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Rilevata la prima espulsione di plasma da una stella aliena

Per la prima volta confermata una CME completa da una stella distante, un passo chiave per capire l’impatto delle eruzioni sull’abitabilità dei pianeti.

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a cura di Antonello Buzzi

Senior Editor

Pubblicato il 13/11/2025 alle 08:45

La notizia in un minuto

  • Per la prima volta nella storia gli scienziati hanno confermato definitivamente un'espulsione di massa coronale (CME) da una stella diversa dal Sole, grazie all'osservazione combinata di radiotelescopi terrestri e strumenti spaziali a raggi X
  • Il fenomeno è stato rilevato sulla stella StKM 1-1262 situata a 130 anni luce dalla Terra, dimostrando che gigantesche bolle di plasma magnetizzato vengono scagliate nello spazio anche da altri sistemi stellari
  • La scoperta ha profonde implicazioni per l'astrobiologia, poiché questi eventi potrebbero erodere progressivamente le atmosfere degli esopianeti privi di scudo magnetico, rendendo impossibile il mantenimento di condizioni favorevoli alla vita
Riassunto generato con l'IA. Potrebbe non essere accurato.

Per la prima volta nella storia dell'astronomia, gli scienziati hanno confermato in modo definitivo l'espulsione di un'enorme massa di plasma da una stella diversa dal Sole. L'osservazione, ottenuta grazie a sofisticati radiotelescopi terrestri e strumenti spaziali a raggi X, rappresenta un traguardo fondamentale per comprendere i processi stellari violenti che plasmano l'abitabilità dei pianeti extrasolari. Dopo oltre tre decenni di indizi indiretti e osservazioni ambigue, questa rilevazione fornisce la prova incontrovertibile che le espulsioni di massa coronale (CME, dall'inglese Coronal Mass Ejections) non sono un fenomeno esclusivo della nostra stella, ma caratterizzano anche sistemi planetari lontani, con implicazioni profonde per la ricerca della vita nell'universo.

Il fenomeno è stato individuato su StKM 1-1262, una stella situata a 130 anni luce dalla Terra. Le CME si verificano quando intense tempeste magnetiche sulla superficie stellare scagliano nello spazio gigantesche bolle di plasma magnetizzato, particelle cariche che viaggiano a velocità elevatissime. Nel nostro Sistema Solare, questi eventi producono le spettacolari aurore polari quando interagiscono con il campo magnetico terrestre, ma possono anche avere conseguenze devastanti: sono in grado di erodere gradualmente l'atmosfera di pianeti privi di scudo magnetico, come nel caso di Venere, più vicino al Sole e particolarmente vulnerabile a queste esplosioni di radiazione.

La conferma definitiva è arrivata dall'analisi combinata di dati raccolti dal Low Frequency Array (LOFAR), un sofisticato radiotelescopio situato nei Paesi Bassi, e dal telescopio spaziale a raggi X XMM-Newton dell'Agenzia Spaziale Europea. Joseph Callingham, ricercatore presso il Netherlands Institute for Radio Astronomy e coordinatore dello studio, ha spiegato che il team ha rilevato un'intensa emissione di onde radio prodotta dal plasma mentre si allontanava dalla stella. Questo tipo di segnale rappresenta la firma inconfondibile che il materiale ha effettivamente superato l'attrazione gravitazionale e magnetica dell'astro, propagandosi liberamente nello spazio interstellare.

La vera sfida scientifica risiedeva proprio nella distinzione tra un'autentica espulsione di massa e semplici eruzioni superficiali. Per decenni gli astronomi avevano osservato segnali compatibili con CME stellari, ma non erano mai riusciti a dimostrare che il plasma fosse effettivamente fuggito dalla stella anziché ricadere sulla sua superficie dopo un'espulsione parziale. "Potremmo dire che avevamo indizi da trent'anni, ed è vero, ma non lo avevamo mai dimostrato esplicitamente", ha sottolineato Callingham. L'osservazione delle onde radio a bassa frequenza, possibili solo se l'espulsione è completa, costituisce quindi quella che gli scienziati definiscono la "pistola fumante" del fenomeno.

L'intensità della radiazione emessa dall'espulsione sarebbe stata sufficientemente potente da mettere a rischio qualsiasi forma di vita nelle vicinanze

La metodologia ha richiesto un approccio multi-strumentale: mentre LOFAR captava le emissioni radio del plasma espulso, XMM-Newton misurava contemporaneamente temperatura, velocità di rotazione e luminosità della stella ospite. Questa combinazione ha permesso di caratterizzare completamente l'evento, fornendo un quadro dettagliato della fisica stellare coinvolta. L'integrazione di osservazioni terrestri e spaziali si conferma essenziale per studiare fenomeni così complessi e lontani, aprendo nuove prospettive per l'astronomia multi-messaggero applicata alla fisica stellare.

Le implicazioni per l'astrobiologia sono significative. Anthony Yeates, astrofisico della Durham University nel Regno Unito, ha evidenziato come la frequenza e l'intensità delle CME provenienti da stelle diverse dal Sole debbano essere incorporate nei modelli che valutano la potenziale abitabilità degli esopianeti. "Se ci fosse stato un esopianeta, sarebbe stato piuttosto catastrofico per qualsiasi forma di vita su di esso", ha commentato. La radiazione associata a questi eventi può infatti strappare progressivamente l'atmosfera planetaria, rendendo impossibile il mantenimento di condizioni favorevoli alla vita come la conosciamo. Pianeti rocciosi privi di un robusto campo magnetico protettivo risulterebbero particolarmente vulnerabili.

Questa scoperta apre scenari di ricerca completamente nuovi. Comprendere quanto siano comuni e violente le CME attorno ad altre stelle permetterà di raffinare i criteri di selezione per la ricerca di mondi potenzialmente abitabili. Sistemi stellari caratterizzati da attività magnetica intensa potrebbero essere ambienti troppo ostili, mentre stelle più tranquille offrirebbero maggiori opportunità per lo sviluppo e il mantenimento della vita. Le future osservazioni, condotte con strumenti di nuova generazione come lo Square Kilometre Array, dovranno quantificare statisticamente questi eventi per costruire un quadro completo della loro distribuzione e impatto sui sistemi planetari extrasolari, contribuendo così a una comprensione più profonda del nostro posto nell'universo e delle condizioni necessarie perché la vita possa prosperare oltre la Terra.

Fonte dell'articolo: www.newscientist.com

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