Una svolta nella lotta contro alcuni tumori del sangue potrebbe arrivare da una scoperta tanto inattesa quanto rivoluzionaria: quella porzione di materiale genetico che per decenni gli scienziati hanno liquidato come "DNA spazzatura" si sta rivelando un bersaglio terapeutico di grande potenziale. Un gruppo di ricercatori del King's College di Londra ha dimostrato che farmaci già disponibili possono essere impiegati in modo completamente nuovo per aggredire cellule tumorali attraverso un meccanismo finora sconosciuto. Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica Blood, apre prospettive concrete per pazienti con forme di cancro particolarmente difficili da trattare.
Al centro della ricerca ci sono due patologie ematologiche: la sindrome mielodisplastica e la leucemia linfatica cronica. Entrambe sono spesso associate a mutazioni di due geni chiave, ASXL1 ed EZH2, che in condizioni normali regolano l'attivazione e la disattivazione di altri geni all'interno delle cellule. Quando questi "interruttori" genetici si guastano, il sistema di controllo cellulare collassa e le cellule iniziano a replicarsi in maniera incontrollata, dando origine al tumore.
Il problema principale con queste mutazioni è che spesso impediscono ai geni di produrre qualsiasi proteina. Le terapie tradizionali funzionano bloccando le proteine dannose generate da geni difettosi, ma se non c'è nessuna proteina da bloccare, i farmaci convenzionali risultano inefficaci. Questo lascia i pazienti con opzioni terapeutiche limitate e una prognosi generalmente sfavorevole.
Gli scienziati londinesi hanno però individuato una vulnerabilità nascosta in queste cellule malate. Circa metà del nostro genoma è costituito da sequenze ripetitive chiamate elementi trasponibili, frammenti di DNA mobile che per lungo tempo sono stati ritenuti privi di funzione biologica rilevante. La ricerca ha dimostrato che quando ASXL1 ed EZH2 sono mutati, questi elementi trasponibili escono dal loro stato dormiente e diventano straordinariamente attivi.
Questa iperattività sottopone le cellule tumorali a uno stress considerevole e provoca danni al DNA, creando una debolezza che può essere sfruttata terapeuticamente. È qui che entrano in gioco gli inibitori PARP, farmaci già utilizzati nel trattamento di altri tipi di tumore. Questi medicinali sono progettati per impedire alle cellule di riparare il DNA danneggiato, ma i ricercatori hanno scoperto che nelle cellule con elementi trasponibili attivi funzionano attraverso un meccanismo completamente diverso.
Mentre gli elementi trasponibili si spostano all'interno del genoma, causano rotture del DNA. Normalmente le proteine PARP intervengono per riparare questi danni, ma quando gli inibitori bloccano questo processo di riparazione, il danno si accumula fino a quando le cellule cancerose non possono più sopravvivere e muoiono. Per confermare che l'effetto dipendesse realmente dall'attività degli elementi trasponibili, il team ha utilizzato inibitori della trascrittasi inversa, che impediscono a questi elementi di copiarsi. Quando questi inibitori venivano aggiunti, i farmaci PARP perdevano la loro capacità di uccidere le cellule tumorali, dimostrando che il meccanismo d'azione era effettivamente legato agli elementi trasponibili e non al percorso BRCA tradizionale osservato in altri tumori.
Il professor Chi Wai Eric So del King's College ha sottolineato come questa scoperta offra nuove speranze per pazienti con tumori difficili da trattare, permettendo di utilizzare farmaci esistenti in modo completamente innovativo e trasformando quello che un tempo era considerato DNA inutile in un potente bersaglio terapeutico. Sebbene lo studio si sia concentrato su forme di cancro del sangue come la sindrome mielodisplastica e la leucemia linfatica cronica, i ricercatori ritengono che lo stesso principio possa applicarsi ad altri tumori caratterizzati da mutazioni genetiche simili.
Se ulteriori verifiche confermeranno questa ipotesi, la strategia potrebbe estendere l'uso degli inibitori PARP a una gamma più ampia di neoplasie, aprendo nuovi percorsi terapeutici e offrendo ai pazienti opzioni di cura che prima non esistevano. Un risultato che dimostra come anche gli angoli più trascurati del nostro patrimonio genetico possano nascondere risorse preziose per la medicina del futuro.