SSD e possibile perdita dei dati, chiarimenti: non c'è nulla da temere

Kent Smith e Alvin Cox di Seagate spiegano che i consumatori non devono temere per l'integrità dei dati nei loro SSD, anche se sono lasciati senza energia e in condizioni non ideali.

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a cura di Manolo De Agostini

Gli SSD perdono i dati quando non sono alimentati e vengono mantenuti in ambienti con temperature troppo elevate? Non proprio. Nelle scorse settimane noi, come altre testate, vi abbiamo riportato quelli che sembravano gli allarmanti risultati di una presentazione di Alvin Cox di Seagate sulla tecnologia delle unità a memoria solida.

Scrivevamo che "se un SSD client (quelli che trovate nei notebook o acquistate nei negozi) è mantenuto a una temperatura di 25 °C oppure ha funzionato durante le operazioni di scrittura a 40 °C, la sua capacità di conservare i dati integri in memoria raggiunge le 105 settimane, ovvero circa 2 anni. Se lasciate che la temperatura a cui è mantenuta l'unità salga anche solo di 5 °C, ovvero a 30 °C, la capacità del prodotto di farvi accedere ai dati integri scende a un anno".

SSD

"Gli SSD destinati al settore enterprise si comportano in modo differente, peggiore. Un drive mantenuto a 25 °C e che ha operato a 40 °C può conservare dati per appena 20 settimane, circa cinque mesi. Negli scenari peggiori o a temperature elevate, i dati su un SSD enterprise possono iniziare a degradarsi entro soli sette giorni".

Kent Smith e Alvin Cox di Seagate sono tornati sull'argomento. Incalzati da PC World hanno affermato che i dati sono stati interpretati in modo errato. "Le persone hanno frainteso i dati", ha affermato Smith.

"Non mi preoccuperei (per la perdita di dati)", ha detto Cox a PC World. "Tutto questo appartiene alla cosiddetta "fine della vita" (end of life) di un prodotto. Un SSD o anche un dispositivo con memoria flash consumer non arriverà mai al punto in cui dipende dalla temperatura per la conservazione dei dati".

La presentazione originale, sottolinea PC World, ha cinque anni e risale a quando Cox era presidente del comitato JEDEC, che sovrintende lo sviluppo di specifiche per le memorie. Il documento è stato redatto per aiutare i clienti enterprise e del settore datacenter a capire che cosa avviene a un SSD dopo aver raggiunto la fine vita - ossia termina i cicli di lettura e scrittura utili - e nel caso sia stoccato a temperature troppo elevate.

Insomma, mentre lo scenario della perdita dei dati si potrebbe verificare, non c'è motivo di temere che ciò avvenga con i nostri SSD. Portare un SSD "a fine vita" richiederebbe un ciclo di scritture e letture spropositato, che mai un consumatore sarebbe in grado di raggiungere.

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"Il rischio di perdita dei dati è molto piccolo", hanno affermato Cox e Smith, aggiungendo che anche stoccando l'SSD in ambienti con temperature elevate questo sarebbe comunque in grado di salvaguardare i dati per un anno.

Per quanto concerne i clienti enterprise, anche per loro buone notizie. "È uno scenario che si potrebbe verificare solo a SSD usurato. E dato che i clienti enterprise dovrebbero preferire il nastro magnetico o altri metodi meno costosi per il backup dei dati rispetto a un SSD, è uno scenario irrealistico quello in cui la perdita dei dati colpisca i clienti enterprise", ha affermato Smith.

Smith e Cox hanno concluso affermando che la presentazione è nata solo per inquadrare lo scenario peggiore e più catastrofico possibile. Ad esempio capire "cosa succede se il camion con gli SSD rimossi dal centro dati si rompe durante il tragitto verso il luogo in cui le informazione saranno archiviate su nastro? Quanto tempo può rimanere un camion parcheggiato prima che si verifichi una perdita di dati per via dell'eccessivo calore?". Insomma, scenari possibili ma altamente improbabili.