La caccia ai pianeti simili alla Terra al di fuori del nostro sistema solare potrebbe ricevere una spinta decisiva grazie a una nuova tecnologia sviluppata da un gruppo di ricercatori dell'Università Heriot-Watt nel Regno Unito. Si tratta di uno strumento capace di modellare con una precisione senza precedenti lo spettro luminoso emesso dai cosiddetti laser frequency comb, dispositivi fondamentali per rilevare i minuscoli spostamenti nella luce stellare che tradiscono la presenza di esopianeti. Questa innovazione rappresenta un salto in avanti di circa dieci volte rispetto alle tecnologie precedenti, aprendo nuove possibilità non solo nell'astronomia ma anche in settori come le telecomunicazioni e l'ottica quantistica.
Il cuore del problema sta nella difficoltà di individuare i pianeti rocciosi delle dimensioni della Terra. Quando un pianeta orbita attorno a una stella, la sua attrazione gravitazionale provoca un impercettibile "oscillazione" della stella stessa, che si traduce in minuscoli spostamenti nelle lunghezze d'onda della luce che essa emette. Per pianeti grandi come Giove questi spostamenti sono relativamente facili da misurare, ma per corpi delle dimensioni del nostro pianeta le variazioni sono così piccole da essere spesso mascherate dalle instabilità naturali degli spettrografi utilizzati per le osservazioni.
È qui che entrano in gioco i laser frequency comb, sorgenti luminose che emettono migliaia di linee spettrali equidistanti, funzionando come dei "righelli" di lunghezze d'onda estremamente precisi. Tuttavia, anche questi strumenti presentano limitazioni: le linee spettrali che producono non hanno tutte la stessa intensità, creando irregolarità che possono compromettere la precisione delle misurazioni. Come spiega Derryck T. Reid, responsabile del gruppo di ricerca, "per gli astronomi il grande obiettivo sarebbe trovare un pianeta con una massa simile alla Terra in orbita attorno a una stella simile al Sole", e il nuovo modulatore spettrale può rendere le linee del frequency comb più uniformi, permettendo di rilevare movimenti stellari ancora più piccoli.
La tecnologia sviluppata dai ricercatori britannici, descritta sulla rivista Optica, si basa su un approccio innovativo che sfrutta un modulatore spaziale di luce in combinazione con una configurazione bidimensionale dello spettro. A differenza dei sistemi tradizionali che utilizzano un prisma per separare la luce in uno spettro monodimensionale, questo nuovo sistema adotta una soluzione ispirata agli spettrografi montati sui grandi telescopi astronomici, che suddividono lo spettro in molte righe formando una griglia bidimensionale. Questa disposizione si adatta perfettamente alla matrice di pixel dei modulatori spaziali di luce, permettendo un controllo indipendente di ogni singola linea del frequency comb.
I test condotti in laboratorio hanno dimostrato capacità impressionanti: il sistema riesce a controllare con precisione l'ampiezza di 10.000 modalità del pettine di frequenza, coprendo lunghezze d'onda che vanno da 580 a 950 nanometri, con un rapporto tra ampiezza di banda e risoluzione superiore a 20.000. Per fare un confronto che renda l'idea dell'innovazione, le dimostrazioni precedenti di modulazione linea per linea riportavano il controllo di poche centinaia di modalità, con rapporti di soli qualche migliaio.
Il meccanismo funziona mappando ogni linea del frequency comb su un gruppo specifico di pixel del modulatore, permettendo ai ricercatori di scolpire lo spettro in qualsiasi forma desiderata. Per verificare le prestazioni del sistema, il team ha programmato il modulatore per appiattire lo spettro o per isolare diverse linee del pettine. In una dimostrazione particolarmente suggestiva, hanno persino codificato varie fotografie come forme target sullo spettrografo bidimensionale, associando i pixel di ciascuna immagine alle singole linee del laser: dal logo della rivista scientifica alla silhouette del cane di un membro del team, ogni immagine è stata ricreata utilizzando migliaia di linee spettrali individuali.
L'algoritmo sviluppato dai ricercatori confronta continuamente lo spettro misurato con la forma target scelta e regola il modulatore spaziale di luce fino a ottenere la corrispondenza desiderata. Non potendo sviluppare la tecnologia direttamente su un telescopio astronomico reale, il gruppo ha costruito una versione da laboratorio di uno spettrografo astronomico, riproducendone le caratteristiche essenziali per i test.
Le applicazioni di questa tecnologia vanno però ben oltre l'astronomia. Come sottolinea Reid, gli spettrografi modulari sono strumenti versatili che potrebbero portare benefici significativi in diversi campi. Nelle telecomunicazioni, il controllo preciso della forma della luce su ampie larghezze di banda può migliorare la fedeltà del segnale e consentire trasferimenti di dati più rapidi. Nell'ottica quantistica, potrebbe potenziare la manipolazione degli stati quantistici, mentre nei sistemi radar avanzati potrebbe aumentare le capacità di rilevamento e tracciamento.
Il prossimo passo per il team di ricerca sarà quello di testare il modulatore spettrale sul Southern African Large Telescope, dove potranno valutarne le prestazioni durante osservazioni astronomiche reali. Questo test sul campo rappresenterà il banco di prova definitivo per verificare se la tecnologia può davvero fare la differenza nella ricerca di altri mondi potenzialmente abitabili. La possibilità di rilevare pianeti rocciosi in orbita nella zona abitabile di stelle simili al Sole rimane uno degli obiettivi più ambiziosi dell'astrofisica moderna, e questa innovazione potrebbe essere il tassello mancante per trasformarlo in realtà.