La leucemia mieloide acuta rappresenta da decenni una delle sfide più complesse dell'oncologia: aggressiva, difficile da trattare e spesso refrattaria alle terapie convenzionali. Ora, un gruppo di ricerca della Northwestern University ha messo a punto una strategia innovativa che trasforma radicalmente uno dei chemioterapici più utilizzati, il 5-fluorouracile (5-Fu), rendendolo significativamente più efficace e meno tossico. Il segreto risiede nella nanostruttura: utilizzando acidi nucleici sferici (SNA), i ricercatori hanno integrato il farmaco direttamente in filamenti di DNA che rivestono nanoparticelle sferiche, creando un agente terapeutico capace di colpire selettivamente le cellule leucemiche risparmiando i tessuti sani.
Il problema fondamentale del 5-fluorouracile non risiede nella sua efficacia teorica, ma nella sua scarsissima solubilità biologica. Come spiega Chad A. Mirkin, autore senior dello studio e direttore dell'International Institute for Nanotechnology presso la Northwestern University, meno dell'1% del farmaco si dissolve nei fluidi biologici, il che significa che la maggior parte della dose somministrata non raggiunge mai i bersagli previsti. Questa limitazione costringe gli oncologi a utilizzare dosaggi elevati che colpiscono indiscriminatamente cellule sane e malate, causando gli effetti collaterali devastanti tipici della chemioterapia tradizionale: nausea, affaticamento estremo e, in casi rari, complicazioni cardiache.
La soluzione proposta dal team di Mirkin appartiene al campo emergente della nanomedicina strutturale, una disciplina che controlla con precisione molecolare la composizione e l'architettura dei nanofarmaci per ottimizzare la loro interazione con l'organismo umano. Gli acidi nucleici sferici sono nanostrutture globulari circondate da un denso guscio di DNA o RNA che le cellule riconoscono spontaneamente e assorbono attraverso recettori scavenger presenti sulla superficie cellulare. Nel caso specifico delle cellule mieloidi leucemiche, questi recettori sono sovra-espressi, rendendo le cellule tumorali particolarmente vulnerabili a questa modalità di somministrazione.
I risultati sperimentali, pubblicati sulla rivista ACS Nano il 29 ottobre, dimostrano un salto qualitativo straordinario. Nei modelli murini di leucemia mieloide acuta, la nuova formulazione ha penetrato le cellule leucemiche 12,5 volte più efficacemente, distruggendole con una potenza fino a 20.000 volte superiore rispetto al farmaco convenzionale. Ma il dato forse più rilevante dal punto di vista clinico è la capacità di rallentare la progressione del cancro di 59 volte, senza causare effetti collaterali rilevabili negli animali trattati. Le analisi istologiche hanno confermato l'eliminazione quasi totale delle cellule leucemiche nel sangue e nella milza, con un significativo prolungamento della sopravvivenza.
Il meccanismo d'azione rappresenta un paradigma completamente nuovo nella somministrazione di chemioterapici. Una volta che gli SNA vengono internalizzati dalla cellula leucemica attraverso il riconoscimento recettoriale, enzimi cellulari degradano il guscio di DNA liberando il carico chemioterapico direttamente all'interno della cellula malata. Questa strategia elimina la necessità di forzare l'ingresso del farmaco attraverso la membrana cellulare, un processo inefficiente che caratterizza la chemioterapia convenzionale. Come sottolinea Mirkin, invece di somministrare chemioterapia a tutto l'organismo, si fornisce una dose più alta e concentrata esattamente dove serve, riducendo drasticamente i danni collaterali ai tessuti sani.
La ricerca si inserisce in un contesto più ampio di sviluppo clinico: attualmente sette terapie basate su acidi nucleici sferici sono già in fase di sperimentazione clinica per diverse patologie, inclusi tumori solidi, malattie neurodegenerative e disturbi autoimmuni. Il successo nell'applicazione alla leucemia mieloide acuta potrebbe quindi accelerare l'adozione di questo approccio per altre neoplasie ematologiche e tumori solidi che sovra-esprimono recettori scavenger.
Lo studio è stato finanziato dal National Cancer Institute e dal National Institute of Diabetes and Digestive and Kidney Diseases, con il supporto del Robert H. Lurie Comprehensive Cancer Center della Northwestern University. I prossimi passi prevedono la validazione dei risultati in gruppi più ampi di modelli animali di piccola taglia, seguiti da studi su animali di grandi dimensioni prima di procedere alle sperimentazioni cliniche sull'uomo, subordinate all'ottenimento di ulteriori finanziamenti. Se i risultati si confermeranno nei trial umani, questa tecnologia potrebbe rappresentare un punto di svolta nella chemioterapia, realizzando finalmente l'obiettivo di massimizzare l'efficacia terapeutica minimizzando la tossicità sistemica, un equilibrio che l'oncologia ricerca da decenni.