Quando le batterie agli ioni di litio subiscono danni meccanici come forature o piegature, possono innescare incendi devastanti che hanno causato incidenti anche gravi negli ultimi anni, dai telefoni cellulari che prendono fuoco alle auto elettriche avvolte dalle fiamme. La soluzione a questo problema critico potrebbe però essere molto più semplice di quanto si pensasse: basta modificare un singolo componente chimico.
Il meccanismo che scatena questi roghi è ben noto agli esperti. Quando una batteria al litio viene perforata in modo da creare un cortocircuito interno, l'intera energia chimica immagazzinata si libera in pochi istanti. Durante questo processo, gli anioni - particelle cariche negativamente - rompono i loro legami con il litio. Ogni rottura produce calore, che a sua volta innesca ulteriori rotture in una spirale distruttiva che gli scienziati chiamano thermal runaway, letteralmente "fuga termica". Il risultato finale può essere un incendio o, nei casi peggiori, un'esplosione.
Gli smartphone, i computer portatili e le automobili elettriche che utilizziamo quotidianamente si basano tutti sulla stessa tecnologia fondamentale: un elettrodo in grafite, un elettrodo di ossido metallico e un elettrolita costituito da sale di litio disciolto in un solvente liquido. Questo elettrolita permette agli ioni di fluire in una direzione durante la ricarica e nell'altra quando rilasciamo energia per alimentare i dispositivi. Fino ad oggi, numerosi ricercatori hanno tentato di mettere in sicurezza questa architettura attraverso gel protettivi o sostituti solidi dell'elettrolita liquido, senza però trovare una soluzione realmente praticabile su larga scala.
Un team guidato da Yue Sun presso l'Università Cinese di Hong Kong ha però individuato un approccio rivoluzionario che non richiede stravolgimenti nei processi produttivi esistenti. I ricercatori hanno sviluppato un secondo solvente, chiamato bis(fluorosulfonil)imide di litio, che si lega al litio proveniente dal solvente tradizionale soltanto quando le temperature iniziano a salire pericolosamente, cioè proprio nel momento in cui sta per scatenarsi la fuga termica. La caratteristica cruciale di questo nuovo materiale è che al suo interno non possono formarsi legami anionici, eliminando così alla radice il ciclo vizioso di rilascio di calore.
I test condotti in laboratorio hanno dimostrato l'efficacia spettacolare di questa soluzione. Quando una batteria convenzionale viene trafitta con un chiodo, la temperatura interna può schizzare oltre i 500 gradi Celsius in pochi secondi. Le batterie dotate del nuovo elettrolita, invece, registrano un incremento termico di appena 3,5 gradi. Come spiega Gary Leeke dell'Università di Birmingham nel Regno Unito, si tratta di "un balzo in avanti enorme in termini di sicurezza delle batterie", ottenuto isolando "il cattivo soggetto" - gli anioni ricchi di energia - dal processo distruttivo.
L'aspetto più promettente della scoperta riguarda però la sua applicabilità pratica. Le batterie realizzate con il nuovo solvente mantengono l'82% della loro capacità originale dopo 4100 ore di utilizzo, risultati competitivi rispetto alla tecnologia attuale. Inoltre, possono essere prodotte utilizzando esattamente gli stessi impianti e le stesse linee di assemblaggio già esistenti, semplicemente sostituendo un componente chimico dell'elettrolita. Questa compatibilità con i processi produttivi consolidati rappresenta un vantaggio decisivo rispetto ad altre soluzioni proposte in passato che richiedevano riprogettazioni complete.
Secondo le stime degli esperti, la tecnologia potrebbe essere incorporata nella prossima generazione di batterie commerciali e avviata alla produzione di massa nell'arco di tre-cinque anni. Un orizzonte temporale relativamente breve che potrebbe finalmente rendere davvero sicuri miliardi di dispositivi elettronici e veicoli elettrici in circolazione nel mondo, eliminando uno dei principali ostacoli alla diffusione capillare della mobilità elettrica e dei sistemi di accumulo energetico basati sul litio.