Nella ricerca sulle malattie neurodegenerative, individuare l'Alzheimer nelle sue fasi iniziali rappresenta una delle sfide più urgenti per la comunità scientifica internazionale. La patologia, che colpisce milioni di persone nel mondo con un impatto crescente sulle società che invecchiano, viene spesso diagnosticata quando i danni cerebrali sono già estesi e irreversibili. Un gruppo di ricercatori della Northern Arizona University sta ora sviluppando un metodo che potrebbe rivoluzionare la diagnostica precoce, concentrandosi su un parametro metabolico fondamentale: la capacità del cervello di utilizzare il glucosio come carburante per le sue funzioni cognitive.
Il team guidato da Travis Gibbons, professore assistente presso il Dipartimento di Scienze Biologiche, ha focalizzato l'attenzione sul metabolismo cerebrale del glucosio, un indicatore che sembra alterarsi significativamente prima della comparsa dei sintomi clinici conclamati dell'Alzheimer. Come spiega lo stesso Gibbons, un cervello sano è metabolicamente "avido": consuma rapidamente il glucosio ematico per alimentare processi come il pensiero, il movimento e la regolazione emotiva. Nei pazienti con Alzheimer, invece, questo metabolismo rallenta progressivamente, funzionando come un segnale d'allarme precoce della degenerazione neuronale in corso. Il progetto, sostenuto in parte da un finanziamento della Arizona Alzheimer's Association, si inserisce nel più ampio contesto dell'Arizona Alzheimer's Consortium, una rete di collaborazione scientifica dedicata allo studio della demenza.
Tradizionalmente, misurare il metabolismo del glucosio cerebrale ha rappresentato una sfida tecnica considerevole. I metodi invasivi utilizzati in passato prevedevano l'inserimento di cateteri nelle vene del collo per prelevare campioni di sangue in uscita dal cervello, una procedura chiaramente inadatta per uno screening di routine o per il monitoraggio longitudinale dei pazienti. L'approccio innovativo sviluppato dal gruppo di Gibbons si basa invece sull'analisi delle microvescicole presenti nel circolo sanguigno periferico, strutture microscopiche che originano dai neuroni e circolano trasportando molecole informative sul metabolismo cerebrale.
Queste microvescicole funzionano essenzialmente come messaggeri biologici, incapsulando proteine, lipidi e altre molecole che riflettono lo stato metabolico delle cellule cerebrali da cui provengono. Utilizzando kit commerciali già disponibili, i ricercatori possono isolare queste strutture da un semplice prelievo di sangue venoso e analizzarne il contenuto molecolare. "È stato descritto come una biopsia cerebrale, ma molto meno invasiva", sottolinea Gibbons, evidenziando il potenziale di questa tecnica per la pratica clinica quotidiana. Il metodo richiede ancora perfezionamenti tecnici e una procedura di laboratorio accurata, ma promette di trasformare radicalmente le modalità di rilevamento e monitoraggio dell'Alzheimer nel tempo.
Il razionale scientifico dell'approccio si basa su studi precedenti condotti dallo stesso gruppo di ricerca. In una sperimentazione antecedente, Gibbons e collaboratori hanno somministrato insulina per via intranasale, un metodo che permette al neuroormone di raggiungere il tessuto cerebrale più efficacemente rispetto alle tradizionali iniezioni sistemiche. Dopo il trattamento, il team ha prelevato sangue venoso cerebrale mediante tecniche invasive, identificando biomarcatori associati a un miglioramento della neuroplasticità, cioè della capacità del cervello di riorganizzare le proprie connessioni sinaptiche. L'obiettivo attuale consiste nel rilevare questi stessi biomarcatori metabolici nelle microvescicole circolanti, validando così un metodo di monitoraggio non invasivo applicabile su larga scala.
La strategia di ricerca procede secondo fasi metodologicamente rigorose. Il primo stadio prevede la validazione della tecnica su volontari sani, per stabilire i parametri di riferimento del metabolismo glucidico cerebrale normale. Successivamente, il protocollo verrà applicato a coorti di pazienti con deterioramento cognitivo lieve (mild cognitive impairment, MCI), una condizione che spesso precede lo sviluppo dell'Alzheimer conclamato, e a pazienti con diagnosi definita di demenza di Alzheimer. L'obiettivo è determinare se le variazioni nel metabolismo del glucosio cerebrale, misurate attraverso l'analisi delle microvescicole, possano fungere da indicatori prognostici della progressione patologica e della risposta a eventuali interventi terapeutici.
Il team di ricerca include Emily Cope, professoressa associata di scienze biologiche alla NAU e membro dell'Arizona Alzheimer's Consortium, K. Riley Connor, dottorando in scienze biologiche presso lo stesso ateneo, e Philip Ainslie, professore presso il Centre for Heart, Lung & Vascular Health dell'Università della Columbia Britannica, evidenziando la natura interdisciplinare e internazionale della collaborazione. La componente cardiovascolare è infatti rilevante, poiché il flusso ematico cerebrale e la perfusione dei tessuti nervosi influenzano direttamente il metabolismo del glucosio neuronale.
Le prospettive future di questo filone di ricerca sono particolarmente promettenti per la medicina preventiva. Come osserva Gibbons, la capacità di interrogare la funzione cerebrale attraverso biomarcatori sempre più specifici potrebbe consentire, nel prossimo futuro, di proteggere la salute cognitiva con strategie analoghe a quelle utilizzate per le malattie cardiovascolari: modificazioni dello stile di vita, esercizio fisico moderato e regimi alimentari bilanciati. Questa visione implica un cambio di paradigma nella gestione dell'Alzheimer, spostando l'enfasi dalla terapia sintomatica tardiva alla prevenzione primaria e secondaria, con un potenziale impatto sostanziale sul carico assistenziale ed economico che le demenze rappresentano per le società ad alta aspettativa di vita. Rimangono tuttavia da chiarire aspetti cruciali: la specificità dei biomarcatori identificati, la loro sensibilità nel rilevare variazioni metaboliche precoci e la loro validazione in studi clinici su ampie popolazioni, elementi necessari prima di una traduzione nella pratica diagnostica di routine.