Il gigante texano dei semiconduttori Texas Instruments si trova ad affrontare una fase di transizione che coinvolge centinaia di lavoratori, mentre l'azienda chiude i battenti delle sue storiche fabbriche per abbracciare tecnologie più avanzate. La decisione di cessare le operazioni negli impianti di Dallas e Sherman, attivi dagli anni '80, rappresenta un momento simbolico per l'industria americana dei chip, che sta vivendo una metamorfosi accelerata dalle politiche federali di rilocalizzazione produttiva. Secondo le comunicazioni aziendali riportate da KXII, fino a 400 dipendenti perderanno il posto di lavoro nei prossimi mesi, con 163 licenziamenti programmati per dicembre e altri 20 previsti entro aprile del prossimo anno.
Il passaggio epocale dai wafer da 150mm a quelli da 300mm
La chiusura degli stabilimenti texani non rappresenta un ridimensionamento dell'azienda, bensì un upgrade tecnologico necessario per rimanere competitivi nel mercato globale. Le fabbriche di Dallas e Sherman, inaugurate negli anni '80, utilizzano ancora la tecnologia dei wafer da 150 millimetri, ormai superata dagli standard industriali odierni. L'industria dei semiconduttori ha infatti adottato come riferimento i wafer da 300mm, che garantiscono economie di scala superiori e una produttività molto più elevata per la produzione ad alto volume.
Texas Instruments ha già annunciato investimenti colossali per il futuro: 60 miliardi di dollari destinati alla manifattura di semiconduttori, con particolare focus sull'espansione delle fabbriche da 300mm in Texas e Utah. Questo piano ambizioso dovrebbe generare fino a 60.000 nuovi posti di lavoro, e l'azienda ha garantito che i dipendenti coinvolti nelle chiusure avranno priorità nelle assunzioni per i nuovi impianti.
Il sostegno federale attraverso il CHIPS Act
L'espansione produttiva di Texas Instruments si inserisce perfettamente nella strategia nazionale americana di rafforzamento dell'industria dei semiconduttori. Il CHIPS and Science Act dell'era Biden ha destinato all'azienda texana 1,6 miliardi di dollari di finanziamenti diretti, accompagnati da ulteriori 8 miliardi di dollari in crediti d'imposta per gli investimenti. Questa manovra legislativa rappresenta una risposta diretta alle vulnerabilità evidenziate durante la pandemia di COVID-19, quando le chiusure delle frontiere provocarono carenze di chip che colpirono settori strategici dall'automotive all'informatica.
La consapevolezza di questa fragilità ha spinto sia l'amministrazione Biden che quella Trump a promuovere politiche per espandere la produzione di semiconduttori sul territorio nazionale. Il CHIPS Act ha già dato impulso alla costruzione di diverse fabbriche di semiconduttori, con il progetto di punta rappresentato dall'impianto TSMC in Arizona. L'obiettivo strategico è chiaro: ridurre la dipendenza americana da Taiwan, che attualmente domina la produzione mondiale di chip.
Una scommessa sul futuro dell'industria americana
Nonostante i tagli occupazionali nel breve termine, Texas Instruments ribadisce il proprio impegno verso il North Texas, regione che continuerà a rappresentare un hub strategico per le operazioni dell'azienda. La transizione dai vecchi impianti a quelli di nuova generazione riflette una tendenza più ampia dell'industria americana, che sta cercando di recuperare terreno rispetto ai competitor asiatici attraverso massicci investimenti in tecnologie all'avanguardia.
Il successo di questa strategia rimane tutto da verificare: solo il tempo dirà se le politiche di reshoring e gli investimenti miliardari riusciranno effettivamente a garantire agli Stati Uniti l'agognata indipendenza tecnologica nel settore dei semiconduttori, o se il paese dovrà continuare a fare affidamento su Taiwan per la maggior parte dei chip necessari alla propria economia.