Ci sono momenti nella storia della tecnologia in cui un prodotto riesce a catturare l'immaginazione collettiva, non solo per le sue specifiche tecniche, ma per la sua audacia. Momenti in cui un'azienda decide di non seguire il sentiero battuto, ma di tracciarne uno nuovo, più rischioso e affascinante. Il 2018 è stato uno di quegli anni e Oppo Find X, presentato con un evento memorabile al Louvre di Parigi per segnare il grande ritorno del marchio in Europa, è stato uno di quei prodotti.
A distanza di anni, in un mercato che sta riscoprendo l'originalità e la voglia di osare, il ricordo di quel dispositivo evoca però una sola, malinconica riflessione: smartphone così, purtroppo, non ne fanno più.
Un design perfetto
Guardando un qualsiasi smartphone di punta del 2025, la formula è quasi sempre la stessa: un pannello frontale quasi interamente occupato dal display, interrotto da un piccolo foro o da una "pillola" per ospitare la fotocamera frontale. È un compromesso che abbiamo imparato ad accettare, una piccola cicatrice sul volto altrimenti perfetto della tecnologia. Ma nel 2018, Oppo Find X ci mostrò che un'altra via era possibile.
Le sue dimensioni, 156,7×74,2×9,6 mm, lo renderebbero oggi quasi compatto rispetto ai giganti attuali. La sua scocca, un sandwich di vetro Gorilla Glass 5 e alluminio, presentava una doppia curvatura, sia sul fronte che sul retro, che lo rendeva incredibilmente comodo da impugnare, quasi come un sasso levigato. Ma la vera magia era il suo display AMOLED da 6,42 pollici: una tela completamente ininterrotta. Nessun notch, nessun foro. Solo un pannello che copriva un impressionante 93,8% della superficie frontale, con cornici così sottili da essere quasi inesistenti per l'epoca.
Questo design pulitissimo si estendeva anche al retro. Niente "camera bump", nessuna isola fotografica a rovinare l'eleganza della finitura. Il retro era una lastra di vetro liscia, disponibile nelle splendide colorazioni sfumate Bordeaux Red e Glacier Blue, che riflettevano la luce in un modo quasi cristallino. L'assenza di elementi di disturbo rendeva il design incredibilmente coeso e futuristico. E per chi cercava l'esclusività assoluta, c'era persino una versione Automobili Lamborghini, con una finitura in fibra di carbonio e una ricarica ancora più veloce.
Quando non servono, le fotocamere non ci sono
Com'era possibile un simile miracolo di design? La risposta risiedeva nella sua caratteristica più iconica e coraggiosa: un'intera sezione superiore motorizzata. Con un ronzio meccanico quasi fantascientifico, il "tetto" dello smartphone scivolava verso l'alto in appena 0,5 secondi ogni volta che si apriva l'app della fotocamera o si sbloccava il dispositivo. Questo modulo a comparsa, battezzato Stealth 3D Camera, ospitava non solo la doppia fotocamera posteriore da 16+20 megapixel e quella frontale da 25 megapixel, ma anche un sofisticato sistema di riconoscimento facciale 3D.
Molti lo etichettarono come un esercizio di stile, una trovata pubblicitaria destinata a rompersi. Eppure, Oppo aveva testato il meccanismo per oltre 300.000 cicli di apertura e chiusura (più o meno gli stessi delle cerniere dei pieghevoli), garantendo una durata di almeno cinque anni con un uso medio. Non era una debolezza, ma la sua più grande forza: una soluzione ingegneristica elegante a un problema di design universale.
All'interno di questo modulo si celava un'altra tecnologia che, inspiegabilmente, Oppo non ha più riproposto sui suoi modelli successivi. Accanto alla fotocamera per i selfie, un proiettore a infrarossi proiettava 15.000 punti invisibili sul volto dell'utente per creare una mappa tridimensionale precisa. Questo sistema, chiamato O-Face, permetteva uno sblocco 3D sicuro e velocissimo, con un margine di errore di 1 su 1.000.000, paragonabile al Face ID di Apple e molto più sicuro dei lettori di impronte dell'epoca. Funzionava al buio completo ed era così rapido che l'intero processo di sollevamento, scansione e abbassamento del modulo avveniva in un batter d'occhio.
A distanza di anni, guardare il funzionamento di questo meccanismo stupisce ancora: guardare la precisione e la velocità del movimento fa ricordare con immenso rispetto gli ingegneri che al tempo hanno creato tale soluzione completamente innovativa, realizzandola con una maestria ancora oggi invidiabile.
Un flagship del suo tempo, ma il tempo passa
Il Find X non era solo apparenza. Sotto il cofano batteva il cuore di un vero top di gamma del 2018: il processore Qualcomm Snapdragon 845, abbinato a ben 8GB di RAM e fino a 256GB di memoria interna. La batteria da 3730mAh, sebbene oggi appaia modesta, beneficiava della ricarica rapida VOOC da 20W , mentre l'edizione speciale Super Flash Edition arrivava a 50W, capace di caricare lo smartphone in soli 35 minuti. Era una novità quasi assoluta per l'epoca.
Tuttavia, il tempo è un giudice severo. Analizzare oggi il Find X evidenzia inevitabilmente i suoi limiti rispetto agli standard attuali. Il suo splendido display, ad esempio, si ferma a una frequenza di aggiornamento di 60Hz, ben lontana dai fluidissimi 120Hz (o più) dei pannelli LTPO odierni. La qualità fotografica, già all'epoca considerata buona ma non eccezionale, non può competere con i sensori e le lenti periscopiche dei moderni cameraphone.
Mancavano inoltre alcune caratteristiche oggi considerate irrinunciabili. L'assenza del chip NFC lo renderebbe inutile per i pagamenti contactless. Non aveva un sensore di impronte digitali, affidandosi unicamente al suo eccellente sblocco facciale; oggi, un sensore sotto il display sarebbe una soluzione scontata. Infine, la sua più grande debolezza strutturale era la totale assenza di certificazione di resistenza ad acqua e polvere (IP rating), un rischio concreto data la presenza di parti in movimento.
Un appello al coraggio
Eppure, ognuna di queste mancanze potrebbe essere colmata nel 2025. I display LTPO permetterebbero di avere alta fluidità senza sacrificare l'autonomia. Le nuove batterie al silicio-carbonio consentirebbero di inserire capacità maggiori in spazi ridotti. La miniaturizzazione delle fotocamere è progredita enormemente e, sebbene sia irrealistico aspettarsi la qualità di un "Ultra" in uno spessore così contenuto, si potrebbe raggiungere un livello più che dignitoso.
La sfida più grande, la certificazione IP, non sembra più un miraggio. Se oggi esistono smartphone pieghevoli, con cerniere complesse e parti mobili, che raggiungono certificazioni IP58 e persino IP59, è lecito credere che un meccanismo a scorrimento come quello del Find X potrebbe essere ingegnerizzato per offrire almeno una protezione di base contro polvere e schizzi.
Ed è qui che nasce l'appello. In un mercato che ha scelto la via sicura, l'idea di un Find X modernizzato è più affascinante che mai. Immaginate un dispositivo con quel design iconico e senza tempo, ma con un display a 120Hz, un processore di ultima generazione, una ricarica wireless e una batteria capiente. Uno smartphone che sacrifica forse l'ultimo 5% di eccellenza fotografica in favore di un'esperienza visiva e tattile unica nel suo genere, di un design che fa girare la testa e suscita meraviglia.
Il mercato ha bisogno di più audacia e meno omologazione. Ha bisogno di prodotti che non siano solo potenti, ma anche emozionanti. L'Oppo Find X era tutto questo. Era la prova che si poteva pensare fuori dagli schemi. È un peccato mortale che quel tipo di coraggio sia rimasto un'eccezione, un lampo di genio in un'epoca che sembra aver dimenticato come sognare. È ora che qualcuno raccolga quell'eredità.