Anche Foxconn produrrà negli Stati Uniti per risparmiare

Il colosso cinese Foxconn ha annunciato l'intenzione di espandere le proprie attività produttive negli Stati Uniti. Vuole soddisfare le richieste dei clienti, ma sicuramente ha calcolato anche i vantaggi sulle spese di trasporto e sulla produzione.

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a cura di Elena Re Garbagnati

Foxconn vuole espandere le sue attività negli Stati Uniti per soddisfare una precisa richiesta dei clienti sulla realizzazione di prodotti Made in USA. Lo ha confermato a Bloomberg il portavoce Louis Woo, aggiungendo che "la catena di approvvigionamento è una delle grandi sfide per l'espansione negli Stati Uniti".

Non ci sono dettagli che confermino l'ipotesi di un progetto in collaborazione fra Foxconn e Apple, che proprio ieri ha comunicato alla stampa la stessa intenzione. Quel che è certo è che l'azienda di Cupertino è uno dei maggiori clienti di Foxconn, che però ha al suo attivo altri marchi statunitensi di rilievo come per esempio HP e Microsoft. Certo il tempismo dei due annunci fa nascere qualche sospetto, legato forse anche alle indiscrezioni di qualche tempo fa su una produzione statunitense della iTV. Ci sono però indizi che portano a pensare a una scelta strategica analoga ma distinta.

Foxconn produrrà anche negli Stati Uniti

L'idea di traslocare la produzione in terra a stelle e strisce infatti non è nuova, e sembra dettata più che altro dal quadro macroeconomico. Lenovo ha annunciato poco tempo fa l'apertura di un centro di produzione in North Carolina e in quell'occasione il New York Times aveva spiegato in dettaglio i vantaggi che avrebbe portato al colosso cinese.

Una produzione locale consente di rispondere più velocemente agli ordini dei clienti statunitensi, e in modo più flessibile. La ricetta è semplice: una fabbrica locale può evadere le richieste celermente perché ha un volume di lavoro minore da gestire, e non ha difficoltà ad apportare personalizzazioni.

È poi da tenere in conto il risparmio sui costi di spedizione: se le fabbriche locali dovessero soddisfare la richiesta statunitense non ci sarebbe bisogno di spedizioni intercontinentali, gravate dai costi elevati dei carburanti e dal rischio di guasti per i prodotti più fragili. A questo si aggiunga il beneficio d'immagine che se ne trarrebbe con clienti e consumatori locali, e si capisce che l'idea ha senso.

L'unico aspetto negativo dell'operazione resta il costo elevato della manodopera locale rispetto a quella cinese. Woo ha toccato l'argomento precisando a Bloomberg che "per qualsiasi produzione che verrà avviata negli Stati Uniti bisognerà sfruttare l'alto valore degli ingegneri di talento che ci sono negli USA rispetto al lavoro a basso costo della Cina".

Una politica condivisibile, che smentisce le affermazioni discutibili fatte proprio ieri da Cook (il sistema di formazione degli Stati Uniti non riesce a produrre un numero sufficiente di persone con le competenze necessarie per i processi di produzione moderni, N.d.R.).

Infine, il progetto di Foxconn non sarebbe il primo che riguarda gli Stati Uniti: l'azienda ha già degli stabilimenti in California e in Texas in cui vengono parzialmente assemblati prodotti come i server, quindi i dirigenti probabilmente sanno già come ottimizzare le proprie risorse.