Una popolazione specifica di neuroni nell'amigdala, struttura cerebrale cruciale per l'elaborazione delle emozioni, potrebbe essere la chiave per comprendere e trattare disturbi come l'ansia e la depressione. Ricercatori spagnoli dell'Istituto di Neuroscienze (IN) hanno dimostrato che ripristinando l'equilibrio dell'attività elettrica in questa precisa area cerebrale è possibile invertire comportamenti patologici nei modelli murini. La scoperta, pubblicata sulla rivista scientifica iScience, rappresenta un avanzamento significativo nella comprensione dei meccanismi neurobiologici che sottendono i disturbi affettivi e sociali, aprendo prospettive terapeutiche più mirate rispetto agli approcci farmacologici attuali.
Il team guidato da Juan Lerma ha utilizzato un modello murino geneticamente modificato, sviluppato dallo stesso laboratorio nel 2015, che sovraesprime il gene Grik4. Questo gene controlla la produzione di recettori del glutammato di tipo GluK4, la cui presenza eccessiva aumenta l'eccitabilità neuronale. I topi modificati mostravano comportamenti ansiosi e ritiro sociale paragonabili a sintomi osservati in persone affette da condizioni come disturbi dello spettro autistico o schizofrenia. La particolarità dello studio risiede nell'identificazione precisa dei circuiti neurali coinvolti: non l'intera amigdala, ma una specifica popolazione di neuroni nell'amigdala basolaterale e la loro comunicazione con neuroni inibitori nell'amigdala centrolaterale, chiamati "neuroni a scarica regolare".
Attraverso tecniche di ingegneria genetica e virus modificati, i ricercatori sono riusciti a normalizzare selettivamente l'espressione del gene Grik4 proprio in questi neuroni dell'amigdala basolaterale. "Questo semplice aggiustamento è stato sufficiente a invertire i comportamenti legati all'ansia e i deficit sociali, il che è notevole", spiega Álvaro García, primo autore dello studio. Le registrazioni elettrofisiologiche hanno confermato il ripristino della comunicazione neuronale normale, mentre i test comportamentali hanno documentato il recupero delle interazioni sociali e la riduzione dell'ansia, valutata attraverso parametri come la preferenza per spazi aperti o chiusi e l'interesse verso altri topi sconosciuti.
L'aspetto più promettente della ricerca emerge dall'applicazione della stessa strategia a topi normali (wild-type) che presentavano naturalmente livelli più elevati di ansia. Anche in questi animali non modificati geneticamente, l'intervento ha prodotto una significativa riduzione dei comportamenti ansiosi. Questo risultato convalida l'ipotesi che il meccanismo identificato non sia esclusivo di un particolare modello genetico, ma rappresenti invece un principio generale attraverso cui il cervello regola le emozioni. Come sottolinea Lerma: "Questo ci dà fiducia che il meccanismo identificato possa avere rilevanza più ampia".
Lo studio ha tuttavia evidenziato anche i limiti dell'intervento: alcuni deficit cognitivi, in particolare problemi con la memoria di riconoscimento degli oggetti, non sono stati corretti. Questo suggerisce che altre regioni cerebrali, come l'ippocampo, giochino un ruolo complementare in questi disturbi. La complessità dei circuiti neurali coinvolti nei disturbi affettivi richiede quindi un approccio multifattoriale, ma la precisione dell'intervento sull'amigdala rappresenta comunque un passo avanti significativo rispetto alle terapie sistemiche attualmente disponibili.
La ricerca è stata finanziata dall'Agenzia Statale Spagnola per la Ricerca (AEI) del Ministero della Scienza, Innovazione e Università, dal programma di eccellenza Severo Ochoa per i centri di ricerca dell'Istituto di Neuroscienze CSIC-UMH, dal Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (ERDF) e dalla Generalitat Valenciana attraverso i programmi PROMETEO e CIPROM. Il coinvolgimento di fondi europei sottolinea l'importanza strategica della ricerca neuroscientifica nel panorama scientifico continentale.
Le prospettive terapeutiche che emergono da questo lavoro puntano verso interventi sempre più localizzati e mirati. Piuttosto che agire sull'intero sistema nervoso centrale con farmaci ansiolitici o antidepressivi tradizionali, strategie future potrebbero mirare specificamente a questi circuiti neurali dell'amigdala. Tecniche di neuromodulazione, terapie geniche mirate o farmaci che agiscano selettivamente sui recettori del glutammato potrebbero costituire la prossima generazione di trattamenti per i disturbi affettivi. Restano aperte domande fondamentali sulla trasferibilità di questi risultati all'essere umano e sulla necessità di identificare biomarcatori che permettano di individuare i pazienti che potrebbero beneficiare maggiormente di tali approcci mirati.