Il cervello umano possiede un sistema di controllo del dolore straordinariamente sofisticato, organizzato secondo una precisa mappa anatomica che distingue tra volto, braccia e gambe. Questa rivelazione, emersa da uno studio condotto presso l'Università di Sydney e pubblicato sulla prestigiosa rivista Science, apre scenari inediti per lo sviluppo di terapie analgesiche mirate che potrebbero aggirare i rischi associati agli oppioidi. La ricerca dimostra che il sollievo dal dolore non è un processo generalizzato, ma un'operazione chirurgicamente precisa orchestrata dal tronco encefalico, la struttura che connette cervello e midollo spinale.
Per mappare questo sistema nascosto, il team guidato dal dottor Lewis Crawford ha utilizzato una risonanza magnetica funzionale da 7 Tesla (fMRI), uno degli scanner cerebrali più avanzati al mondo, disponibile in soli due esemplari in Australia. L'approccio sperimentale si è basato sull'effetto placebo: 93 volontari sani sono stati esposti a stimoli termici su diverse parti del corpo, con temperature personalizzate per ciascuno fino a raggiungere un livello di disagio moderato, compreso tra 40 e 50 gradi Celsius su una scala da 0 a 100. Una crema placebo veniva applicata su alcune aree, mentre segretamente i ricercatori riducevano la temperatura per convincere i partecipanti della sua efficacia analgesica.
Il dato più significativo è emerso quando lo stesso stimolo termico è stato riapplicato senza riduzione della temperatura: il 61% dei partecipanti ha continuato a percepire meno dolore nelle zone trattate con il placebo, evidenza robusta di un autentico sollievo indotto dalle aspettative. Questa risposta non era distribuita uniformemente nel cervello, ma seguiva una precisa organizzazione topografica. Come spiega Crawford, "le regioni superiori del tronco encefalico si attivavano maggiormente nel controllo del dolore facciale, mentre le sezioni inferiori rispondevano al dolore di braccia e gambe".
Due strutture del tronco encefalico si sono rivelate centrali in questo meccanismo: la sostanza grigia periacqueduttale (PAG) e il midollo rostrale ventromediale (RVM). Ciascuna mostrava schemi di attivazione distinti in base alla localizzazione del dolore. Le sezioni superiori di PAG e RVM reagivano al dolore facciale, mentre quelle inferiori si attivavano per il dolore agli arti. Questa scoperta rappresenta la prima evidenza diretta di una mappa del dolore così dettagliata nel tronco encefalico umano, un risultato che il professor Kevin Keay, co-autore e vice-direttore della School of Medical Sciences, ha perseguito attraverso decenni di ricerche sulla regolazione cerebrale del dolore.
Le implicazioni terapeutiche di questa scoperta sono considerevoli. La comprensione di quali aree del tronco encefalico corrispondano a specifiche regioni corporee potrebbe guidare lo sviluppo di trattamenti non invasivi capaci di ridurre il dolore senza gli effetti collaterali sistemici tipici degli analgesici tradizionali. "Ora disponiamo di una mappa di come il cervello controlli il dolore in modo spazialmente organizzato", afferma il professor Luke Henderson, autore senior dello studio e docente presso la School of Medical Sciences e il Brain and Mind Centre. "Questo potrebbe aiutarci a progettare terapie più efficaci e personalizzate, specialmente per persone con dolore cronico localizzato in aree specifiche del corpo".
La ricerca sfida anche consolidate ipotesi sui meccanismi del placebo. Contrariamente alla convinzione che l'effetto analgesico placebo dipenda dal sistema oppioide endogeno, i ricercatori hanno identificato una diversa componente del tronco encefalico – la PAG laterale – che opera senza coinvolgere oppioidi e potrebbe invece essere collegata all'attività dei cannabinoidi. "Il sollievo dal dolore mediato dagli oppioidi attiva tipicamente aree centrali del cervello con effetti su tutto l'organismo", spiega Crawford, "mentre il circuito cannabinoide che abbiamo identificato sembra operare in regioni più circoscritte del tronco encefalico". Questa evidenza sostiene l'ipotesi che i cannabinoidi possano giocare un ruolo nel controllo localizzato e non oppioide del dolore.
La precisione anatomica di questo sistema apre prospettive concrete per la medicina del dolore. Sapere esattamente dove avviene il sollievo nel cervello consente di targetizzare quella specifica area o valutare se un farmaco stia agendo nel punto corretto. Come conclude Crawford, questa conoscenza potrebbe portare a trattamenti del dolore cronico che non dipendono dagli oppioidi e funzionano esattamente dove il cervello si aspetta il sollievo – un avanzamento significativo nella gestione del dolore. I prossimi passi della ricerca includeranno studi su pazienti con dolore cronico per verificare se e come questa mappa cerebrale si modifichi nelle condizioni patologiche, aprendo la strada a interventi terapeutici mirati basati sulla neuromodulazione non invasiva o su farmaci a azione selettiva sulle regioni identificate.