La misurazione precisa del potenziale elettrico all'interno dei plasmi da fusione rappresenta una delle sfide più complesse per lo sviluppo dei futuri reattori a fusione nucleare. Questo parametro governa infatti il trasporto di particelle ed energia nel plasma, determinando l'efficienza con cui l'energia viene confinata magneticamente anziché dispersa. Un gruppo di ricerca del National Institute for Fusion Science giapponese ha recentemente superato un importante ostacolo tecnico che limitava la precisione di queste misurazioni, ottenendo per la prima volta dati ad alta risoluzione sulla dinamica del potenziale in condizioni paragonabili a quelle dei futuri reattori. Lo studio, pubblicato sulla rivista Nuclear Fusion, apre nuove prospettive per ottimizzare le prestazioni dei plasmi confinati magneticamente a temperature superiori ai cento milioni di gradi.
La tecnica diagnostica impiegata si basa su un dispositivo chiamato heavy ion beam probe (HIBP), che utilizza ioni negativi di oro accelerati e iniettati nel plasma. Il principio di funzionamento è elegante nella sua complessità: gli ioni Au⁻ vengono accelerati fino a 6 mega-elettronvolt attraverso un acceleratore tandem e convertiti in ioni positivi Au⁺ prima di entrare nel plasma. Durante l'attraversamento, le collisioni con il plasma producono ioni Au²⁺, e la differenza energetica tra il fascio incidente e quello emergente rivela il potenziale elettrico nel punto preciso dove è avvenuta l'interazione. Questo metodo non invasivo consente di mappare la distribuzione del potenziale interno senza perturbare il plasma, un vantaggio fondamentale rispetto ad altre tecniche diagnostiche.
Il problema che ha limitato per anni la precisione delle misurazioni risiedeva nel trasporto del fascio ionico. Sebbene le sorgenti di ioni negativi fossero state perfezionate aumentando la corrente disponibile, l'efficienza di trasporto dalla sorgente all'acceleratore rimaneva bassa. Le simulazioni condotte con il codice IGUN hanno rivelato la causa fisica: l'effetto di carica spaziale. A correnti superiori a 10 microampere, la repulsione elettrostatica tra gli ioni provoca un'espansione del fascio che ne impedisce l'ingresso nell'acceleratore attraverso la fenditura di entrata. Per fasci pesanti come quelli di oro, questo fenomeno diventa particolarmente critico, limitando drasticamente la corrente utilizzabile indipendentemente dalla potenza della sorgente.
La soluzione sviluppata dai ricercatori giapponesi sfrutta l'acceleratore multistadio situato tra la sorgente ionica e l'acceleratore tandem non solo per accelerare gli ioni, ma anche come lente elettrostatica. Modificando strategicamente la distribuzione delle tensioni applicate ai vari stadi, il team è riuscito a compensare l'espansione del fascio indotta dalla carica spaziale, mantenendo il diametro entro limiti compatibili con l'ingresso nell'acceleratore. Le simulazioni numeriche hanno indicato configurazioni di tensione ottimali capaci di garantire trasmissioni superiori al 95%, un miglioramento drammatico rispetto alla configurazione convenzionale. Gli esperimenti successivi sul Large Helical Device (LHD) hanno confermato le previsioni teoriche, dimostrando incrementi di corrente di un fattore compreso tra due e tre.
L'aumento della corrente del fascio ha esteso significativamente il regime operativo della diagnostica HIBP sull'LHD, permettendo misurazioni fino a densità elettroniche medie di 1,75×10¹⁹ m⁻³, valori tipici delle condizioni di plasma necessarie per la generazione di energia da fusione. La maggiore intensità del segnale ha consentito di rilevare transizioni temporali nella distribuzione del potenziale associate a cambiamenti nello stato di confinamento del plasma. I dati mostrano che quando il riscaldamento a risonanza ciclotronica elettronica viene interrotto, il potenziale diminuisce rapidamente in tutto il volume del plasma, seguito da un graduale appiattimento del profilo radiale. Queste informazioni sono cruciali poiché variazioni nel potenziale elettrico influenzano direttamente le perdite di particelle ed energia, determinando l'efficienza complessiva del confinamento.
La metodologia sviluppata offre una soluzione compatta e pratica applicabile non solo ai sistemi diagnostici per la fusione, ma anche ad altri acceleratori che richiedono fasci ad alta intensità. La capacità di misurare con precisione e riproducibilità la struttura del potenziale interno in plasmi di grado reattore costituisce un database fondamentale per il futuro controllo dei plasmi e la progettazione dei reattori. Nei prossimi esperimenti, i ricercatori prevedono di applicare questa tecnica ottimizzata allo studio sistematico delle correlazioni tra profili di potenziale, modi di confinamento migliorato e stabilità del plasma, aspetti determinanti per il successo dell'energia da fusione come fonte sostenibile per il futuro dell'umanità.