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Lo smartwatch si carica a lacrime e sangue. Letteralmente

In Svezia si sta lavorando alla produzione di energia tramite i fluidi prodotti dal corpo umano.

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Avatar di Valerio Porcu

a cura di Valerio Porcu

Senior Editor @Tom's Hardware Italia

Pubblicato il 07/04/2014 alle 15:25 - Aggiornato il 15/03/2015 alle 01:50
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Ci sono sempre più dispositivi da indossare in circolazione, e questa tendenza sembra essere ben più che una moda passeggera. Se siamo dunque destinati a portare addosso sempre più oggetti che usano l'elettricità, allora ha senso cercare una forma diversa per alimentarli.

In Svezia hanno pensato che potremmo usare il nostro stesso sangue, o più precisamente le reazioni chimiche che avvengono al suo interno e che si possono sfruttare per creare elettricità. L'idea è di creare piccole celle a combustibile "biologiche" da usare all'occorrenza per ricaricare smartwatch, occhiali intelligenti, braccialetti, anelli e ciò che ci riserva il futuro.

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L'idea arriva dall'Università di Malmo (Svezia) e in particolare da Sergey Shleev e Magnus Falk: i due scienziati hanno rilevato che il glucosio e l'ossigeno presenti nel nostro corpo possono produrre energia in presenza di elettrodi e degli enzimi giusti. Questo è più o meno quanto già accade nel nostro corpo.

Sono sostanze che abbondano nel corpo umano, spiegano gli scienziati, e si potrebbero usare per caricare le batterie a cella combustibile senza spendere un centesimo. Il sangue potrebbe alimentare i dispositivi interni, mentre per quelli esterni potremmo ricorrere a saliva, lacrime o sudore.

Oltre a dispositivi indossabili come quelli citati, infatti, questo approccio potrebbe servire per far funzionare un pacemaker – un dispositivo salvavita che oggigiorno richiede la sostituzione periodica della batteria tranne i recenti modelli a induzione – o per alimentare organi artificiali di nuova generazione, sensori biomedicali e altro. Di contro, il sistema potrebbe servire ai diabetici per monitorare costantemente il livello di glucosio.

"Ci sono diversi vantaggi" commenta Shleev. "Primo, usiamo catalizzatori biologici rinnovabili e a basso costo. Secondo, i nostri dispositivi si possono miniaturizzare fino alla scala nanometrica. Terzo, la nostra tecnologia è verde ed ecocompatibile, nonché non intrusiva", visto che si sfruttano sostanza generate in modo naturale dal nostro corpo.

"L'obiettivo ultimo", conclude Shleev, "è costruire fonti di energia stabili ed efficienti che possano sostituire le tecnologie esistenti come le batterie al litio, che vanno sostituite. In molte, molte situazioni questa operazione richiede la chirurgia e presenta problemi ambientali per lo smaltimento. Tutte queste cose sono secondarie con i nostri biodispositivi". La ricerca in questo settore sta progredendo spedita, concludono i ricercatori, ma al momento mancano ancora i grandi investimenti necessari per un'applicazione commerciale. 

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