Come abbiamo raccontato nella nostra recensione, Death Stranding 2: On the Beach è un'opera colossale, tecnicamente sbalorditiva e con momenti di scrittura di rara intimità. È senza dubbio un titolo di altissimo profilo. Tuttavia, non è un gioco per tutti. Sotto la sua magnifica superficie si nascondono scelte di design e narrative che potrebbero deludere o frustrare una fetta considerevole di pubblico, in particolare chi ha amato visceralmente il primo capitolo.
Se state valutando l'acquisto, ecco 5 motivi per cui Death Stranding 2: On the Beach potrebbe non fare al caso vostro, ricordandovi della presenza anche dell'articolo che vi offre una panoramica sui 5 motivi per cui vale la pena giocarlo.
Una storia principale che potrebbe non convincere tutti
Se cercate una storia avvincente e ben ritmata dall'inizio alla fine, potreste rimanere delusi. Mentre le dinamiche tra i personaggi a bordo del sottomarino Magellan sono eccezionali, la trama portante del gioco potrebbe non convincere tutti. Per gran parte delle sue oltre 30 ore, la narrazione si trascina un po' a fatica, accumulando missioni che sanno di riempitivo. Il tutto per poi concentrare una quantità enorme di colpi di scena e rivelazioni in un finale che potrebbe deludere più di qualcuno.
Un campio di paradigma
Il fascino unico di Death Stranding risiedeva nel suo gameplay meditativo: il viaggio era il vero nemico, ogni consegna una sfida strategica contro l'ambiente. On the Beach abbandona in gran parte questa filosofia, virando con decisione verso un action game in terza persona. Il combattimento è ora centrale, incoraggiato e molto più presente. Se non avete amato la lentezza del primo capitolo, questa potrebbe essere una buona notizia. Ma se, come molti, vi siete innamorati di quella formula unica e originale, potreste sentire che "l'anima del corriere" è andata perduta in favore di un approccio più convenzionale.
Un mondo meno ostile
Diretta conseguenza del punto precedente, il mondo di gioco ha perso gran parte della sua carica minacciosa. Le CA, che nel primo capitolo erano fonte di un'ansia palpabile e spingevano a un approccio stealth, qui diventano un ostacolo marginale, un fastidio facilmente aggirabile. Anche le difficoltà ambientali e la lotta contro la fisica e il terreno, elementi centrali nell'epopea di Sam, sono state notevolmente attenuate. Il terrore e la tensione che permeavano ogni passo nel mondo del primo Death Stranding sono solo un pallido ricordo. Volendo, infatti, è quasi possibile completare il gioco solo con il veicoli, situazione improbabile nel precedente gioco.
Momenti un po' troppo... cringe
Hideo Kojima è famoso per il suo stile eccentrico, ma in On the Beach a volte l'equilibrio si spezza. Accanto a scene di una potenza emotiva toccante, il gioco inciampa in dialoghi e situazioni che sfociano in un "cringe" troppo decontestualizzato. Un umorismo goffo e fuori luogo che, a differenza dell'autoironia della saga di Metal Gear, spezza completamente il climax e la drammaticità di momenti altrimenti serissimi, generando un fastidioso senso di straniamento e minando la credibilità dell'universo di gioco.
Poche novità
Se vi aspettate tante novità sul fonte del gameplay, non è così. Non mancano nuove "meccaniche", ma nulla che stravolga la formula. La certezza, come descritto poco sopra è che il gioco si ricalibra con decisione verso l'azione. Il combattimento è ora più profondo e centrale, con un sistema di shooting reattivo e un arsenale più vasto. A questo si aggiunge un albero delle abilità più stratificato, che include il nuovo sistema APAS per una progressione tangibile. Di fatto è però un more of the same, un seguito piuttosto conservativo, non necessariamente un difetto, ma chi si aspetta qualcosa di diverso, potrebbe non rimanere completamente soddisfatto.