La comprensione dei meccanismi biologici alla base del Long COVID, la sindrome post-virale che affligge milioni di persone nel mondo dopo l'infezione da SARS-CoV-2, ha compiuto un passo avanti significativo grazie a una ricerca collaborativa internazionale. Un team guidato dalla professoressa Resia Pretorius dell'Università di Stellenbosch in Sudafrica e dal dottor Alain Thierry dell'Istituto di ricerca sul cancro di Montpellier (IRCM-INSERM) ha identificato un'interazione strutturale finora sconosciuta tra due elementi chiave della risposta immunitaria: i microcoaguli circolanti e le trappole extracellulari dei neutrofili, note come NETs.
I microcoaguli rappresentano aggregati anomali di proteine della coagulazione che circolano nel flusso sanguigno, un fenomeno relativamente recente nella letteratura scientifica. Il concetto è stato introdotto nel 2021 proprio dalla professoressa Pretorius, quando il suo gruppo di ricerca nel Dipartimento di Scienze Fisiologiche identificò questi ammassi proteici atipici nei campioni ematici di pazienti affetti da COVID-19. La scoperta attirò immediatamente l'attenzione della comunità scientifica per il suo potenziale ruolo nelle coagulopatie associate all'infezione virale, contribuendo a spiegare alcune delle complicanze trombotiche osservate durante la pandemia.
Parallelamente, il team del dottor Thierry a Montpellier è stato tra i primi a riconoscere il ruolo critico delle NETs nella patogenesi del COVID-19. Queste strutture filamentose si formano attraverso un processo chiamato NETosi, nel quale i neutrofili – cellule chiave del sistema immunitario innato – rilasciano il proprio DNA creando reticoli intricati carichi di enzimi citotossici. Sebbene questo meccanismo rappresenti una difesa efficace contro i patogeni, intrappolandoli e neutralizzandoli rapidamente, una produzione eccessiva di NETs può rivelarsi dannosa. L'iperattivazione di questo processo è stata infatti correlata a numerose patologie infiammatorie e trombotiche, incluse infezioni severe, malattie autoimmuni, tumori, diabete e artrite.
La metodologia adottata dai ricercatori ha combinato tecniche di imaging avanzate con strumenti di intelligenza artificiale per caratterizzare quantitativamente e strutturalmente sia i microcoaguli che le NETs. Utilizzando la citometria a flusso con imaging e la microscopia a fluorescenza, gli scienziati hanno analizzato campioni plasmatici di pazienti con Long COVID confrontandoli con controlli sani. Le NETs sono state quantificate attraverso l'analisi di marcatori proteici specifici e del DNA circolante, permettendo una valutazione multidimensionale del fenomeno.
I dati emersi dallo studio rivelano tre osservazioni principali. Innanzitutto, i biomarcatori associati sia ai microcoaguli che alle NETs risultano significativamente elevati nei pazienti con Long COVID rispetto ai controlli sani. In secondo luogo, i microcoaguli non sono solo più numerosi ma anche di dimensioni maggiori nei soggetti affetti dalla sindrome post-virale. Tuttavia, l'aspetto più rilevante riguarda l'identificazione di un'associazione strutturale diretta tra microcoaguli e NETs, presente in tutti i soggetti analizzati ma marcatamente più pronunciata nei pazienti con Long COVID.
Come sottolinea il dottor Thierry, questa evidenza suggerisce l'esistenza di interazioni fisiologiche sottostanti tra questi due elementi che, quando disregolate, possono assumere carattere patogeno. La professoressa Pretorius precisa che i risultati rivelano un accumulo significativo di microcoaguli nel plasma dei pazienti, probabilmente guidato e stabilizzato da una produzione eccessiva di NETs. Secondo l'ipotesi proposta dal team, questa interazione crea una sorta di "rinforzo strutturale" che rende i microcoaguli particolarmente resistenti ai normali meccanismi di dissoluzione dell'organismo, contribuendo alle complicanze microvascolari croniche caratteristiche del Long COVID.
L'integrazione di algoritmi di machine learning nell'analisi dei biomarcatori rappresenta un ulteriore elemento innovativo dello studio. Questi strumenti di intelligenza artificiale hanno permesso di distinguere con elevata accuratezza i pazienti affetti da Long COVID dagli individui sani, identificando le combinazioni di biomarcatori più predittive. Tale approccio computazionale aumenta l'affidabilità diagnostica e potrebbe aprire la strada a strategie di medicina personalizzata, consentendo di stratificare i pazienti in base ai profili molecolari individuali e di modulare i trattamenti di conseguenza.
Il dottor Thierry ipotizza che la sovrapproduzione persistente di NETs, alimentata da cicli autoamplificanti di infiammazione e trombosi, possa esacerbare la gravità della malattia. Questa visione sistemica del Long COVID come condizione caratterizzata da una disregolazione trombo-infiammatoria cronica offre nuovi target terapeutici potenziali. Interventi mirati a modulare la formazione di NETs o a potenziare i meccanismi di fibrinolisi potrebbero infatti interrompere il circolo vizioso che perpetua i sintomi.
Gli autori sottolineano che la combinazione di tecniche di imaging avanzate e machine learning conferisce robustezza metodologica alla ricerca e contribuisce significativamente al dibattito scientifico sulle sindromi post-virali. La scoperta si inserisce nel più ampio sforzo internazionale di co