Internet è oggi un qualcosa che diamo per scontato, ma c'è stato un momento storico in cui non era così. Anzi, c'è stato un periodo in cui si prospettava come un fenomeno passeggero, una bolla destinata a scoppiare di lì a poco. Con questo articolo, dunque, ripercorreremo insieme quelli che sono stati gli albori della rete, le radici dello scetticismo che la accompagnò, per capire anche gli errori che sono stati fatti, i ragionamenti che sono applicabili anche oggi e che ci aiutano a pensare al futuro dell’IA, dei social network o degli altri fenomeni che viviamo oggi.
Cosa c’era prima di Internet
Se oggi l'accesso alla rete è immediato tramite un browser, negli anni Settanta e Ottanta lo scenario era radicalmente diverso. La "rete" esisteva già, e le connessioni tramite "dati" erano possibili, ma non era unificata e universale come la conosciamo. Il panorama era costituito da "isole tecnologiche" spesso non comunicanti, che cercavano di risolvere il medesimo problema: connettere computer e persone a distanza.
Uno dei fenomeni più interessanti di quegli anni furono le BBS, acronimo di Bulletin Board System. Erano una sorta di bacheca digitale accessibile tramite modem e linea telefonica. L'utente, attraverso il proprio computer, si collegava direttamente a un altro PC che fungeva da server. Una volta stabilita la connessione, si potevano leggere e lasciare messaggi, partecipare a forum testuali e scambiare file. Si trattava di comunità circoscritte, ciascuna BBS con i suoi frequentatori abituali.
Parallelamente alle BBS esistevano altre reti chiuse e indipendenti. Negli Stati Uniti, ad esempio, servizi commerciali come CompuServe, Prodigy e AOL offrivano posta elettronica, forum, chat e notizie, ma il tutto era confinato all'interno dei loro server proprietari. Erano ecosistemi chiusi, non una rete globale. Si trattava, in sostanza, di numerosi "piccoli Internet" tra loro scollegati.
La vera rivoluzione prese avvio in realtà prima, nel 1969, con il lancio di ARPANET da parte del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti. L'obiettivo del progetto era costruire una rete di comunicazione resiliente ai guasti e, nel contesto della Guerra Fredda, capace di resistere a un potenziale attacco nucleare. Per conseguire tale scopo, fu necessario creare una rete distribuita, in cui ogni nodo potesse comunicare con l'altro senza la necessità di un punto centrale, la cui singola vulnerabilità avrebbe rappresentato un rischio strategico.
ARPANET iniziò collegando quattro università americane, ma la reale innovazione fu di natura tecnica: l'introduzione del packet switching, ovvero la trasmissione di dati suddivisi in pacchetti indipendenti che potevano viaggiare lungo percorsi diversi per poi essere ricomposti a destinazione. Fino ad allora si utilizzavano linee dedicate e continue, analoghe ai collegamenti telefonici, ma il packet switching garantiva una maggiore affidabilità e uno sfruttamento più efficiente delle risorse disponibili.
Negli anni Settanta e Ottanta, altre reti simili si svilupparono in parallelo: il progetto CYCLADES (CICLADS) in Francia, l'NPL Network in Inghilterra e il DATEX in Germania. Tutti tentavano di trovare la formula vincente, ma l’idea di una rete universale non era ancora diffusa.
Alla fine degli anni Ottanta, il panorama risultava fortemente frammentato: da un lato le comunità delle BBS, dall'altro i grandi network commerciali proprietari, e infine le reti accademiche e militari. Tutte queste entità operavano con linguaggi e protocolli differenti, e nessuno ipotizzava l'esistenza di un'unica piattaforma unificante. Era in questa fase che "Internet" veniva percepita come una risorsa "per pochi", un giocattolo per militari, universitari e specialisti. Non era ritenuta di interesse per il pubblico generale.
L’arrivo del protocollo TCP/IP
Negli anni Settanta, due ricercatori americani svilupparono una tecnologia in grado di connettere tutte queste "isole" sparse per il mondo: il protocollo TCP/IP. L'acronimo sta per Transmission Control Protocol (TCP) e Internet Protocol (IP). Insieme, costituivano un linguaggio universale per le reti. Per comprenderne il valore, si può ricorrere a un esempio pratico: prima dell'invenzione di TCP/IP, spedire un oggetto voluminoso significava inviare un pacco intero, con il rischio di fallimento totale in caso di smarrimento lungo il percorso.
TCP/IP, invece, introduce il principio della frammentazione: il messaggio viene diviso in numerosi pacchetti, ciascuno inviato seguendo il percorso più veloce o disponibile. A destinazione, il ricevente si occupa di riassemblare i pacchetti nell'ordine corretto. Questo è il fondamento del concetto di pacchetto di dati: ogni pacchetto viaggia indipendentemente, potendo seguire strade diverse, e TCP garantisce la ricomposizione completa e corretta del messaggio.
Il protocollo IP gestisce gli indirizzi, assegnando a ogni pacchetto la provenienza e la destinazione. Il protocollo TCP, d'altro canto, assicura che tutti i pacchetti arrivino effettivamente e nell'ordine giusto.
Questa invenzione fu un punto di svolta, poiché rese irrilevante la tipologia di rete di provenienza: bastava adottare TCP/IP per entrare a far parte di un sistema più vasto. Il 1° gennaio 1983 è considerata la data di nascita ufficiale di Internet, poiché quel giorno ARPANET abbandonò il vecchio protocollo NCP (Network Control Protocol) per passare definitivamente a TCP/IP.
Internet nei primi anni ’90
All'inizio degli anni Novanta, il termine "Internet" era ancora sconosciuto alla maggior parte delle persone. Non esisteva ancora il Web, né i social network o le piattaforme di e-commerce. Connettersi a Internet significava utilizzare terminali testuali e interagire tramite comandi complessi. Per accedere a un documento era necessario conoscere l'esatto nome del file, e per inviare una e-mail si dovevano digitare indirizzi che apparivano come codici incomprensibili.
A livello pratico, la connessione non era affatto semplice. Richiedeva un modem analogico collegato a una linea telefonica, che convertiva i dati digitali in segnali acustici (il classico suono del modem in fase di connessione è ancora nell'immaginario collettivo). Una volta connessi, la linea telefonica risultava occupata, e le tariffe erano a tempo, facendo lievitare le bollette. Chi ha vissuto quell'epoca rammenta i frequenti dissidi familiari dovuti alla linea sempre occupata e ai costi stratosferici.
Inoltre, le velocità erano irrisorie per gli standard odierni: 2.400, 9.600, fino a 14.400 baud. Scaricare un file di poche centinaia di kilobyte poteva richiedere minuti o ore. Pensare di scaricare contenuti multimediali era impensabile, e le immagini si caricavano a segmenti con esasperante lentezza. Internet era un ambiente prevalentemente testuale.
Gli strumenti principali erano protocolli come FTP per lo scambio di file, Telnet per connettersi a computer remoti, e soprattutto Usenet, una sorta di forum globale testuale organizzato in "newsgroup", dove si discuteva di una vasta gamma di argomenti. Fu una delle prime esperienze di comunità online, ma esigeva notevoli competenze tecniche e molta pazienza.
Dal punto di vista culturale, Internet era percepito come un oggetto misterioso. I giornali ne parlavano scarsamente e in modo confuso, spesso confondendolo con le BBS. Non mancavano le voci che ne predicevano il mancato successo nella vita quotidiana, giudicandolo troppo lento e complicato.
Un altro elemento che contribuiva alla sua natura di nicchia era l'assenza di un'interfaccia grafica. Chi era abituato a sistemi come Windows o Macintosh non trovava nulla di familiare in quelle schermate testuali. Internet non era "amichevole" e soprattutto non disponeva ancora di contenuti in grado di attrarre il grande pubblico. Ma un evento cruciale era imminente e stava per cambiare tutto.
La nascita del World Wide Web
È in questo contesto che nel 1989, presso il CERN di Ginevra, il ricercatore britannico Tim Berners-Lee propose un'idea che avrebbe cambiato ogni cosa: la creazione di un sistema ipertestuale che permettesse di collegare i documenti tra loro in modo semplice e navigabile. Invece di obbligare gli utenti a conoscere indirizzi e comandi complessi, Berners-Lee immaginò un ambiente dove bastava cliccare su un testo evidenziato (un hyperlink) per passare da un documento all'altro. Nasceva così il World Wide Web.
Tecnicamente, il Web si fondava su tre invenzioni cruciali:
- HTML (HyperText Markup Language), il linguaggio per la scrittura di pagine con testo, immagini e link.
- HTTP (HyperText Transfer Protocol), il protocollo che consentiva ai computer di trasmettere e ricevere pagine web.
- URL (Uniform Resource Locator), l'indirizzo univoco che identificava ogni singola pagina.
Nel 1991 Berners-Lee pubblicò il primo sito web della storia, dedicato a spiegare la natura e il funzionamento del World Wide Web. Era una pagina essenziale, con sfondo bianco e testi blu sottolineati come link. Ma segnò l'inizio di una nuova era.
Il cambiamento non fu immediato. Inizialmente, il Web rimase confinato agli ambienti accademici, ma nel 1993 si verificò la vera esplosione grazie a Mosaic, il primo browser grafico. Per la prima volta, Internet mostrava immagini mescolate al testo e, soprattutto, introduceva un'interfaccia intuitiva per chiunque: puntare e cliccare.
L'impatto culturale fu enorme. In pochi anni, i giornali iniziarono a definire il Web come la nuova frontiera dell'informazione, le aziende compresero la necessità di un sito per farsi conoscere e nacquero i primi portali che raccoglievano notizie, servizi e motori di ricerca primitivi. Nonostante questo, lo scetticismo perdurava. Molti osservatori dell'epoca ritenevano ancora che il Web fosse soltanto una moda passeggera. Alcuni lo paragonavano al fenomeno delle radio CB degli anni Settanta, molto diffuse per un periodo ma presto dimenticate. Articoli giornalistici sostenevano che "il Web è interessante ma non sostituirà mai il fax" o che "non diventerà mai davvero parte della vita quotidiana".
Internet come moda passeggera
A metà degli anni Novanta, molti analisti, giornalisti e politici non riuscivano a immaginare come Internet potesse evolvere in qualcosa di duraturo.
Non mancarono le dichiarazioni celebri. Ad esempio, nel 1995, Clifford Stoll pubblicò su Newsweek un articolo in cui argomentava il fallimento imminente di Internet. Sebbene Stoll si sbagliò in modo clamoroso, il suo testo ben rappresentava il pensiero di numerosi osservatori dell'epoca.
Anche i media tradizionali faticavano a comprendere il fenomeno. Internet appariva come una di quelle passioni collettive destinate a esaurirsi rapidamente.
Gli scettici adducevano anche motivazioni pratiche: la connessione era scomoda, costosa e lenta. I modem a 28.8 o 56k consentivano una navigazione a velocità ridicole; una singola foto poteva impiegare decine di secondi per caricarsi. Le bollette telefoniche aumentavano e spesso un'unica linea domestica doveva essere condivisa tra telefonate e connessione.
C'era poi una questione culturale. Per la maggioranza delle persone, Internet non offriva ancora "contenuti" utili. Non esistevano piattaforme di streaming, né social network, né siti di e-commerce affidabili. Quale utilità poteva avere per l'utente medio? Leggere forum pieni di scritte?
Anche nel mondo politico e industriale, le opinioni erano polarizzate. Alcuni manager di rilievo affermavano che il Web "non avrebbe mai sostituito i giornali" o che "i negozi fisici erano l'unico futuro del commercio". In Italia, fino alla fine degli anni Novanta, la percezione comune era che "Internet è roba per universitari e smanettoni". Nonostante questo clima, qualcuno decise di investire.
dot-com
Nonostante lo scetticismo iniziale, tra il 1995 e il 2000 Internet divenne improvvisamente l'epicentro di un fenomeno economico senza precedenti: la corsa alle dot-com. Erano chiamate così perché quasi tutte le nuove aziende nascevano con un sito web che terminava in ".com", simbolo di modernità e di proiezione verso il futuro digitale. Era l'epoca in cui bastava un'idea legata a Internet per attirare capitali milionari.
L'esempio più emblematico fu la nascita di Amazon, fondata da Jeff Bezos nel 1994 inizialmente come semplice libreria online. L'idea sembrava assurda: chi avrebbe mai comprato un libro senza poterlo sfogliare in un negozio fisico? Eppure Amazon dimostrò la funzionalità di un modello di business digitale, crescendo a ritmi sbalorditivi. Contemporaneamente, emersero altre realtà come eBay, che trasformò le aste e i mercatini in un fenomeno globale, e Yahoo!, che da semplice elenco di link divenne un portale di riferimento per milioni di utenti.
Il contesto finanziario amplificò l'euforia. Le borse, in particolare il Nasdaq americano, iniziarono a premiare qualsiasi titolo legato a Internet. Molte startup prive di un prodotto reale o di un modello di business solido riuscirono a raccogliere centinaia di milioni di dollari. C'era una fiducia cieca nel fatto che "Internet avrebbe cambiato tutto" e che qualunque azienda nata sulla rete fosse destinata a crescere.
Un esempio quasi leggendario fu Pets.com, un sito che vendeva cibo e accessori per animali domestici. La società investì milioni in pubblicità e la sua mascotte, un pupazzo a forma di calzino indossabile, divenne celebre persino negli spot televisivi durante il Super Bowl, e questo anche al netto del fatto che la società non avesse una strategia sostenibile: spedire sacchi di mangime per cani costava più del ricavo. Nonostante ciò, Pets.com raggiunse una valutazione in borsa incredibile prima di crollare dopo pochi mesi.
Dietro l'entusiasmo, tuttavia, la realtà era fragile. Molte aziende non generavano ricavi, accumulavano perdite ingenti e basavano la loro crescita esclusivamente sul valore azionario. Gli investitori non percepivano questi rischi, accecati dall'idea che Internet fosse una miniera d'oro inesauribile.
Così, mentre una parte del mondo continuava a considerare Internet come una moda passeggera, un'altra si convinceva che fosse il futuro inevitabile e che bastasse lanciarsi nella rete per arricchirsi. Questa combinazione di scetticismo ed euforia avrebbe condotto, di lì a pochi anni, a uno dei maggiori crack finanziari della storia recente: la bolla delle dot-com.
L’esplosione
L'inizio degli anni Duemila segna uno spartiacque netto nella storia di Internet. Il Nasdaq, l'indice tecnologico della Borsa di New York, era cresciuto in modo vertiginoso: tra il 1995 e il marzo del 2000 quadruplicò il suo valore, spinto quasi esclusivamente dai titoli legati a Internet. Poi, improvvisamente, la fiducia si incrinò.
Il 10 marzo 2000 il Nasdaq toccò il massimo storico di 5132 punti. Pochi giorni dopo ebbe inizio una discesa che si trasformò in una vera valanga: nell'arco di due anni l'indice perse quasi l'80% del suo valore. Fu un disastro.
A cadere non furono solo le piccole startup senza futuro, ma anche colossi apparentemente solidi.
La caduta fu accompagnata da un radicale mutamento nel tono dei media. Se fino al 1999 Internet era descritta come una nuova corsa all'oro, nel giro di pochi mesi si iniziò a parlare di "follia collettiva", di "bolla speculativa" e di "moda già tramontata".
Anche la percezione del pubblico mutò. Chi aveva acquistato azioni delle nuove startup si ritrovò con titoli privi di valore. Molti persero fiducia nella rete, vedendola come un inganno finanziario più che come un'opportunità concreta. I giornali titolavano che Internet era stata sopravvalutata e che la sua parabola era conclusa. Eppure, mentre la maggior parte delle aziende scompariva e i critici esultavano per aver avuto ragione, alcune realtà continuarono a resistere. Aziende come Amazon, pur attraversando momenti difficili, sopravvissero al collasso. Altre, come Google, nate proprio nel pieno della bolla, iniziarono lentamente a crescere, mostrando che al di sotto dell'euforia speculativa esisteva una sostanza tecnologica che non poteva essere ignorata.
Lo scoppio della bolla delle dot-com fu dunque un paradosso: da un lato confermò l'idea che Internet fosse stata sopravvalutata, dall'altro segnò l'inizio della selezione naturale che avrebbe lasciato spazio ai veri protagonisti della rivoluzione digitale.
Chi ha resistito?
Dopo lo scoppio della bolla il clima era decisamente negativo. Gli investitori scottati si ritirarono, i giornali parlavano di Internet come di un fallimento annunciato, e migliaia di startup chiusero i battenti. Ma non tutte le aziende soccombettero.
Amazon aveva bruciato centinaia di milioni di dollari senza generare profitti. Nel 2001 le azioni, che nel pieno della bolla erano arrivate a 107 dollari, crollarono a meno di 6. Molti analisti la davano per spacciata. Ma Bezos non si arrese: ridusse i costi, potenziò la logistica e diversificò l'offerta, iniziando a vendere musica, elettronica e abbigliamento. Fu una scommessa a lungo termine che lo ripagò, trasformando Amazon da "relitto della bolla" a colosso globale.
Un altro nome fondamentale è ovviamente Google. Fondata nel 1998, Google nacque proprio nel periodo più turbolento, dominato da portali come Yahoo! o Altavista. Invece di concentrarsi su pubblicità invasive e portali caotici, Google optò per la semplicità: una pagina bianca, una casella di ricerca, e un algoritmo (il PageRank) che garantiva risultati più pertinenti. Nel 2001, mentre altre aziende chiudevano, Google ottenne un finanziamento cruciale da Sequoia Capital e iniziò a costruire un modello di business basato sulla pubblicità mirata.
Non meno importante fu il percorso di Apple. Steve Jobs comprese che Internet non era solo un luogo di informazione, ma poteva diventare un canale per la distribuzione di contenuti digitali. La nascita di iTunes Store nel 2003, con la vendita legale di musica online, fu una rivoluzione che trasformò l'industria musicale.
A credere in Internet non furono solo le grandi aziende, ma anche intere comunità di sviluppatori e appassionati. I progetti open source, come Linux e Apache, continuarono a crescere, ponendo le basi per un'infrastruttura web solida e gratuita. Senza questi strumenti, il costo di ingresso nel mondo online sarebbe stato insostenibile per molte startup successive.
La bolla aveva spazzato via l'euforia iniziale irrazionale, lasciando in piedi solo chi aveva una visione di business concreta.
Perché Internet non è morta
Oltre a queste realtà che "riuscirono", quali sono stati gli altri fattori che hanno permesso a Internet di proseguire la sua crescita?
Il primo elemento fu la diffusione di connessioni più veloci. Fino alla fine degli anni Novanta la maggior parte delle connessioni era ancora affidata ai modem dial-up. L'ADSL cambiò tutto, perché a un prezzo concorrenziale offriva una connessione H24 senza occupare la linea telefonica. Questa comodità spinse milioni di famiglie ad abbonarsi e a scoprire che Internet poteva davvero semplificare la vita quotidiana.
Parallelamente crollarono i costi dell’hardware. All’inizio degli anni Novanta un computer era ancora un bene di lusso. Nel giro di dieci anni i PC divennero più economici, accessibili anche alle famiglie medie, e soprattutto più facili da usare grazie a Windows 95, Windows 98 e i Mac.
Un altro fattore chiave fu la nascita di nuovi servizi realmente utili. Se negli anni Novanta la rete era fatta soprattutto di forum e portali, nei primi anni 2000 cominciarono a diffondersi piattaforme che rispondevano a bisogni concreti: l'e-commerce più maturo con Amazon ed eBay, i motori di ricerca efficienti con Google, la distribuzione digitale di musica e i portali che permettevano di usare servizi da casa, cose che prima necessitavano di uscire, come l’accesso alle banche.
Anche l'aspetto sociale cambiò. Con le chat evolute, i primi blog e in seguito i social network come MySpace, Internet non fu più solo un luogo dove leggere o scaricare informazioni, ma un ambiente in cui interagire con altre persone, cosa vera soprattutto per i giovani.
Mentre negli Stati Uniti e in Europa Internet cresceva grazie alle infrastrutture, in Asia stava spingendo un’altra rivoluzione. In Cina aziende come Alibaba e Tencent iniziavano a sviluppare piattaforme che avrebbero dominato i mercati locali, mentre in Corea del Sud la diffusione della banda larga raggiungeva livelli altissimi già nei primi anni 2000.
La rete insomma si stava radicando, lentamente ma inesorabilmente.
Lezioni dalla bolla
Lo scoppio della bolla delle dot-com fu traumatico, ma non inutile. Anzi, rappresentò una sorta di "pulizia" necessaria. Da quella crisi emersero alcune lezioni fondamentali che avrebbero guidato lo sviluppo di Internet nei decenni successivi.
La prima lezione fu che non bastava avere un sito web per fare business. Senza un modello di business solido, capace di generare profitti reali, nessuna startup poteva sopravvivere. Da quel momento gli investitori iniziarono a guardare con più attenzione ai bilanci, ai piani di crescita e alla sostenibilità economica delle nuove imprese.
La seconda lezione riguardò l'importanza delle infrastrutture. La bolla scoppiò quando ancora la rete era lenta, costosa e difficile da usare. Solo con la diffusione della banda larga, di computer più accessibili e di protocolli più efficienti Internet poté davvero esprimere il suo potenziale. Una tecnologia rivoluzionaria non può decollare senza una base solida su cui appoggiarsi.
La terza lezione fu che il valore di Internet non stava nelle promesse, ma nei servizi concreti. Aziende come Amazon, e successivamente Google, dimostrarono che il successo nasce dall’offrire agli utenti qualcosa di realmente utile.
C’è poi una lezione più sottile, ma forse la più importante: la differenza tra hype e innovazione reale. La bolla mostrò quanto sia pericoloso confondere la speculazione finanziaria con il progresso tecnologico. Internet era davvero una rivoluzione, ma non poteva crescere al ritmo imposto dalle aspettative degli investitori.
Infine, la bolla insegnò che Internet non era un settore a sé, ma un’infrastruttura trasversale. Negli anni successivi, non si sarebbe più parlato di “aziende Internet” come categoria separata, perché tutte le aziende, in un modo o nell’altro, avrebbero dovuto confrontarsi con la rete. Dal commercio alla musica, dalla politica all’informazione, Internet divenne il terreno comune su cui si giocavano le sfide del futuro.
In questo senso, la bolla delle dot-com fu un punto di passaggio inevitabile senza cui probabilmente l’Internet di oggi non sarebbe così come la conosciamo e usiamo tutti i giorni.