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La Legge di Moore è morta, l'hi-tech chiude la bara

Un lungo articolo apparso su Nature certifica quanto ormai si dice da tempo: la Legge di Moore sarà presto una linea guida del passato per il comparto hi-tech. A prenderne atto l'intera industria della produzione di chip, a caccia di soluzioni alternative per assicurare un progresso continuo.

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Avatar di Manolo De Agostini

a cura di Manolo De Agostini

Pubblicato il 16/02/2016 alle 07:45

La legge di Moore è al capolinea. Se ne parla da molti anni e a più riprese, ma un articolo apparso su Nature.com anticipa di qualche settimana le conclusioni alla quale è giunta la Semiconductor Industry Association (SIA), realtà che raccoglie le principali aziende produttrici di chip degli Stati Uniti (come Intel, AMD, Micron e IBM), insieme a organizzazioni analoghe in tutto il mondo.

La "legge" si è dimostrata valida dal 1965, con diverse evoluzioni. Dice che "le prestazioni dei processori, e il numero di transistor ad esso relativo, raddoppiano ogni 18 mesi". Negli ultimi anni è apparso sempre più evidente che la miniaturizzazione estrema (e i costi a essa associati) ha portato a un rallentamento nella capacità di crescita esponenziale della potenza dei chip e del numero di transistor all'interno.

gordon moore
Gordon Moore, cofondatore di Intel

Il calore è diventato un problema rilevante con l'aumentare della densità dei transistor ed entro i prossimi dieci anni si raggiungeranno limiti fondamentali. Secondo Paolo Gargini, a capo dell'ISA ed ex direttore della strategia tecnologica di Intel, "anche con sforzi super aggressivi arriveremo al limite dei 2-3 nanometri, dove i componenti saranno delle dimensioni di 10 atomi".

A quel livello il comportamento degli elettroni sarà governato da incertezze quantistiche che renderanno i transistor inaffidabili. E nonostante imponenti sforzi di ricerca, a oggi non c'è alcun chiaro successore del silicio, il materiale principe dell'industria elettronica.

Così la nuova roadmap industriale - che avrà il compito di definire lo sviluppo dell'intera industria, software compresi - non sarà più basata sulla Legge di Moore, ma seguirà quella che potrebbe essere definita una strategia "More than Moore": anziché rendere i chip migliori e far sì che nascano in seguito soluzioni capaci di sfruttarli, il paradigma potrebbe invertirsi mettendo al centro lo scopo finale (il software), per poi lavorare a ritroso al fine di capire le caratteristiche che un chip deve avere per soddisfare le richieste.

pentium 4
Pentium 4 Prescott: alte frequenze e calore eccessivo

Tra questi chip ci saranno nuove generazioni di sensori, circuiti di gestione dell'alimentazione e altri dispositivi in silicio richiesti da un mondo in cui il computing è sempre più mobile. Ciò, tuttavia, non significherà fine del progresso. "L'innovazione continuerà, ma sarà più sfumata e complicata", ha affermato Daniel Reed, informatico e vicepresidente della ricerca alla University of Iowa.

Le prime crepe nella Legge di Moore sono apparse negli anni 2000, quando il processo produttivo scendeva sotto i 90 nanometri: gli elettroni si muovevano troppo rapidamente in circuiti di silicio sempre più piccoli, generando molto calore.

Così i produttori optarono per due soluzioni: fermare la corsa all'aumento delle frequenze di clock, limitando la velocità degli elettroni e la loro capacità di generare calore, e riprogettare i processori per contenere non uno ma più core - portando a problematiche nella ripartizione dei carichi di lavoro, affrontate negli anni successivi e su cui tuttora si lavora.

legge moore
Fonte: Nature.com

Queste due soluzioni hanno permesso ai produttori di continuare a ridurre le dimensioni dei circuiti e mantenere il numero dei transistor in linea con la Legge di Moore. Intorno al 2020 però non sarà più possibile continuare a far scalare il silicio a causa degli effetti quantistici. Come ovviare al problema? Secondo An Chen, ingegnere elettronico che lavora in GlobalFoundries, c'è ancora un grande dibattito in merito. Le alternative ci sono, ma molte non sono mature per essere adottate su larga scala.

Si parla di cambiare totalmente paradigma e abbracciare il quantum computing, che per eseguire le operazioni usa fenomeni tipici della meccanica quantistica. Oppure di adottare il neuromorphic computing, che mira a modellare gli elementi di elaborazione sulla base dei neuroni del cervello. Nel caso del quantum computing molti ritengono che offrirà vantaggi solo in una nicchia di applicazioni, mentre in quello del neuromorphic computing la ricerca è in itinere.

Un'altra strada percorribile è quella di passare a un nuovo materiale, dai materiali spintronici citati recentemente da Intel a composti 2D simili al grafene. Purtroppo al momento nessun materiale si è dimostrato veloce quanto le controparti in silicio, capace di generare meno calore e usabile senza problemi in una catena produttiva a elevati volumi.

Leggi anche: 50 anni di Legge di Moore: è ancora valida? Non importa

Resta un terzo approccio, ossia un cambio di architettura, mantenendo il silicio ma configurandolo in modi totalmente diversi. Si parla dell'approccio 3D, ossia d'impilare "strati" di componenti logici l'uno sull'altro, come un grattacielo, ma al momento tale soluzione va bene solo per i chip di memoria, perché risentono meno del calore (i circuiti consumano solo quando si accede a una cella).

Per i processori impilare più strati è complicato, perché diventano più caldi. Una soluzione potrebbe essere quella d'integrare processore e memoria, in quanto averli separati impatta sul 50% del calore totale, generato dallo scambio continuo di dati tra i due elementi.

Per fare ciò bisogna riprogettare la struttura dei chip, cosa che l'ingegnere elettrico Subhasish Mitra e i suoi colleghi alla Stanford University in California hanno fatto sviluppando un'architettura ibrida che impila unità di memoria insieme a transistor fatti di nanotubi di carbonio. Secondo i ricercatori questa architettura potrebbe ridurre il consumo energetico a meno di un millesimo di quello di un chip standard.

snapdragon

Forse però il problema di fondo nella fine della Legge di Moore è il cambiamento in atto nel settore del computing. Si è passati da un mondo dominato dai computer desktop e dai datacenter a uno scenario in cui il mobile detta - è il caso di dirlo - "legge".

Questo ha portato a un cambio delle priorità: i dispositivi mobile devono avere un'autonomia elevata (grazie ad appositi circuiti integrati) e i chip devono essere capaci di gestire i vari sensori e le opzioni di connettività. I chip, inoltre, devono fare sempre meno lavoro perché tante operazioni sono fatte su server remoti, nei datacenter di qualche grande colosso hi-tech.

E poi, infine, c'è il tema già citato dei costi. A ogni passaggio produttivo servono nuove macchine litografiche più avanzate. Mettere in piedi una nuova linea produttiva richiede investimenti di molti miliardi di dollari e la frammentazione del mercato portata dai dispositivi mobile complica ai grandi colossi il ritorno dall'investimento. "La mia scommessa è che finiremo i soldi prima che la fisica", ha sentenziato Daniel Reed.

Leggi anche: La legge di Moore non va oltre il 2022 secondo la DARPA

La nuova roadmap darà priorità all'efficienza energetica, soprattutto in ottica Internet of Things, facendo sì per esempio che i sensori non abbiano bisogno di batterie, avvalendosi di energia di scarto prodotta da calore e vibrazioni. La connettività sarà ugualmente importante e così anche la sicurezza.

"In un certo senso", ha affermato Shekhar Borkar, a capo della ricerca avanzata per i microprocessori di Intel, "la Legge di Moore evolverà". "Vista dalla prospettiva del consumatore la legge dice che il valore per l'utente raddoppia ogni due anni, e in tale contesto le diverse novità in programma dovrebbero continuare a garantire tutto questo".

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