voci più sincere attraverso cui questa serie tv parla. Al loro fianco troviamo anche il personale ospedaliero interpretato da Ricky Menphis, Filippo Nigro, Raffaella Lebbroni, pronti a offrire un’ulteriore punto di vista sulla questione, accennando alle problematiche lavorativo-sanitarie del nostro paese con i loro interventi fugaci e momenti di professionalità. Ne fuoriesce un quadro narrativo dalle sfumature cangianti e complesse, al cui interno non è facilissimo muoversi, ma che comunque tende a delineare in maniera coerente tutto quello che avviene davanti alla macchina da presa. In un contesto che comunque non è facilissimo da raccontare, comunque, la narrazione non si sbilancia mai troppo, oscillando fra momenti apparentemente leggeri e una continua tragicità che continua a irrompere in scena, ricordando sempre la realtà della situazione che si sta osservando e in cui ci si trova.

Così in questa sorta di viaggio all’interno di se stessi Daniele si ritrova non soltanto ad approcciarsi con un mondo che fino a quel momento aveva apertamente evitato (come anche la maggior parte degli spettatori), ma anche a confrontarsi con se stesso e con gli errori che ha commesso fino a quel momento. Poi irrompe in scena il personaggio di Nina (Fotinì Peluso. Una giovane attrice in carriera con problemi a rapportarsi con se stessa e con il prossimo), e alcune ragioni alla base di questo viaggio introspettivo cambiano ulteriormente.

La scrittura come terapia

Come in uno dei romanzi più conosciuti della letteratura italiana, La Coscienza di Zeno di Italo Svevo, anche in Tutto Chiede Salvezza il giovane protagonista si ritrova a cercare di canalizzare i suoi problemi attraverso la scrittura. Nello specifico si dedica alla stesura di alcune poesie che nel corso della narrazione approfondiranno ulteriormente il carattere chiuso, conflittuale e autodistruttivo di Daniele. Così lo stesso processo creativo di scrivere diventa uno strumento fondamentale attraverso cui esternare quello che si ha dentro, dandogli una forma e cercando di trasformare quello che ci tormenta in qualcosa di più concreto. Questa sarà una delle armi principali del protagonista della serie, offrendo agli spettatori stessi uno sguardo più approfondito sulla situazione, arrivando a raccontare gli anfratti più profondi del suo personaggio principale con una freschezza immediata che diventa ben presto la base su cui si fonda la voce stessa della storia.

Accettare se stessi e il prossimo, accettare e comprendere i propri difetti e quelli degli altri, muovendosi nei meandri di un’autoanalisi che porta avanti l’intera narrazione, abbracciando anche gli altri protagonisti, pur se continuamente osservati dall’esterno. Le critiche alle condizioni ospedaliere, alla gestione del personale, alle modalità d’intervento, alle condizioni del reparto, ai pochi fondi legati al mantenimento delle persone ricoverate, al disinteresse generale verso un aspetto della società che esiste da sempre, restano soltanto la punta di un iceberg che va molto più in profondità, toccando alcuni fili scoperti di una delicatezza disarmante, in cui sono pienamente incluse anche le famiglie delle persone chiuse all’interno delle strutture, in un feroce ragionamento che non risparmia nessuno.

 

Dinamismo formale 

Dal punto di vista formale questa serie tv è disegnata da un certo tocco riconoscibile da parte del suo regista che non si limita semplicemente a riprendere, ma si muove continuamente, presentando una regia parecchio dinamica che gioca con i personaggi, con le forme e con l’ambiente loro intorno. Così non sarà difficile notare alcune carrellate o zoom atti a costruire queste inquadrature che parlano senza il bisogno di nessuna parola. Incorniciate da una consapevolezza stilistica che diventa riflessione critica nel momento in cui gioca coi sentimenti e i tormenti stessi dei suoi personaggi, impacchettando con cura un prodotto che non molla mai la presa fino alla fine, quasi soffocando per poi aprirsi a uno spiraglio di luce intangibile ma forte.