Di Windows ne parliamo da anni e anni e anni, in tutte le salse, ma con questo articolo avevo voglia di esplorare assieme a voi alcune di quelle curiosità che, magari, non sono proprio note a tutti. Quindi, ho fatto una ricerca e identificato dieci curiosità su Windows che ora vi racconterò e che, credetemi, hanno sorpreso persino me!
Windows non fu un successo
Tutti sanno che Windows oggi è il sistema operativo più diffuso al mondo, ma l’inizio di Windows, nel 1985, fu tutt’altro che un trionfo. Microsoft era già conosciuta grazie al DOS, ma aveva capito che il futuro non poteva restare legato a uno schermo nero pieno di comandi testuali. L’idea era quella di portare sul PC la filosofia delle interfacce grafiche, che in quegli anni erano comparse nei laboratori Xerox e poi sui computer Apple, il Macintosh in primis.
Così nacque Windows 1.0, annunciato con grande enfasi e venduto a 99 dollari, ma che nei fatti era poco più di un’interfaccia grafica che si appoggiava ancora al DOS. Il concetto di “finestra” (da cui il nome "Windows") era già lì, con più applicazioni aperte contemporaneamente, un mouse per spostarsi e icone cliccabili.
Il problema però era che la tecnologia dei PC dell’epoca non era pronta a supportarlo. Le macchine avevano processori poco potenti, pochissima memoria e schede grafiche che faticavano a gestire un’interfaccia così pesante.
Il pubblico non rimase impressionato. Molti continuarono a preferire l’affidabilità e la velocità del DOS, e persino la stampa specializzata sottolineò come Windows fosse più una promessa che un prodotto finito. Non aiutava il fatto che in quel periodo il Macintosh di Apple offrisse un’esperienza grafica molto più fluida e intuitiva, seppur a un prezzo molto più alto.
Microsoft però non si arrese. Uscirono Windows 2.0 nel 1987 e Windows 3.0 nel 1990, versioni che progressivamente migliorarono le prestazioni, introdussero nuove librerie grafiche e soprattutto iniziarono ad attirare l’interesse degli sviluppatori. Con Windows 3.0, e ancora di più con Windows 3.1 del 1992, la musica cambiò: il sistema iniziò a diffondersi davvero, le applicazioni scritte per Windows divennero numerose e l’idea di un PC come strumento universale di lavoro cominciò a consolidarsi.
Il suono di avvio
Quando accendiamo un computer Windows ci accoglie quel jingle che è diventato praticamente una prassi. Ma non fu sempre così. Questa tradizione nacque con Windows 95, e il suo primo autore fu niente di meno che il compositore e produttore britannico Brian Eno, pioniere della musica ambient e collaboratore di artisti come David Bowie, U2 e Talking Heads.
La storia di questo suono nasce da un’esigenza molto semplice: Microsoft voleva un’identità sonora per il suo nuovo sistema operativo, un qualcosa che potesse rimanere nella testa delle persone.
Windows 95 era un progetto enorme, quello che avrebbe portato il pulsante Start e cambiato per sempre l’esperienza utente, quindi anche il dettaglio del suono non poteva essere lasciato al caso.
Eno ricevette l’incarico con indicazioni precise: comporre un suono che fosse breve, immediato, riconoscibile e che trasmettesse una sensazione di freschezza. La durata richiesta era poco più di tre secondi (nello specifico di 3,25") e il compositore raccontò in diverse interviste che all’inizio rimase spiazzato. Lavorava da sempre su brani lunghi, su atmosfere dilatate, e non riusciva a concepire come potesse concentrare un’idea musicale in una manciata di istanti.
Il risultato fu che creò più di 80 microcomposizioni, piccolissime variazioni dello stesso tema, fino a trovare quella giusta. Lui stesso raccontò che quell’esperienza lo aveva quasi “riprogrammato mentalmente”: perché abituato a pensare in termini di minuti e ore, si trovò a ragionare su frazioni di secondo.
Il suono scelto divenne un’icona, e fu implementato in una versione leggermente più lunga con una sorta di “coda” dell’arpeggio che venne realizzato.
Negli anni successivi, Microsoft continuò a introdurre nuovi suoni di avvio per le versioni successive di Windows, ognuno con un’identità differente. Alcuni memorabili ed amatissimi, altri un po' meno. Un processo molto simili a quanto oggi possiamo immaginare pensando a Netflix ed al suo “ta-dum”: pochi secondi di audio, immediatamente riconoscibili e che possono rimanere nella storia.
Lo sfondo Bliss
Se c’è un’immagine che viene alla mente quando si dice la parola Windows, logo a parte, di sicuro molti penseranno allo sfondo di Windows XP, che diventò ben presto la fotografia più vista al mondo, comparsa sugli schermi di centinaia di milioni di PC in ogni angolo del pianeta.
La cosa sorprendente è che quella famosa immagine, non è un'elaborazione grafica creata ad hoc per fare da sfondo, né un’immagine costruita al computer. È una vera e propria fotografia, scattata nel 1996 dal fotografo americano Charles O’Rear nella contea di Sonoma, in California.
O’Rear stava guidando lungo l’autostrada 121, in una zona famosa per i vigneti della Napa Valley, quando fu colpito dalla perfezione di quella scena: una collina ricoperta di erba verde brillante, appena dopo un periodo di piogge che aveva fatto risplendere la vegetazione, sotto un cielo limpido punteggiato da poche nuvole.
Fermò la macchina, prese la sua fotocamera analogica Mamiya RZ67 con pellicola Fujifilm Velvia, nota per la saturazione intensa dei colori, e scattò quella che sarebbe diventata un’icona.
Microsoft acquistò i diritti della foto qualche anno dopo, mentre preparava Windows XP. La leggenda vuole che l’azienda abbia pagato una cifra altissima, probabilmente una delle più grandi mai spese per una singola immagine. Varie fonti vanno dai 100mila al milione di dollari. L’accordo fu così particolare che O’Rear non poté spedire fisicamente i negativi via posta: per ragioni di sicurezza, dovette prendere un aereo e consegnarli di persona.
In un’epoca in cui la grafica digitale iniziava a diffondersi, molti pensarono che fosse un’immagine artificiale generata al computer. In realtà era pura fotografia, senza alcun ritocco digitale.
Il solitario
Vi ricordate il gioco del solitario? Presente fin dalle prime versioni di Windows. Molti lo ricordano come il passatempo perfetto, da giocare in segreto in ufficio, ma in realtà aveva uno scopo molto più strategico: insegnare alle persone a usare il mouse.
Quando Microsoft introdusse Windows 3.0, nel 1990, il mouse non era ancora uno strumento familiare. Gli utenti provenivano dal DOS, dove tutto si comandava da tastiera, e guardavano con sospetto quel nuovo oggetto da muovere sul tavolo.
Era qualcosa di poco intuitivo per chi non l’aveva mai usato: spostare un cursore sullo schermo, cliccare, trascinare… erano gesti che oggi ci sembrano banali ma che allora richiedevano un vero e proprio apprendimento.
Ecco perché il solitario divenne un alleato perfetto. Il gioco costringeva l’utente a usare la tecnica del drag-and-drop, cioè cliccare e trascinare un oggetto da una parte all’altra dello schermo. Per completare una partita bisognava muovere le carte, trascinarle sulle pile giuste, e per farlo si imparava quasi senza accorgersene a padroneggiare il mouse.
Nel giro di pochi anni, gli uffici di mezzo mondo si riempirono di dipendenti che, tra una tabella Excel e un documento Word, si concedevano una partita veloce, trasformando il Solitario su Windows un vero e proprio fenomeno culturale. Al punto che in alcuni ambienti aziendali si arrivò persino a vietarlo perché ritenuto una perdita di produttività.
Un’altra curiosità è che questo gioco fu sviluppato da un giovane stagista, Wes Cherry, che lo programmò nel 1989 e non ricevette mai royalties per il suo lavoro, nonostante il gioco fosse incluso in milioni di copie di Windows. La grafica delle carte, invece, fu disegnata da Susan Kare, la stessa artista che aveva lavorato alle icone originali del primo Macintosh.
BSOD
Tutti oggi conosciamo il "Blue Screen of Death", ovvero la schermata di errore di Windows che poteva significare 2 cose: o che il PC stava morendo o che bisogna reinstallare Windows.
La "BSOD" nasce negli anni Novanta, con le prime versioni di Windows a 32 bit, quando i sistemi erano ancora molto instabili. A differenza degli errori gestibili dal sistema, che magari si limitavano a bloccare un programma, la schermata blu indicava un errore fatale del kernel, cioè del cuore stesso del sistema operativo. In pratica il computer entrava in una situazione da cui non poteva più uscire senza riavviarsi, e Windows lo comunicava all’utente con una bella schermata blu che solitamente riportava un codice di errore.
La scelta cromatica non fu però casuale. Perché non una bella schermata rossa, vista la situazione grave? La scelta fu prettamente psicologica, scegliendo di usare un colore, per l'appunto il blu, evidentemente meno aggressivo del rosso, ma abbastanza evidente da segnalare che qualcosa di grave era accaduto.
La BSOD divenne rapidamente un fenomeno culturale, anche grazie ad episodi molto celebri, come quello del 1998, quando durante una presentazione di Windows 98, Bill Gates in una conferenza e, davanti a giornalisti e pubblico, si ritrovò davanti la BSOD in seguito al collegamento di uno scanner USB che mandò in crash il PC. La clip fece il giro del mondo, diventando uno dei primi grandi “epic fail” tecnologici condivisi dai media.
Col tempo, la schermata blu cambiò aspetto. Con Windows XP aveva un look più uniforme e leggermente meno caotico, mentre in Windows 8 e 10 Microsoft introdusse un design più “umano”, con la celebre emoticon triste “:(” e un messaggio semplificato che spiegava in poche righe che il PC aveva avuto un problema e doveva essere riavviato. In più, venne poi aggiunto un QR code permetteva di trovare informazioni aggiuntive online relative al problema. Un tentativo di rendere meno traumatico un evento che comunque segnalava un malfunzionamento serio.
Una schermata che, nel tempo, non è diventata solo un fastidio, ma che ha anche un terreno fertile per meme, battute e persino opere artistiche. Alcuni artisti digitali l’hanno usata come base per installazioni, e non mancano gadget, magliette o tazze con stampata la schermata blu, trasformandosi in un vero e proprio fenomeno culturale.
I nomi in codice
Dietro ogni versione di Windows c’è sempre stato un nome ufficiale, come ad esempio XP, Windows 7, o Vista, ma durante lo sviluppo i team interni Microsoft hanno sempre usato dei nomi in codice.
Uno dei più celebri è senza dubbio "Chicago", il nome in codice di Windows 95. Mentre prima ancora, Windows 3.1 era noto internamente come "Janus", un richiamo alla divinità romana Giano, che guardava contemporaneamente al passato e al futuro. Un nome perfetto per una versione che consolidava la base dei primi Windows ma apriva la strada alla nuova era dei 32 bit.
Dopo Chicago arrivò "Memphis", cioè Windows 98, e poi "Whistler", il nome dato a Windows XP. Qui la storia si fa interessante: Whistler non è solo un nome di fantasia, ma una vera località sciistica in Canada, frequentata da alcuni sviluppatori Microsoft che ci andarono in vacanza e la presero come ispirazione.
Allo stesso modo, "Longhorn", nome di Windows Vista, era il nome di un bar tra Whistler e un’altra montagna canadese, Blackcomb. Longhorn era pensato come un progetto intermedio, una tappa tra XP e quello che inizialmente sarebbe dovuto essere il grande successore, indicato proprio con il nome "Blackcomb".
Poi c’è "Vienna", il nome in codice che a un certo punto era stato attribuito a quella che sarebbe diventato Windows 7. In seguito il progetto cambiò strada e il nome rimase solo nella memoria degli appassionati. Più recentemente, Windows 8 era conosciuto come "Midori", e Windows 10 era chiamato "Threshold", un nome preso dall’universo narrativo di Halo.
Per Windows 11, invece, il nome in codice era "Sun Valley", scelto per indicare la grande rivisitazione estetica dell’interfaccia.
Ctrl + Alt + Canc
Per milioni di utenti Windows la combinazione Ctrl-Alt-Canc è stata per anni la via di fuga dai blocchi del computer, la mossa disperata da tentare quando tutto si congelava. Dietro questa sequenza, però, si nasconde una storia che parte da IBM.
La combinazione fu inventata nei primi anni Ottanta da David Bradley, un ingegnere di IBM che lavorava al progetto del primo PC IBM 5150. L’idea era semplice: creare un comando che permettesse ai programmatori di riavviare rapidamente la macchina senza spegnerla e riaccenderla fisicamente, operazione lenta e poco pratica. Serviva qualcosa che non potesse essere premuto accidentalmente, quindi scelse tre tasti distanti tra loro: Control, Alt e Canc. Era un gesto scomodo, ma sicuro, proprio per evitare pressioni involontarie.
Bradley stesso raccontò più volte che quella combinazione era nata come uno strumento interno, pensato per pochi sviluppatori, e non certo destinato a diventare famosa. Eppure, quando Microsoft iniziò a lavorare con IBM sul sistema operativo, scoprì l’utilità di quella sequenza. Con Windows, Ctrl+Alt+Canc fu trasformata in un comando di emergenza per interrompere i processi e, più tardi, per accedere al Task Manager, il pannello che permetteva di chiudere le applicazioni bloccate o controllare le risorse del sistema.
Negli anni Novanta, durante l’epoca di Windows 95 e Windows XP, questa combinazione divenne quasi un riflesso condizionato. Quando un programma non rispondeva, o il sistema si congelava mostrando la clessidra infinita, milioni di utenti premevano quei tre tasti nella speranza di sbloccare la situazione.
Curiosamente, Bill Gates stesso ebbe un rapporto ambiguo con questa scorciatoia. In un’intervista, ammise che sarebbe stato meglio avere un solo tasto dedicato a quella funzione, ma che, per ragioni storiche, si dovette accontentare di Ctrl+Alt+Canc.
Col tempo, il comando assunse anche altri significati. In Windows NT e nelle versioni successive, fu usato come passaggio di sicurezza: premere Ctrl+Alt+Canc per accedere alla schermata di login garantiva che l’utente stesse interagendo direttamente con il sistema operativo e non con un programma malevolo che imitava la schermata. Era quindi non solo un “salvavita” tecnico, ma anche una protezione contro i tentativi di phishing locale.
Oggi, con Windows 10 e 11, Ctrl+Alt+Canc è ancora presente, ma ha un ruolo più sobrio. Porta a una schermata che permette di bloccare il PC, cambiare utente, disconnettersi o aprire il Task Manager.
Easter egg dei credits nascosti
Gli easter egg sono piccoli contenuti nascosti inseriti dagli sviluppatori dentro i programmi, accessibili solo con combinazioni segrete. Windows, nel corso della sua storia, ne ha ospitati diversi, e tra i più celebri ci sono quelli dedicati ai credits, cioè le liste dei programmatori e ingegneri che avevano lavorato alle varie versioni del sistema operativo.
Negli anni Novanta, Microsoft era diventata una macchina gigantesca con centinaia di persone che lavoravano allo sviluppo di Windows, ma solo pochi nomi finivano sotto i riflettori. Per i programmatori, che passavano anni a scrivere codice, l’idea di nascondere i propri nomi dentro al sistema operativo era un modo per lasciare una firma invisibile.
Un esempio famoso si trova in Windows 3.1. Digitando una sequenza precisa all’interno di alcune finestre di configurazione, si poteva accedere a una schermata con la lista dei membri del team di sviluppo. Non era documentata ufficialmente e solo chi conosceva il trucco poteva arrivarci. Lo stesso accadde in Windows 95 e in altre versioni: un easter egg nascosto nei file multimediali mostrava addirittura una sorta di mini-credit roll in stile cinematografico, con i nomi che scorrevano sullo schermo.
Col tempo, però, la pratica degli easter egg nei software professionali andò a scomparire. Microsoft, diventata un colosso sempre più attento a sicurezza e stabilità, iniziò a vietare l’inserimento di contenuti non documentati nel codice. Un easter egg, per quanto innocuo, poteva rappresentare un potenziale rischio o comunque un elemento non controllato all’interno di un prodotto distribuito su scala globale.
La copia pirata che esplode
Ci sono varie leggende metropolitane che hanno inseguito Windows nella sua storia, e forse la più curiosa riguarda Windows XP e il sistema di attivazione che Microsoft introdusse all’inizio degli anni Duemila.
Fino a quel momento era relativamente semplice installare copie non autorizzate di Windows. Bastava un CD, un codice seriale “condiviso” e il gioco era fatto. Microsoft, però, decise che con XP le cose dovevano cambiare: introdusse la Product Activation, un meccanismo che richiedeva all’utente di convalidare la copia del sistema operativo entro 30 giorni dall’installazione, tramite internet o telefono.
Se l’attivazione non avveniva, il sistema smetteva di funzionare correttamente, limitando l’accesso al desktop e costringendo di fatto all’acquisto di una licenza regolare.
La rete iniziò subito a popolarsi di voci e storie esagerate, tra cui una in particolare secondo cui una copia pirata di Windows XP avrebbe potuto “autodistruggere” il computer, cancellando file a caso, corrompendo l’hard disk o addirittura provocando danni all’hardware.
Ovviamente, niente di tutto ciò era vero. In parte, la nascita di queste dicerie dipendeva anche dalla cultura informatica dell’epoca. Per moltissimi utenti, Windows XP era il primo sistema operativo davvero “di massa”, e il concetto di attivazione online sembrava quasi una forma di controllo remoto da parte di Microsoft.
Il logo di Windows
Nel corso della sua storia, Windows ha cambiato il suo logo varie volte, e rivederli tutti è un po' come fare un viaggio in quella che è stata la storia del sistema operativo. Il primo logo apparve nel 1985 con Windows 1.0. Era un disegno molto semplice, un riquadro diviso in quattro parti, tracciato con linee spesse, che richiamava l’idea di una finestra.
Con Windows 3.1, nel 1992, arrivò il primo grande salto. Il logo divenne una vera e propria bandiera colorata, con quattro riquadri rosso, verde, blu e giallo, inclinati e attraversati da una scia di pixel neri.
Con Windows XP, nel 2001, il logo si ammorbidì. Sparì la scia di pixel, e i quattro riquadri colorati si fecero tridimensionali, con sfumature che li rendevano simili a vetri luminosi.
La rivoluzione successiva arrivò con Windows Vista e poi con Windows 7. Il logo fu racchiuso in una sfera traslucida, un globo azzurro con all’interno la bandiera colorata. Era l’epoca del design ispirato al vetro e agli effetti grafici pesanti, lo stesso stile che caratterizzava l’interfaccia Aero con le sue trasparenze.
Con Windows 8, nel 2012, il cambiamento fu radicale. Addio tridimensionalità, addio colori caldi: il logo tornò a essere una finestra semplice, azzurra, piatta, in linea con lo stile minimalista del design “Metro” che caratterizzava quell’epoca.
Infine, con Windows 11, l’attuale versione, il logo ha trovato un equilibrio differente. È ancora una finestra, ma ora è disegnata come un quadrato perfettamente simmetrico, diviso in quattro riquadri azzurri. Non più bandiera, non più prospettiva, ma un segno geometrico essenziale, coerente con lo stile grafico moderno fatto di semplicità, pulizia e linearità.
Guardando l’evoluzione del logo di Windows si può leggere una storia del design digitale: dall’artigianato dei primi anni Ottanta al minimalismo contemporaneo, passando per gli eccessi cromatici e tridimensionali dei Duemila, ogni trasformazione racconta non solo un aggiornamento grafico, ma anche un cambio di filosofia.
Ma nonostante i tanti cambiamenti, il concetto di finestra è sempre rimasto immutato e probabilmente così rimarrà.