Telecom fa ombra al broadband italiano

Telecom Italia non è contraria all'intervento pubblico per la NGN, ma solo se concentrato nelle aree poco remunerative

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a cura di Dario D'Elia

Telecom Italia sembra voler dettare le regole dello sviluppo broadband italiano. Da tempo il Governo e gli operatori del settore parlano dell'esigenza di creare una new-company che con risorse pubbliche e private possa accelerare lo sviluppo della rete di nuova generazione (NGN). L'ex-monopolista, però, è convinto che l'intervento pubblico dovrebbe essere limitato esclusivamente alle aree poco remunerative - ovvero quelle discriminate dai provider.

"Se non pensiamo che le aziende siano in grado di sviluppare le reti di nuova generazione a condizioni di mercato, l'intervento pubblico è ragionevole e auspicabile, se invece a fronte di un'azione regolatrice si ritiene che i piani a oggi noti siano credibili, non è necessario un intervento statale se non quando le reti di nuova generazione realizzeranno un fallimento di mercato nelle città più piccole", ha spiegato Stefano Pileri, direttore Tecnologie e Operations di Telecom Italia, durante il convegno sul broadband organizzato da I-com.

Di avviso contrario Vodafone che sottolinea il rischio dell'aumento dei costi. Bianca Maria Martinelli, direttore Affari pubblici e legali di Vodafone Italia, sostiene che bisognerebbe puntare su una rete aperta e non continuare ad affidarsi ai cavidotti di Telecom Italia. Investire su una rete chiusa in fibra senza conoscere il destino di quella in rame potrebbe essere una scelta poco lucida.

Senza contare che, a titolo di esempio, "su 80 mila clienti acquisiti in aprile da Vodafone e Tele2, 30 mila sono attivi e 50 mila sono in attesa: di questi, 15 mila non saranno mai attivati per KO tecnici", ha ricordato Martinelli. Come a dimostrare che a dieci anni dalla liberalizzazione del settore, il monopolio di Telecom pesa ancora troppo sul destino broadband del paese.

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