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a cura di Giancarlo Calzetta

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E’ tanto tempo che si parla del concetto di dispositivo senziente, ma gli annunci fatti da Qualcomm durante lo Snapdragon Tech Summit alle Hawaii sono particolarmente indicativi del fatto che in effetti la strada che si sta seguendo è quella.

Ovviamente, non stiamo parlando di dispositivi intelligenti nel senso umano del termine o dotati di autodeterminazione, ma di dispositivi che potrebbero finalmente avere quello che serve per capire dove sono, quali attività si stanno svolgendo nelle vicinanze e quale ruolo stanno giocando nell’ambiente che li circonda.

Tutte cose inutili? Forse sì, ma più probabilmente no, almeno sul periodo medio/lungo perché avere un dispositivo che sa dove si trova con precisione permette di attivare una serie di automatismi che al momento sarebbero abbastanza “azzardate”. Da un punto di vista prettamente tecnico, al centro di questa ennesima evoluzione (che potrebbe diventare una rivoluzione) si trovano le funzioni “always-on” dei sensori di bordo.

Una strada che non è iniziata ieri

In realtà, qualche avvisaglia della potenza della funzione “always-on” si è già vista negli anni passati e, a ben vedere, sono già molti i sensori che lavorano in modalità always-on negli smartphone, anche se tendono a passare inosservati. Il primo in ordine di tempo è il gruppo sei sensori di movimento: giroscopio e accelerometri da anni raccolgono dati continuamente e senza neanche chiedere il nostro permesso. Basti pensare al contapassi incluso ormai come funzione di base in ogni smartphone.

Il risultato è una coscienza molto limitata, ma che permette già di definire se il possessore del dispositivo si sta spostando, in che direzione e con che velocità. Combinando i dati questo gruppo di sensori a quelli che arrivano dal “comparto” dedicato alla localizzazione, si riescono a definire già dei pattern che possono dare al nostro dispositivo un’idea più precisa di cosa succede. Ad esempio, se l’accelerometro/giroscopio dice che stiamo correndo e il gruppo di localizzazione trova un posizione nella quale questa attività ricorre spesso, diventa ragionevole pensare che quella è una routine di allenamento e fitness.

Ovviamente, più tipi di sensore si riescono a usare, meglio riusciamo a definire l’ambiente attorno al dispositivo. Inoltre, ricordiamoci che i sensori always-on non lavorano sempre in completa autonomia. A volte fungono da facilitatori nell’interfaccia uomo/macchina.

Basti pensare a un altro sensore al quale pensiamo poco, ma che usiamo molto spesso: il microfono. Quando chiamiamo in aiuto Alexa, Google Assistant o Siri, questi possono risponderci solo perché il nostro dispositivo “ascolta” costantemente quello che arriva dal microfono e lancia il motore dell’assistente digitale quando rileva la frase di attivazione.

Ci sono poi dei sensori che non sono tali di per loro, ma lo diventano se abbinati a qualche funzione speciale o database. Un esempio in questo caso sono le antenne Wi-Fi, che diventano un sensore se combinati con una mappa delle reti Wi-Fi disponibili nel mondo (come faceva Google, per esempio, qualche anno fa).

Finalmente la luce

E poi, sulla piattaforma Snapdragon 8 è stata annunciata una funzione che è destinata a far la differenza: la videocamera always-on: in pratica, il senso della vista (continua, come i nostri occhi) per i dispositivi digitali.

Per il momento, la videocamera in questione è abbastanza rudimentale, ma già in grado di “liberare” funzioni impensabili prima. Grazie a una sessione dedicata a questo sensore abbiamo visto che l’attuale implementazione consiste di una videocamera in bianco e nero a bassa risoluzione e bassa dinamica. Il motivo di tutta questa “povertà” tecnologica consiste nella necessità di tenere bassissimo il consumo del chip, in modo da non impattare troppo sull’autonomia del dispositivo. Nonostante ciò, le capacità “senzienti” del nostro dispositivo si moltiplicano.

La prima applicazione a cui viene abbinato è quella del blocco e sblocco dello schermo quando ci troviamo in prossimità dello schermo o ce ne allontaniamo. Un’altra funzione ventilata è quella del gestire notifiche e privacy quando a guardare lo schermo sono due persone (se c’è qualcuno di fianco a noi o alle nostre spalle, vengono nascosti i dati riservati come messaggi in ingresso e simili). Ma questa è solo la punta dell’iceberg.

La scintilla che apre nuove scenari

Perché accanto alle possibilità offerte dal sensore always-on “nudo e crudo”, adesso si può abbinare la potenza di calcolo incredibile (e a basso consumo) garantita dal processore dedicato all’intelligenza artificiale.

Questo vuol dire che, adesso, grazie ad algoritmi di Machine Learning il microfono potrebbe non solo riconoscere la frase di attivazione dell’assistente digitale, ma anche permettere al dispositivo di capire in che ambiente si trova: un bar, l’ufficio, casa, la stazione dei treni e così via. Inoltre, ascoltando il tono della nostra voce durante le conversazioni, potrebbe dedurre il livello di stress e altri indicatori relativi alla nostra salute, riconoscendo anche tosse e starnuti.

La videocamera always-on potrebbe certo riconoscere il nostro volto in un attimo, ma anche gli elementi che inquadra mentre ci spostiamo in casa (una sedia, un tavolo, un divano, etc…) e da questo ricavare se siamo nello studio, in soggiorno, in salotto o in cucina.

A questo punto, si aprono le porte di una interazione senza confini con gli oggetti che ci stanno attorno. Se siamo in auto e andiamo verso il sole (una deduzione che può arrivare dai dati in ingresso dal microfono per capire se siamo in marcia e dalla bussola per ricavare la direzione), allora l’auto potrebbe scurire la parte superiore del parabrezza per evitarci di restare abbagliati.

Se entriamo in bagno al mattino, lo smartphone riconosce le piastrelle può accendere l’aria calda e trasmettere sull’altoparlante bluetooth le news o la musica del buongiorno. E, in realtà, non deve nemmeno essere lo smartphone come lo intendiamo oggi a comandare tutto.

Pensate a un bracciale con il mix di sensori e di potenza garantita da una piattaforma completa come questa. Pensatela anche senza schermo perché il mix di sensori gli permetterà di riconoscere gli schermi “liberi” disseminati per casa a cui si collegherà sena fili quando servirà mostrare qualcosa.

Un dispositivo che ha più spazio per la batteria perché non deve avere uno schermo e che consuma meno per lo stesso motivo. Un oggetto che può essere un accessorio di design invece di una mattonella sempre un po’ troppo uguale a tutte le altre…

Un oggetto che ha al suo interno tutti i dati che ci servono, ma in grado di collegarsi al cloud per tutto quello che serve. Un dispositivo in grado di far girare in locale le applicazioni aziendali e che si collega wireless allo schermo sulla scrivania del nostro ufficio, ma ci segue poi a casa senza il minimo sforzo.

Un dispositivo molto più universale di quelli che abbiamo adesso e che ci permetterà di fare cose che adesso non immaginiamo. Ma… e la privacy?

Il solito nodo della privacy

La privacy non funzionerà in maniera molto diversa da ora. I dati dei dispositivi always-on possono (e anzi devono) esser processati in locale per avere un modello ragionevole di efficienza energetica, quindi sarebbero alla mercé dei pirati solo se il dispositivo viene violato dall’esterno. E in quel caso, i dati raccolti da una videocamera in bassa risoluzione e in bianco e nero sarebbero l’ultimo dei nostri problemi…

Inoltre, i produttori sono finalmente arrivati a un livello di consapevolezza tale da progettare dispositivi e software con già un occhio ragionevolmente attento alla sicurezza. Aumentare la quantità di dati raccolti e di funzioni connesse a Internet aumenta sempre di conseguenza la superficie di attacco, ma questo non vuol dire che il rischio cresca in maniera lineare o addirittura esponenziale con questo aumento.