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a cura di Valerio Porcu

Senior Editor

La tecnologia fa passi da gigante ma c'è un'azione che finora sembra impossibile o quasi da digitalizzare e rendere smart. Vale a dire le elezioni. Non che siano mancati i tentativi: quello che possiamo ricordare meglio è forse il "referendum" lombardo dello scorso ottobre, ma ci sono state anche altre esperienze nel mondo - nessuna davvero convincente.

Finora ci sono stati fallimenti o al massimo successi parziali, ma l'idea non è stata accantonata. La tentazione di digitalizzare il voto è forte e per motivi facili da capire: il voto elettronico costa meno e potenzialmente può portare più cittadini a esprimersi, magari comodamente da casa loro o persino tramite smartphone. Una cosa che, almeno in teoria, dovrebbe stare in cima alle priorità di ogni paese democratico.

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Sierra Leone, lo scorso marzo
 

Sogni proibiti che potrebbero diventare un po' più reali tramite blockchain. C'è già stato un primo esperimento lo scorso marzo in Sierra Leone. Qui la società Agora ha usato la sua ledger in concomitanza con le elezioni, a scopo dimostrativo. Qualcosa di simile è stato fatto in West Virginia lo scorso otto maggio - in questo caso è stata usata anche un'app per smartphone.

Grazie alle funzioni di sicurezza "innate" in blockchain, ci si potrebbe assicurare che ogni persona voti una volta sola, e allo stesso tempo che il voto espresso sia del tutto tutelato. Permetterebbe in teoria di superare completamente il pericolo di brogli elettorali, un problema che di tanto in tanto emerge ancora anche negli Stati più avanzati.

Alle sperimentazioni sta partecipando anche una giovane società italiana: Multiversum, che ha di recente raccolto circa 9 milioni di dollari tramite una ICO, ha infatti elaborato un sistema di votazione dedicato agli italiani all'estero. È basato sulla loro blockchain, che definiscono di "quarta generazione", e potrebbe presto essere al centro di una vera e propria sperimentazione (le trattative sono in corso).

Nel caso di Multiversum, il primo passo è creare un database con gli aventi diritto al voto (estrapolati dalle liste dei consolati). Viene creata poi una scheda di voto virtuale, che sarà tutelata con i sistemi di sicurezza insiti nella blockchain. I voti, inseriti nella ledger, saranno impossibili da alterare. Torneremo a parlare di questa azienda in un prossimo articolo.

Restano naturalmente molti, moltissimi nodi da scogliere. Il primo è la verifica dell'identità, nel caso della votazione a distanza: non è facile, infatti, assicurarsi che la persona che esprime il voto sia precisamente chi dice di essere. Allo stesso tempo però bisogna garantire il rispetto del segreto elettorale, dunque assicurarsi che ogni voto sia anonimo. Oggi quando votiamo ci registriamo personalmente ma la scheda è anonima in mezzo a tutte le altre schede. Un gesto semplice, al momento impossibile da replicare con la tecnologia, mantenendo e migliorando anche le altre garanzie.

Il voto tramite blockchain inoltre non ci metterebbe al riparo da problemi come il voto di scambio o la compravendita di voti, ma d'altra parte questi problemi non si risolvono nemmeno con la carta. Con Blockchain, senz'altro, potremmo eliminare alcune delle questioni si sicurezza legate al processo elettorale. E allo stesso tempo abbassare i costi.

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I voti in blockchain sarebbero assolutamente trasparenti, facili da contare e impossibili da modificare. Offrire queste garanzie, con la carta, è molto difficile e costoso. Rinunciando al voto a distanza, si potrebbe sin da subito ipotizzare una cabina elettorale digitale che sfrutti questo tipo di tecnologia.

Ci hanno lavorato, tra gli altri, la statunitense Voatz (nel citato esperimento statunitense), o la russa Kaspersky con il suo sistema Polys per i sondaggi online. Un rappresentante di Horizon State, un'altra società specializzata, sostiene che governi ed enti mostrano un interesse crescente in questa possibilità - la sua società sarebbe in trattativa con almeno due stati, ed è convinto che almeno uno di essi sarà pronto a un vero test entro quattro anni. APLA è invece attiva a Dubai, dove fornisce servizi simili alle aziende.

I problemi non mancano, come abbiamo visto. Ma nemmeno le proposte per risolverli. Tante si riveleranno fallimentari, certo, ma è ragionevole pensare che nell'arco di una decina d'anni, forse meno, avremo finalmente risolto la questione della digitalizzazione del voto.

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Questo non renderà migliori i politici del mondo naturalmente, ma potrebbe effettivamente rendere più partecipate le democrazie del mondo. E se è vero che la partecipazione è la colonna portante di una democrazia, allora non può essere che una buona notizia.